La riprova
Quando ci è stato proposto di scrivere un libro, la prima idea è stata quella di raccontare come a sconfessare Calciopoli e a illuminare Farsopoli fossero state, in questo lungo periodo di quasi quattro anni, da un lato le udienze e le sentenze dei Tribunali della Repubblica, dall'altro la galanteria del tempo, che man mano ci riproponeva evidenti le fosforescenti aporie scritte nelle sentenze delle Gazzette di quell'estate, e poco alla volta sgretolava i dogmi del sentimento popolare che ci avevano condannato.
La stagione 2007/2008 è stata, ad esempio, un'epifania continua: la serie di rigori assurdi a favore dell'Inter, gli arbitraggi inguardabili di Napoli e Reggio Calabria ai danni della Juve, la clamorosa espulsione di Mexès nel match clou contro la Roma, che decise lo scudetto a favore dell'Inter. E, ancora, l'Inter che, senza il nostro Ibra, svendutogli dagli "amici bianconeri" un anno prima, entrava in crisi profonda, per essere salvata dallo svedese solo all'ultima di campionato.
Più che un campionato, una parabola evangelica, si perdoni la blasfemia.
Abbiamo scoperto che l'Inter vinceva grazie a grossolani errori arbitrali a suo favore, una serie di errori marchiani mai capitati prima a nessuna squadra. Non di meno vinceva senza rubare. La Juve veniva bastonata in maniera altrettanto evidente. Non di meno, perdeva senza protestare. L'espulsione di Mexès, un errore non interpretabile, a differenza del famoso rigore su Ronaldo. Il ruolo di Ibrahimovic, scucito ai saldi, nel momento più buio della nostra storia, decisivo e indiscutibile.
Insomma: Calciopoli è stata messa alla prova e si è dimostrata una bufala. Quello che si diceva succedere prima, succedeva adesso e in maniera molto più chiara, senza che i moralisti della prima ora si scandalizzassero. Anzi, con sparute eccezioni, giustificavano tutto.
Il diverso trattamento da parte dei media nei confronti delle due vicende aprì gli occhi a molti tifosi juventini, che solo allora passarono dalla nostra parte. Capirono, anche i più perbenisti, che il feroce moralismo dell'estate 2006 era stato applicato dalla stampa nazionale a senso unico, mentre oggi imperava la politica del doppiopesismo. Capirono e, ci concediamo un po' di superbia, li aiutammo a capire che quella del 2006 era stata una vera e propria farsa che andava abilmente a solleticare i peggiori istinti di vendetta del popolo italico.
Un signore
Anche il 2008 ebbe il suo Zaccone (anzi due o forse tre), pronto a coronare la farsa, fornendo l'argomento principe agli interisti e a ogni genere di antijuventino: "Ma se siete stati voi a chiedere la B...". Molti ancora oggi si chiedono perché tra i tifosi fu tanto odiato Claudio Ranieri, l'allenatore signore che sulla panchina della Juve ottenne sicuramente buoni risultati, in linea, se non superiori, a quanto richiestogli dalla società.
Se lo chiedono e rinfacciano il suo affrettato esonero a noi tifosi. Ebbene, a tutti noi è chiaro, il punto di non ritorno fu toccato dalle bislacche giustificazioni che il tecnico romano diede della sudditanza arbitrale nei confronti dei nerazzurri, che toccò vette di assurdità quando Ranieri, commentando la moviola, si schierò, unico in Italia, a fianco dei nerazzurri, nel giustificare un rigore assegnato contro l'Empoli, per un inesistente fallo di mano di Vannucchi.
Inesistente e come tale visibile in una qualsiasi immagine rallentata. Ranieri negò persino l'evidenza pur di difendere l'avversario. Mentre, dopo una serie di rigori inesistenti e altri favori arbitrali per l'Inter, la polemica cominciava pian piano a montare, i tifosi non solo juventini cominciavano a chiedere chiarimenti, qualche timida voce si poneva certi interrogativi in televisione e sui quotidiani, arrivò Ranieri (e, sempre a sostegno, il buon Cobolli Gigli) a spegnere tutti i fuochi. "Ma se lo dice anche il vostro allenatore..."
