Di qualche giorno fa, la notizia della bocciatura delle istituzioni europee per il "6+5" proposto dalla UEFA: nessuna deroga alle leggi europee sulla libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione, nessun avallo a regole che anche indirettamente possano costituire pregiudizio di tale fondamentale norma. Nessuna specificità, dunque, riconosciuta all'ambito sportivo europeo. Una sconfitta per Platini e per Blatter, e per i loro piani di rinnovamento (qualcuno dice regressione) del mondo del calcio.
Il progetto delle istituzioni calcistiche mondiali ed europee di ritagliarsi una situazione normativa differente all'interno dell'Unione Europea - ovvero laddove conta: il calcio è l'ultimo enorme baluardo di eurocentrismo - è, con tutta evidenza, anche il tentativo di formare un'isola giuridica, dove le questioni vengano risolte e giudicate da organismi indipendenti, invece che dai tribunali nazionali. Una giustizia sportiva libera dai vincoli statali, con maggiori possibilità e poteri di indagine, senza correre il rischio che i club trasferiscano le questioni alle Procure di mezza Europa.
Dal G14 all'ECA: il tema fondamentale della giustizia sportiva
Rischio trasformatosi in realtà, già nel 2004, quando il G14 affiancò il Charleroi nella causa intentata contro la FIFA, per ottenere un maxirisarcimento (860 milioni!) con riguardo ai giocatori infortunatisi in competizioni tra Nazionali.
L'elezione di Platini alla massima carica europea è avvenuta in questo momento storico: era necessaria una figura di carisma, che avrebbe dovuto saper conciliare la guerra ormai aperta tra i grandi club e le istituzioni internazionali.
Il G14 aveva, nel periodo caldo, come presidente e rappresentante, il nostro Bettega, e tra i vicepresidenti il milanista Gandini, e sosteneva con forza un modello di calcio in cui si potesse pienamente sviluppare il business collegato. Secondo il modello della Juventus di Giraudo, club in grado di autofinanziarsi come aziende normali, e le prospettive di sviluppo mostrate dai grandi club inglesi, nello sfruttamento delle risorse, i grandi club si opponevano agli organismi internazionali e a regolamenti troppo soffocanti per il libero dispiegarsi del proprio sviluppo commerciale.
Di fronte a una situazione di costi fuori controllo, di un mercato del lavoro anomalo e impossibile da contenere, i grandi club difficilmente potevano perseguire l'obiettivo dell'autonomia finanziaria, a scapito di UEFA e FIFA, conservatrici nei loro confronti, ma ricchissime grazie ai proventi delle manifestazioni internazionali - il cui successo è garantito proprio dalle spese dei club - e con bilanci quanto meno anomali, come ebbe a notare il vicepresidente Zen Ruffinen.
Di qui come leva la proposta dell'Eurolega, campionato rivolto al gotha del calcio europeo, ed organizzato in piena autonomia dai club del G14, che avrebbe naturalmente soppiantato la Champions League, in termini di visibilità.
Una leva, come detto, prima che una proposta concreta.
Avvenne Calciopoli, quindi, probabilmente non da sottovalutare nemmeno in questo contesto.
La potenza di fuoco delle istituzioni sportive infatti su una squadra anima del movimento come la Juve fu probabilmente un deterrente e una prova di forza micidiale nei confronti dei club. La Juventus fu infatti condannata dai tribunali sportivi in base a una norma assente nel codice sportivo, e le fu impedito, con diverso genere di minacce (naturalmente crediamo decisivo l'intervento politico della stessa proprietà) dalle istituzioni internazionali del calcio, di ricorrere ai tribunali ordinari, uscendo dall'ordinamento.
Insomma: una vittoria epocale dei sostenitori dell'autonomia della giustizia sportiva.
Platini, eletto nel gennaio 2007, si trova dunque nella posizione migliore per cercare un compromesso con i grandi club, guidati dal presidente del Lione Aulas. E il compromesso si trova: un anno dopo la sua elezione a presidente dell'UEFA, Platini ottiene lo scioglimento del G14 e la formazione dell'ECA, organizzazione a ranghi aperti, circa 150 club, che rapidamente si conforma come organismo dei club che viene consultato per le decisioni più importanti. In cambio, la promessa di procedere con gradualità nella riforma della Champions League, che il presidente francese intende riportare a una formula simile a quella degli anni'80.
Vittoria dell'UEFA, si può ben dire.
Le battaglie di Platini
E già, perchè la UEFA non è arretrata di un millimetro, e le intenzioni di Platini di riportare il calcio alle sue radici, ai suoi valori sportivi, si sono trasformate in altrettante battaglie.
La mia opinione è che tutte queste battaglie non possano essere ricondotte tutte insieme a una più grande opera di moralizzazione. C'è un che di ideologico in questo, che spaventa e che facilmente può condurre all'eccesso.
La battaglia sulla regolarità dei bilanci è sacrosanta e da noi condivisa e appoggiata in tutto e per tutto.
E' una battaglia sensata e moderna, che non va ad incidere negativamente sul corretto sviluppo finanziario dei club, ma li incentiva a produrre ricchezza. E', finalmente, l'abbandono di quel mecenatismo che, lungi dall'essere filantropia, è esercizio di potere ambiguo e pieno di zone grigie.
Sì a una competizione che privilegia l'aspetto sportivo, e sì a una regolamentazione che fa sì che dal calcio non escano soldi in maniere strane, venendo gli introiti reinvestiti e, di conseguenza, aiutando tutto il sistema a crescere.
