Ci hanno chiesto cosa rimproveriamo alla Gazzetta dello Sport e ad altri giornali e giornalisti. I lettori di questo sito lo hanno compreso bene: il mancato rispetto della deontologia professionale, il mancato rispetto della Carta dei Doveri del giornalista, che trovate nella nostra sezione "I Codici".
Se leggete la Carta dei Doveri troverete un intero capitolo sul dovere di rettifica, quasi che l'Ordine abbia preso atto che questo basilare principio venga quotidianamente calpestato e senta il bisogno di metterlo per iscritto, per ricordare una cosa che dovrebbe far parte dell'essere giornalista, senza bisogno di promemoria. Questo rimproveriamo, il non rispettare le regole del buon giornalismo.
Della Gazzetta diciamo che ha sbagliato nel pubblicare quelle intercettazioni di calciopoli 2006 perché erano atti di una indagine ancora in corso. Ha sbagliato perché a volte le ha interpretate nel modo più conveniente a gonfiare il teorema accusatorio. Ha sbagliato perché ha condotto una campagna di stampa spropositata, contribuendo in maniera decisiva a fomentare quel "sentimento popolare", al quale si sono ispirati i giudici sportivi nell'emettere la sentenza, che voleva a tutti i costi la Juve in B. Ha sbagliato quando non ha mai informato i suoi lettori del vero motivo per cui la Juventus è stata condannata, ovvero avere alterato la classifica in assenza di partite alterate.
Ancora oggi nei bar dello sport si incontrano tante persone che su calciopoli hanno una idea distorta e rispondono citando i titoloni della Gazzetta e dei suoi fratelli. Non sanno nulla di cosa dica davvero la sentenza di Sandulli, per esempio. Non lo sanno perché la stampa non ha sentito il dovere di spiegarlo per bene. Quindi, tanta gente ha una informazione distorta dei fatti per mancanza di un'informazione corretta e completa.
Come si erano lanciati sulle prime intercettazioni per "interpretarle", componendo titoli a 9 colonne, così avrebbero dovuto scrivere titoli a 9 colonne per dire che la Juve non aveva compiuto illecito in una sola partita, o che la storia di Paparesta chiuso nello spogliatoio di Reggio, per esempio, si era rivelata una bufala.
Non hanno corretto le informazioni errate allora e sembra non abbiano intenzione di farlo neppure oggi, nei modi che il "dovere" gli impone.
L'esempio lampante è di questi giorni. L'ex arbitro Paparesta intervistato dalla trasmissione "Niente di personale", de La 7 (video ed articolo sul nostro blog), dichiara: "Finalmente dopo anni posso dire l'unica verità su quel 6 novembre 2004: non sono mai stato chiuso in uno spogliatoio da Moggi. Moggi e Giraudo entrarono agitati e si lamentarono del mio operato. Nessuno però mi ha chiuso dentro lo spogliatoio. Si sono solo lamentati in maniera decisa perché non avevo concesso loro un rigore e avevo annullato il gol del pareggio proprio un attimo prima del finale, cosa che per altro dimostra che non soffrivo certo di sudditanza. Poi se ne sono andati via e io ho solo sbagliato a non inserire nel referto di gara l'episodio. Questa non è la mia versione ma la realtà, non ero solo, con me c'erano assistenti, quarto uomo e un osservatore. Se fosse accaduto qualcosa, qualcuno l'avrebbe segnalato".
Paparesta ha anche affrontato il tema legato alla telefonata fatta a Moggi l'8 novembre 2004, due giorni dopo la gara di Reggio Calabria: "È stato il mio unico errore. L'ho chiamato perché era partita nei miei confronti una campagna mediatica incredibile di cui lui si vantava. In molti, anche della mia associazione (l'Aia), dicevano che dovevo smettere di arbitrare e così l'ho sentito per chiarire. Se lui pensava che non ero in grado di arbitrare si doveva rivolgere alle sedi competenti anche perché se la campagna fosse continuata io mi sarei dimesso".
Se leggete la Carta dei Doveri troverete un intero capitolo sul dovere di rettifica, quasi che l'Ordine abbia preso atto che questo basilare principio venga quotidianamente calpestato e senta il bisogno di metterlo per iscritto, per ricordare una cosa che dovrebbe far parte dell'essere giornalista, senza bisogno di promemoria. Questo rimproveriamo, il non rispettare le regole del buon giornalismo.
