Ho sempre pensato che quanto successo in quella maledetta estate del 2006 avesse radici che affondavano nel tempo e soprattutto nei rapporti interpersonali tra i due fratelli Agnelli, Gianni e Umberto.
Probabilmente l’inizio di tutto risale a quasi quarant’anni fa.
Proviamo a raccontarla per bene questa storia...
Pur essendo diversi in molte cose, la passione per il calcio ed in modo particolare per la Juventus ha sempre accomunato i due fratelli Agnelli.
Entrambi hanno avuto più volte la responsabilità di guidarla, passandosi lo scettro del comando come in una lunga fantastica staffetta.
La prima frazione era toccata, per questioni ereditarie, all’Avvocato. Essendo egli infatti il maggiore degli eredi del Senatore Giovanni Agnelli, Gianni era stato designato dal nonno come il futuro riferimento della Famiglia Agnelli e, nel cospicuo bagaglio di onori ed oneri che quella scelta assicurava, c’era anche la gradita incombenza della guida della Juve.
Da molti anni, oramai, le casacche bianconere affascinavano perdutamente anche moltissimi italiani, e Gianni intuì subito quale formidabile strumento di consenso popolare potesse costituire quella squadra e quanto prestigio potesse derivarne a colui che si fosse fatto identificare dalla pubblica opinione come il “dominus” della Vecchia Signora.
Non è un caso, quindi, che, molto prima di occuparsi in prima persona della FIAT, l’Avvocato abbia ricoperto l’incarico di Presidente della Juventus, dal 1947 al 1954.
Fu un periodo di soddisfazioni per i bianconeri che, oltre a diversi discreti piazzamenti nelle classifiche finali dei campionati di quegli anni, si aggiudicarono due Scudetti, nel 1950 e nel 1952.
L’arrivo di nuove responsabilità, personali e pubbliche, da una parte, e la disponibilità da parte di Umberto a cimentarsi anche lui alla guida della Juve, dall’altra, fecero sì che l’Avvocato passasse il testimone della presidenza juventina al fratello.
Umberto si sedette così, nel 1955, sulla stessa prestigiosa poltrona nell’ufficio di Presidenza della sede (di allora) in piazza San Carlo, a Torino.
L’entusiasmo era tanto, così come la voglia di far bene; tuttavia non sarebbe esagerato definire disastroso l’inizio di quella nuova gestione, visto che la squadra nel campionato della stagione 1955-56 rischiò addirittura la retrocessione e l’anno dopo non andò oltre un modestissimo nono posto nella classifica finale.
A quel punto però, forse inaspettatamente per qualcuno, Umberto cominciò per la prima volta a manifestare quelle notevoli capacità manageriali di uomo guida vincente, capacità tante altre volte manifestate con successo nel seguito della sua vita professionale: grazie ad esse la Juventus ne uscì totalmente trasformata, diventando così la dominatrice assoluta del calcio italiano di quegli anni.
Fu Umberto a scegliere i due campionissimi stranieri Charles e Sivori che, unendosi al capitano Boniperti, andarono a formare un trio d’attacco destinato a diventare leggendario.
I risultati - importanti, numerosi e frequenti - arrivarono immediatamente: nei quattro anni successivi, dal 1958 al 1961, la Juventus vinse ben tre Scudetti e due Coppe Italia (con il “double” scudetto+coppa ottenuto nella stagione 1959-60).
Ma le soddisfazioni personali di Umberto non si fermarono alla sola Juventus: nel 1959 era stato eletto anche presidente della Federazione Italiana Gioco Calcio.
Fu proprio Umberto, all’inizio del suo mandato presidenziale alla FIGC, a creare l’istituzione della Stella quale fregio da esporre sulle maglie delle squadre che avessero conquistato dieci scudetti; e la Juventus, che proprio sotto la presidenza di Umberto aveva vinto il decimo titolo nel 1958, fu così la prima squadra italiana a guadagnarsi l’onore di cucirsela sulle proprie maglie.
Una storia di successi....troppi successi....e anche troppo frequenti. Ecco cos’era diventata, a quel punto, l’avventura sportivo-dirigenziale di Umberto.
Evidentemente questa combinazione micidiale di ingredienti (un fratello inaspettatamente troppo in gamba, che s’era guadagnato una gloria eccessiva mal sopportata anche da qualche altro competitore dei bianconeri, che invece smaniava di mettersi sotto le luci della ribalta) portò alla fatale partita Juventus-Inter del 16 aprile 1961.