I detrattori hanno un unico argomento, assai debole: non si può impedire alle società di investire nel lungo periodo, ottenendo finanziamenti esterni e maturando debiti. La realtà dice che questo non succede, che i debiti si assommano continuamente, che le operazioni di maquillage dei bilanci avvengono annualmente, con grande detrimento per la competizione, che è difficile, se non impossibile, trovare una squadra che possa vantare per almeno 3 anni consecutivi un attivo di bilancio. Le squadre con un valore del debito di poco inferiore al valore del club sono molte, troppe. E i debiti, spesso, non vengono contratti per costruire assets, come gli stadi di proprietà, ma semplicemente per pagare ingaggi folli e acquisti milionari, che non si traducono in un equivalente indotto in altri settori.
Eppure, già qui, c'è da effettuare una distinzione.
A senso unico?
Perchè Platini indirizza i suoi strali costantemente verso il calcio inglese.
Eppure i prestiti ottenuti dai club inglesi (meglio: dai loro proprietari) hanno prodotto assets, come gli stadi. I soldi spesi per i giocatori vengono accompagnati da una strategia di sfruttamento commerciale che è valida e remunerativa, la migliore al mondo. I club inglesi non hanno usufruito di alcun "spalmadebiti". Grazie a Gordon Brown, pagano tasse sugli stipendi che ammontano ad esattamente il doppio di quelle pagate in Spagna. Soprattutto: gli attivi di bilancio, pur con grandi spese, vengono realizzati e con una discreta frequenza. Succede, sì succede, che gli introiti superino le spese.
Proviamo a confrontare questo, con quanto succede in una squadra come l'Inter, solo sfiorata dalle accuse del presidente UEFA. Nulla di tutto questo si può dire.
E ancora: l'esposizione debitoria, nel calcio inglese, è spesso dei proprietari, che hanno maturato il debito verso le banche proprio al momento dell'acquisto. Questo non significa che la gestione della squadra avvenga con noncuranza degli attivi di bilancio, come succede all'Inter. Insomma: il presunto danno alla competizione è molto ridotto, mentre si può discutere, naturalmente, di squadre considerate come asset di un gruppo finanziario, e quindi soggette a speculazioni varie.
Insomma, se c'è davvero un esempio negativo di gestione del club, e di alterazione della normale competizione, nel senso suggerito da Platini, questo è l'Inter, e non i club inglesi.
Platini ha speso parole di fuoco per il Real: eppure, per quanto le mega-operazioni di quest'estate abbiano destato più di un dubbio (più che i faraonici acquisti, fanno pensare le minusvalenze secche: - 10 per Robben, -11 per Sneijder, -12 per Huntelaar in soli 6 mesi!), la situazione del Real è ben differente da quella dell'Inter.
Utilizzando i dati Deloitte, ritenuti tra i più affidabili, il Real ha entrate per 512 milioni, il doppio dell'Inter; il club è stimato valere sul mercato 4 volte i nerazzurri; prima dei prestiti per i grandi acquisti, il debito rispetto al valore del club è del 23%: difficile sia cresciuto fino al 77% dell'Inter.
Ora, di fronte alla sostanziale dimenticanza, da parte dell'UEFA, delle basi di argilla su cui si è fondato gran parte del calcio italiano (per l'appunto con la lodevole eccezione della Juve), l'interrogativo sorge spontaneo.
Non è che questo zelo nel bacchettare le squadre inglesi e il Real (recentemente definita dall'interista Severgnini "la squadra più antipatica al mondo" per le sue spese) rischi di trasformarsi in qualcosa di diverso, per furia ideologica o bilanciamento di poteri?
Un conto, infatti, è auspicare che a continuare a competere con le grandi siano squadre come il Porto (che in 2 stagioni ha incassato 100 milioni dalle cessioni, modello positivo), l'Ajax, la Dinamo Kiev. Il loro svantaggio competitivo dipende fortemente da mercati meno recettivi, ma è giusto che la bravura nel crescere giovani e dare ossigeno al bilancio sia giustamente remunerata dalla possibilità di poter mantenere i giocatori e non cederli a squadre con bilanci in rosso, e montagne di debiti con cui finanziano i trasferimenti. Il trasferimento di Chivu dall'Ajax alla Roma fu un esempio lampante.
Un conto invece è volere a tutti i costi bilanciare la competizione europea, semplicemente perché gli inglesi sono troppo avanti, e gli altri sistemi nazionali ne soffrono, come risultato di scelte sbagliate e incompetenza diffusa. Perché gli inglesi hanno anche meritato di essere lì, eccome.
E allora, se, da tutto questo, chi torna in gioco magicamente sono l'Inter, la Roma e tutte le squadre straindebitate, con sanzioni e proposte normative che assottigliano il gap con il resto d'Europa, capiamo bene che, anziché premiare i meriti, si sta semplicemente livellando il sistema verso il basso, premiando anzi qualche fortunato che, decisamente, non se lo merita.
Ora, seppure sia chiaro che Platini non è Severgnini, per eleggere il presidente UEFA il voto inglese conta come quello di tutti gli altri. E allora l'oltranzismo verso le pecche della Premier sembrerebbe motivato.
Nel prossimo articolo, il tema della giustizia sportiva, qui introdotto, verrà applicato al caso del Chelsea. Cercherò di spiegare perché, secondo la mia opinione, le ultime proposte delle istituzioni calcistiche sembrino andare in una sola direzione, antiinglese, e perché questo non risolverà nessuno dei problemi del calcio.
Che sia giustizia però
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