Ieri a Napoli i pm del processo Calciopoli hanno accettato di acquisire agli atti 75 intercettazioni che non erano state prese in considerazione nelle informative distribuite illecitamente alla stampa quattro anni fa.
Allora, torniamo a quattro anni fa, a un giorno di maggio in cui Francesco Saverio Borrelli, ancor prima di venire ufficialmente nominato capo dell’ufficio indagini della Figc commissariata da Guido Rossi, da privato cittadino, si recò di tutta fretta a Napoli per ritirare CD-ROM e atti di un'indagine che per la legge avrebbe dovuto essere sotto il vincolo del segreto istruttorio. Quelle intercettazioni furono diffuse in spregio della legge, contro i diritti degli indagati, ma questo non interessava a nessuno: l’importante, sui media e nei palazzi del potere, era procedere all’umiliazione e alla distruzione della fantastica Juve allestita dalla Triade dopo dodici anni di duro lavoro.
Quelle intercettazioni, per quanto, ormai sappiamo, assolutamente parziali, avrebbero potuto essere diffuse alla stampa ed eventualmente usate per imbastire procedimenti disciplinari di tipo amministrativo solo un anno dopo, nell’aprile del 2007, quando l’inchiesta “off side” sarebbe giunta alla conclusione e si sarebbe proceduto alle richieste di rinvio a giudizio. Non prima, perché una legge dello stato italiano che tutela uno dei diritti fondamentali della persona non lo prevede, e prevede sanzioni per chi trasgredisce.
Se è stato possibile, nell’estate del 2006, allestire un processo sportivo in una condizione di così palese irregolarità, anzi, di illegalità, è difficile pensare possano esistere degli impedimenti affinché il procuratore sportivo Palazzi possa ripercorrere, con ben altra legittimità, e molti meno chilometri da percorrere, la strada che porta a Napoli, per acquisire le nuove intercettazioni e procedere alla riapertura del processo sportivo.
Non conosciamo ancora tutte le conversazioni in questione, ma quelle che abbiamo finora ascoltato sono per lo meno dello stesso tenore di quelle che sono costate a Luciano Moggi e Antonio Giraudo cinque anni di squalifica con proposta di radiazione e alla Juve la serie B, due scudetti revocati e dei punti di penalizzazione. In alcuni casi sono pure peggio.
Ma le fanfare mediatiche in queste ultime due settimane si sono improvvisamente riscoperte, a distanza di quattro anni, garantiste, attendiste, pronte ai distinguo e all’analisi dei contenuti. Un segno di civiltà? Se così fosse, dovrebbero fioccare le scuse di opinionisti e commentatori per il modo in cui vennero trattati Luciano Moggi e gli altri inquisiti nel 2006. “Per la giustizia sportiva è sufficiente il sospetto”, si diceva. “Bisogna punire anche il solo tentativo d’illecito, non è necessario consumarlo”, ricordate? “La giustizia sportiva ha tempi molto stretti, il diritto alla difesa non può essere garantito come nei processi ordinari”. “Discutere di designazioni arbitrali con i commissari della CAN? Grave slealtà!”. “Intrattenere rapporti telefonici con arbitri? Grave illecito”.
Dottor Palazzi, almeno Lei ricorda?
A quando un viaggetto a Napoli?
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