Si disputava la 25ª giornata, 8ª del girone di ritorno, di un campionato condotto per lungo tempo dall’Inter in testa alla classifica - con i nerazzurri che erano arrivati ad avere fino a cinque punti di vantaggio sui bianconeri alla 15ª giornata - e che poi, nel giro di poco più di un mese, aveva subito un completo ribaltone per merito della Juventus, che era riuscita a mettere ben quattro punti di distacco tra sé e la sua antagonista milanese.
Per l’Inter, insomma, quella partita rischiava di mettere anzitempo la parola fine ai malcelati sogni di gloria del suo presidente, Angelo Moratti.
Raccogliendo qualche spunto dalle cronache di quei tempi, scopriamo che quella partita “...richiamò l’attenzione di 61.000 spettatori paganti, che uniti ai settemila abbonati raggiungevano la cifra di 68.000 (sempre inferiore comunque ai 72.000 che poteva contenere lo stadio).
Ma qualcosa andò storto e quel giorno il Comunale si riempì in ogni ordine di posti, tanto che ad un certo punto della gara ci fu un’invasione pacifica di spettatori, costretti a sistemarsi a bordo campo per poter assistere alla gara.”
“L’arbitro Gambarotta di Genova riesce a far contenere il pubblico lontano dalla linea di demarcazione del campo e dà il via alla partita. Il clima però non aiuta. Dopo un po’ comincia a piovere, la gente ai bordi comincia a muoversi, si crea confusione vicino alle linee di gioco e l’Inter decide di uscire dal campo, riparando negli spogliatoi e presentando poi riserva scritta, con richiesta di vittoria a tavolino per invasione di campo. “
Questo anche se “...La gente stava a pochi metri di distanza - ricorda Aristide Guarneri, stopper dell'Inter di allora - ma un pericolo vero e proprio non c'era.”
La partita dunque venne sospesa su richiesta dell’Inter, che chiedeva la vittoria a tavolino per invasione di campo.
La giustizia sportiva si mise in moto. Sempre dalle stesse fonti apprendiamo che “...il caso è complesso: si discute della differenza tra invasione e straripamento, mentre la posizione di Umberto Agnelli, presidente della Juventus e anche della Federcalcio, appare particolarmente delicata. La Commissione giudicante emette in fretta il verdetto: partita vinta a tavolino per l’Inter.”
Dopo questa decisione il campionato parve prendere una svolta: le distanze tra le due rivali, già dimezzate per effetto della decisione del giudice sportivo, si azzerarono del tutto nel turno successivo, con la Juve sconfitta a Genova dalla Sampdoria e l’Inter vittoriosa a Ferrara contro la Spal.
Sembrò fatta per i nerazzurri, ma le cose invece presero una piega ben diversa: riavutasi dallo sbandamento della decisione “a tavolino”, la Juventus riprese la sua marcia con due vittorie nelle partite seguenti contro Lecco e Atalanta, mentre contemporaneamente l’Inter incappò in due pareggi contro Torino e Fiorentina.
Il vantaggio della Vecchia Signora salì così a due punti, mancavano solamente tre giornate alla fine.
La terzultima giornata, con entrambe le squadre vincenti contro i rispettivi avversari Napoli e Roma, non cambiò le posizioni in classifica.
Alla penultima giornata, invece, la situazione ritornò in perfetta parità con la Juventus sconfitta a Padova e l’Inter vittoriosa in casa contro il Napoli.
Si arrivò così alla tarda serata del 3 giugno, vigilia dell’ultima giornata di calendario: la CAF, accogliendo il ricorso presentato dalla Juventus avverso la decisione precedente che aveva assegnato la vittoria a tavolino all’Inter, ordinò la ripetizione della gara, fissandone la data al 10 giugno.
A quel punto, con l’annullamento dell’assegnazione dei due punti all’Inter e con un ulteriore incontro da disputare tra le due rivali, si giunse alla disputa degli incontri della giornata finale del campionato.
In un clima montante di polemiche la Juve pareggiò in casa con il Bari ma, sorprendentemente (...davvero sorprendentemente?....), l’Inter riuscì nell’impresa di andare a perdere a Catania per 2-0: Sandro Ciotti, nel commento radiofonico dell’incontro durante ‘Tutto il Calcio Minuto per Minuto’, pronunciò l’oramai leggendario “Clamoroso al Cibali!” per commentare il tracollo dei nerazzurri proprio sulla linea del traguardo.
L’Inter, dunque, con la sua “prodezza” finale aveva reso del tutto ininfluente l’esito della ripetizione della partita del 16 aprile.