Un signore? O no?
Oggi, da allenatore della Roma, sembrerebbe non avere più problemi a rispondere a tono agli attacchi interisti, e allora non possiamo che domandarci quanto fosse obbligato alla diplomazia verso i nerazzurri dalla dirigenza e dalla proprietà juventine.
Certo è che gli juventini, al ritorno in serie A, in termini di antagonismo si aspettavano tutt'altro dall'ambiente bianconero, continuamente umiliato dalle dichiarazioni di Moratti, senza colpo ferire. Dalla "banda dei truffatori" in avanti, nessuna reazione. E nessuna reazione della stampa a esternazioni affatto ambigue, come quando accusò il guardalinee di Juventus-Inter, che aveva segnalato un evidente fuorigioco di Cambiasso, di essere "troppo bravo", o ancora la terrificante giustificazione data verso quei tifosi che avevano sfasciato un asilo in quel di Parma per festeggiare la vittoria in campionato ("Peccato che ci sia stata questa specie di assalto a questo asilo, ma credo che sia stato involontario, da quello che ho letto pensavano fosse parte dello stadio"), passando per il gesto dell'ombrello e volgarità varie all'indirizzo del reietto Ronaldo nel derby, e il ricorso, e ancora la giustificazione, contro la chiusura della curva dopo che i tifosi napoletani erano stati accolti a San Siro con striscioni e cori come "Ciao colerosi" e "Voi non siete esseri umani".
Un altro signore
Mourinho è, sotto molti aspetti, l'allenatore giusto per Moratti, anche se il suo arrivo non ha certo impedito il continuare del manifestarsi della nemesi calciopolara, quella catena di eventi "simmetrici" che continuano a disvelare la farsa per quello che è, proiettata nel suo negativo.
Mancini, che era stato forse più il piangina tra gli allenatori dell'Inter perdente, si trovava in grave imbarazzo nel nuovo ruolo di vincitore continuamente graziato dagli errori arbitrali. L'evidente contraddizione, la nemesi, era in lui particolarmente visibile: perdeva le staffe facilmente e, se incalzato a riguardo, si lasciava andare a crisi isteriche in diretta tv. Lui che aveva sempre messo in dubbio le vittorie altrui, ora non tollerava che si facesse la stessa cosa con le sue. Non aveva abbastanza serenità per sostenere il suo ruolo. Perdicchio di Jesi era rimasto fondamentalmente un perdente.
Per cacciarlo, tuttavia, la nemesi si manifestò di nuovo. L'Inter ne motivò l'esonero in base ad alcune intercettazioni telefoniche, giunte illegalmente alla stampa, che non contenevano nulla di penalmente rilevante a carico del Mancio, ma ne svelavano l'amicizia con un presunto trafficante di droga.
Come direbbero gli inglesi, Pure Farsopoli.
Mourinho si è rivelato, senza dubbio, invece l'uomo giusto per conciliare gli opposti: l'Inter aveva bisogno di un allenatore di lotta e di governo. Un allenatore abituato a stare al top, ma capace anche di stuzzicare i bassi istinti e le manie di persecuzione del tifoso nerazzurro.
La panolada di domenica sta lì a dimostrare che c'è riuscito. Nonostante un anno e mezzo, in cui i favori all'Inter, seppur non nella forma clamorosa dell'ultima stagione manciniana, non sono certo mancati (vedi il chilometrico fuorigioco di Maicon a Siena), Mourinho, con l'ausilio dell'ufficio stampa nerazzurro e la sua longa manus nelle redazioni, ancora gioca a fare l'agitapopolo contro le istituzioni.
C'è chi parla della sua abilità mediatica. Esiste, senza dubbio. Non è abbastanza, però. A testimoniarlo è la terrificante escalation delle ultime settimane, che sembra testimoniare in un solo senso rispetto ai fatti di Farsopoli: l'Inter non voleva affatto equità di giudizio, l'Inter preferisce decisamente essere favorita. (continua)
Dominionerazzurro/1: la nemesi
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