La Juventus si assicurò perciò lo scudetto, il dodicesimo della sua gloriosa storia, scudetto che avrebbe comunque vinto anche se la CAF avesse confermato il verdetto sportivo di primo grado sulla partita del 16 aprile.
La ripetizione della gara, a quel punto, assunse un valore meramente platonico. Certo, si sarebbe potuto comunque onorare l’impegno, cogliere l’occasione di una seppur tardiva rivincita.
E invece, con la consueta sportività affermatasi poi anche negli anni successivi, l’Inter decise di mandare la sua squadra primavera a disputare quella partita.
Finì 9-1 per la Juventus.
Si trattò della gara d’esordio nel campionato di massima serie di Sandro Mazzola, lo stesso Sandro Mazzola che oggi, nei panni di commentatore televisivo alla RAI, parla di quegli anni e di quegli episodi come indicativi di chissà quali malefatte commesse dalla dirigenza bianconera di allora a danno della sua onestissima e vessatissima Inter.....
Boniperti alla fine di quell’incontro appese le sue scarpe da gioco al chiodo, e Angelo Moratti si beccò una multa di un milione di lire per la sua decisione antisportiva di aver fatto schierare dei ragazzini.
Tutto finito?
No, assolutamente, perché abbiamo taciuto l’evento più importante, quello che alla fine della vicenda risulterà essere la vera fondamentale conseguenza di quella “strana partita” del 16 aprile 1961 a Torino.
Umberto Agnelli, a seguito delle polemiche assurde di quei giorni, rinunciò alla Presidenza della FIGC.
E qualche giorno dopo, avrebbe lasciato anche la Presidenza della Juventus, con le fonti ufficiali interne alla Real Casa che giustificarono, anche se in modo poco convincente, la cosa con la motivazione “...per importanti incarichi assunti all’interno della FIAT”.
La Juventus, da parte sua, piombò in un decennio di quasi perfetto anonimato a beneficio delle due milanesi che da quel momento avrebbero fatto quasi il comodo loro nel campionato.
E questa è la storia, forse, della prima Calciopoli o, sarebbe meglio dire, Umbertopoli del calcio italiano.
Sono solo io a vederci tante affinità con quanto successo qualche anno fa, e, parlando di partite Juventus-Inter “da scandalo”, con quell’altra sceneggiata clownesca a tinte nerazzurre che passerà alla storia come la partita del “rigore di Ronaldo”?
Probabilmente l’inizio di tutto risale a quasi quarant’anni fa.
Proviamo a raccontarla per bene questa storia...
Pur essendo diversi in molte cose, la passione per il calcio ed in modo particolare per la Juventus ha sempre accomunato i due fratelli Agnelli.
Entrambi hanno avuto più volte la responsabilità di guidarla, passandosi lo scettro del comando come in una lunga fantastica staffetta.
La prima frazione era toccata, per questioni ereditarie, all’Avvocato. Essendo egli infatti il maggiore degli eredi del Senatore Giovanni Agnelli, Gianni era stato designato dal nonno come il futuro riferimento della Famiglia Agnelli e, nel cospicuo bagaglio di onori ed oneri che quella scelta assicurava, c’era anche la gradita incombenza della guida della Juve.
Da molti anni, oramai, le casacche bianconere affascinavano perdutamente anche moltissimi italiani, e Gianni intuì subito quale formidabile strumento di consenso popolare potesse costituire quella squadra e quanto prestigio potesse derivarne a colui che si fosse fatto identificare dalla pubblica opinione come il “dominus” della Vecchia Signora.
Non è un caso, quindi, che, molto prima di occuparsi in prima persona della FIAT, l’Avvocato abbia ricoperto l’incarico di Presidente della Juventus, dal 1947 al 1954.
Fu un periodo di soddisfazioni per i bianconeri che, oltre a diversi discreti piazzamenti nelle classifiche finali dei campionati di quegli anni, si aggiudicarono due Scudetti, nel 1950 e nel 1952.
L’arrivo di nuove responsabilità, personali e pubbliche, da una parte, e la disponibilità da parte di Umberto a cimentarsi anche lui alla guida della Juve, dall’altra, fecero sì che l’Avvocato passasse il testimone della presidenza juventina al fratello.
Umberto si sedette così, nel 1955, sulla stessa prestigiosa poltrona nell’ufficio di Presidenza della sede (di allora) in piazza San Carlo, a Torino.
L’entusiasmo era tanto, così come la voglia di far bene; tuttavia non sarebbe esagerato definire disastroso l’inizio di quella nuova gestione, visto che la squadra nel campionato della stagione 1955-56 rischiò addirittura la retrocessione e l’anno dopo non andò oltre un modestissimo nono posto nella classifica finale.
A quel punto però, forse inaspettatamente per qualcuno, Umberto cominciò per la prima volta a manifestare quelle notevoli capacità manageriali di uomo guida vincente, capacità tante altre volte manifestate con successo nel seguito della sua vita professionale: grazie ad esse la Juventus ne uscì totalmente trasformata, diventando così la dominatrice assoluta del calcio italiano di quegli anni.
Fu Umberto a scegliere i due campionissimi stranieri Charles e Sivori che, unendosi al capitano Boniperti, andarono a formare un trio d’attacco destinato a diventare leggendario.
I risultati - importanti, numerosi e frequenti - arrivarono immediatamente: nei quattro anni successivi, dal 1958 al 1961, la Juventus vinse ben tre Scudetti e due Coppe Italia (con il “double” scudetto+coppa ottenuto nella stagione 1959-60).
Ma le soddisfazioni personali di Umberto non si fermarono alla sola Juventus: nel 1959 era stato eletto anche presidente della Federazione Italiana Gioco Calcio.
Fu proprio Umberto, all’inizio del suo mandato presidenziale alla FIGC, a creare l’istituzione della Stella quale fregio da esporre sulle maglie delle squadre che avessero conquistato dieci scudetti; e la Juventus, che proprio sotto la presidenza di Umberto aveva vinto il decimo titolo nel 1958, fu così la prima squadra italiana a guadagnarsi l’onore di cucirsela sulle proprie maglie.
Una storia di successi....troppi successi....e anche troppo frequenti. Ecco cos’era diventata, a quel punto, l’avventura sportivo-dirigenziale di Umberto.
Evidentemente questa combinazione micidiale di ingredienti (un fratello inaspettatamente troppo in gamba, che s’era guadagnato una gloria eccessiva mal sopportata anche da qualche altro competitore dei bianconeri, che invece smaniava di mettersi sotto le luci della ribalta) portò alla fatale partita Juventus-Inter del 16 aprile 1961.
Si disputava la 25ª giornata, 8ª del girone di ritorno, di un campionato condotto per lungo tempo dall’Inter in testa alla classifica - con i nerazzurri che erano arrivati ad avere fino a cinque punti di vantaggio sui bianconeri alla 15ª giornata - e che poi, nel giro di poco più di un mese, aveva subito un completo ribaltone per merito della Juventus, che era riuscita a mettere ben quattro punti di distacco tra sé e la sua antagonista milanese.
Per l’Inter, insomma, quella partita rischiava di mettere anzitempo la parola fine ai malcelati sogni di gloria del suo presidente, Angelo Moratti.
Raccogliendo qualche spunto dalle cronache di quei tempi, scopriamo che quella partita “...richiamò l’attenzione di 61.000 spettatori paganti, che uniti ai settemila abbonati raggiungevano la cifra di 68.000 (sempre inferiore comunque ai 72.000 che poteva contenere lo stadio).
Ma qualcosa andò storto e quel giorno il Comunale si riempì in ogni ordine di posti, tanto che ad un certo punto della gara ci fu un’invasione pacifica di spettatori, costretti a sistemarsi a bordo campo per poter assistere alla gara.”
“L’arbitro Gambarotta di Genova riesce a far contenere il pubblico lontano dalla linea di demarcazione del campo e dà il via alla partita. Il clima però non aiuta. Dopo un po’ comincia a piovere, la gente ai bordi comincia a muoversi, si crea confusione vicino alle linee di gioco e l’Inter decide di uscire dal campo, riparando negli spogliatoi e presentando poi riserva scritta, con richiesta di vittoria a tavolino per invasione di campo. “
Questo anche se “...La gente stava a pochi metri di distanza - ricorda Aristide Guarneri, stopper dell'Inter di allora - ma un pericolo vero e proprio non c'era.”
La partita dunque venne sospesa su richiesta dell’Inter, che chiedeva la vittoria a tavolino per invasione di campo.
La giustizia sportiva si mise in moto. Sempre dalle stesse fonti apprendiamo che “...il caso è complesso: si discute della differenza tra invasione e straripamento, mentre la posizione di Umberto Agnelli, presidente della Juventus e anche della Federcalcio, appare particolarmente delicata. La Commissione giudicante emette in fretta il verdetto: partita vinta a tavolino per l’Inter.”
Dopo questa decisione il campionato parve prendere una svolta: le distanze tra le due rivali, già dimezzate per effetto della decisione del giudice sportivo, si azzerarono del tutto nel turno successivo, con la Juve sconfitta a Genova dalla Sampdoria e l’Inter vittoriosa a Ferrara contro la Spal.
Sembrò fatta per i nerazzurri, ma le cose invece presero una piega ben diversa: riavutasi dallo sbandamento della decisione “a tavolino”, la Juventus riprese la sua marcia con due vittorie nelle partite seguenti contro Lecco e Atalanta, mentre contemporaneamente l’Inter incappò in due pareggi contro Torino e Fiorentina.
Il vantaggio della Vecchia Signora salì così a due punti, mancavano solamente tre giornate alla fine.
La terzultima giornata, con entrambe le squadre vincenti contro i rispettivi avversari Napoli e Roma, non cambiò le posizioni in classifica.
Alla penultima giornata, invece, la situazione ritornò in perfetta parità con la Juventus sconfitta a Padova e l’Inter vittoriosa in casa contro il Napoli.
Si arrivò così alla tarda serata del 3 giugno, vigilia dell’ultima giornata di calendario: la CAF, accogliendo il ricorso presentato dalla Juventus avverso la decisione precedente che aveva assegnato la vittoria a tavolino all’Inter, ordinò la ripetizione della gara, fissandone la data al 10 giugno.
A quel punto, con l’annullamento dell’assegnazione dei due punti all’Inter e con un ulteriore incontro da disputare tra le due rivali, si giunse alla disputa degli incontri della giornata finale del campionato.
In un clima montante di polemiche la Juve pareggiò in casa con il Bari ma, sorprendentemente (...davvero sorprendentemente?....), l’Inter riuscì nell’impresa di andare a perdere a Catania per 2-0: Sandro Ciotti, nel commento radiofonico dell’incontro durante ‘Tutto il Calcio Minuto per Minuto’, pronunciò l’oramai leggendario “Clamoroso al Cibali!” per commentare il tracollo dei nerazzurri proprio sulla linea del traguardo.
L’Inter, dunque, con la sua “prodezza” finale aveva reso del tutto ininfluente l’esito della ripetizione della partita del 16 aprile.
La Juventus si assicurò perciò lo scudetto, il dodicesimo della sua gloriosa storia, scudetto che avrebbe comunque vinto anche se la CAF avesse confermato il verdetto sportivo di primo grado sulla partita del 16 aprile.
La ripetizione della gara, a quel punto, assunse un valore meramente platonico. Certo, si sarebbe potuto comunque onorare l’impegno, cogliere l’occasione di una seppur tardiva rivincita.
E invece, con la consueta sportività affermatasi poi anche negli anni successivi, l’Inter decise di mandare la sua squadra primavera a disputare quella partita.
Finì 9-1 per la Juventus.
Si trattò della gara d’esordio nel campionato di massima serie di Sandro Mazzola, lo stesso Sandro Mazzola che oggi, nei panni di commentatore televisivo alla RAI, parla di quegli anni e di quegli episodi come indicativi di chissà quali malefatte commesse dalla dirigenza bianconera di allora a danno della sua onestissima e vessatissima Inter.....
Boniperti alla fine di quell’incontro appese le sue scarpe da gioco al chiodo, e Angelo Moratti si beccò una multa di un milione di lire per la sua decisione antisportiva di aver fatto schierare dei ragazzini.
Tutto finito?
No, assolutamente, perché abbiamo taciuto l’evento più importante, quello che alla fine della vicenda risulterà essere la vera fondamentale conseguenza di quella “strana partita” del 16 aprile 1961 a Torino.
Umberto Agnelli, a seguito delle polemiche assurde di quei giorni, rinunciò alla Presidenza della FIGC.
E qualche giorno dopo, avrebbe lasciato anche la Presidenza della Juventus, con le fonti ufficiali interne alla Real Casa che giustificarono, anche se in modo poco convincente, la cosa con la motivazione “...per importanti incarichi assunti all’interno della FIAT”.
La Juventus, da parte sua, piombò in un decennio di quasi perfetto anonimato a beneficio delle due milanesi che da quel momento avrebbero fatto quasi il comodo loro nel campionato.
E questa è la storia, forse, della prima Calciopoli o, sarebbe meglio dire, Umbertopoli del calcio italiano.
Sono solo io a vederci tante affinità con quanto successo qualche anno fa, e, parlando di partite Juventus-Inter “da scandalo”, con quell’altra sceneggiata clownesca a tinte nerazzurre che passerà alla storia come la partita del “rigore di Ronaldo”?