Della Gazzetta diciamo che ha sbagliato nel pubblicare quelle intercettazioni di calciopoli 2006 perché erano atti di una indagine ancora in corso. Ha sbagliato perché a volte le ha interpretate nel modo più conveniente a gonfiare il teorema accusatorio. Ha sbagliato perché ha condotto una campagna di stampa spropositata, contribuendo in maniera decisiva a fomentare quel "sentimento popolare", al quale si sono ispirati i giudici sportivi nell'emettere la sentenza, che voleva a tutti i costi la Juve in B. Ha sbagliato quando non ha mai informato i suoi lettori del vero motivo per cui la Juventus è stata condannata, ovvero avere alterato la classifica in assenza di partite alterate.
Ancora oggi nei bar dello sport si incontrano tante persone che su calciopoli hanno una idea distorta e rispondono citando i titoloni della Gazzetta e dei suoi fratelli. Non sanno nulla di cosa dica davvero la sentenza di Sandulli, per esempio. Non lo sanno perché la stampa non ha sentito il dovere di spiegarlo per bene. Quindi, tanta gente ha una informazione distorta dei fatti per mancanza di un'informazione corretta e completa.
Come si erano lanciati sulle prime intercettazioni per "interpretarle", componendo titoli a 9 colonne, così avrebbero dovuto scrivere titoli a 9 colonne per dire che la Juve non aveva compiuto illecito in una sola partita, o che la storia di Paparesta chiuso nello spogliatoio di Reggio, per esempio, si era rivelata una bufala.
Non hanno corretto le informazioni errate allora e sembra non abbiano intenzione di farlo neppure oggi, nei modi che il "dovere" gli impone.
L'esempio lampante è di questi giorni. L'ex arbitro Paparesta intervistato dalla trasmissione "Niente di personale", de La 7 (video ed articolo sul nostro blog), dichiara: "Finalmente dopo anni posso dire l'unica verità su quel 6 novembre 2004: non sono mai stato chiuso in uno spogliatoio da Moggi. Moggi e Giraudo entrarono agitati e si lamentarono del mio operato. Nessuno però mi ha chiuso dentro lo spogliatoio. Si sono solo lamentati in maniera decisa perché non avevo concesso loro un rigore e avevo annullato il gol del pareggio proprio un attimo prima del finale, cosa che per altro dimostra che non soffrivo certo di sudditanza. Poi se ne sono andati via e io ho solo sbagliato a non inserire nel referto di gara l'episodio. Questa non è la mia versione ma la realtà, non ero solo, con me c'erano assistenti, quarto uomo e un osservatore. Se fosse accaduto qualcosa, qualcuno l'avrebbe segnalato".
Paparesta ha anche affrontato il tema legato alla telefonata fatta a Moggi l'8 novembre 2004, due giorni dopo la gara di Reggio Calabria: "È stato il mio unico errore. L'ho chiamato perché era partita nei miei confronti una campagna mediatica incredibile di cui lui si vantava. In molti, anche della mia associazione (l'Aia), dicevano che dovevo smettere di arbitrare e così l'ho sentito per chiarire. Se lui pensava che non ero in grado di arbitrare si doveva rivolgere alle sedi competenti anche perché se la campagna fosse continuata io mi sarei dimesso".
Quindi, una telefonata per protestare con Moggi che stava parlando male di lui e non per chiedere scusa, come da tanti è stata raccontata.
E' una novità processuale? No, si sapeva già, lo dicono le sentenze sportive, lo disse Paparesta agli inquirenti, lo hanno potuto leggere i lettori di questo sito nell'articolo del Dr.Zoidberg "Accuse Juve: il caso Paparesta", e chi nella sezione Download di questo sito ha letto i due documenti Interrogatorio Paparesta 1.pdf e Interrogatorio Paparesta 2.pdf.
Non è una novità processuale, è una novità mediatica quella che ha raccontato Paparesta. Eppure anche sui forum juventini sono stati tanti gli utenti che hanno chiesto: "Perché lo dice solo ora?". Questa domanda è la prova provata del grande potere dei giornali.
Nel 2006 hanno sparato titoli di piombo nero, su nove colonne, per informare il popolino dei bar sport che Paparesta era stato chiuso nello spogliatoio da quei brutti, sporchi e cattivi di Moggi&Giraudo. Non era vero.
Quando era possibile correggere e rettificare quella falsa informazione, leggendo quello che abbiamo letto noi, non lo hanno fatto, venendo meno al dovere di RETTIFICA che gli impone la "Carta dei doveri del giornalista". Hanno lasciato che i loro lettori restassero convinti del "sequestro di Paparesta", del falso dovuto ad un'informazione parziale.
Ora che Paparesta ha ottenuto uno spazio in tv per poter dire la sua, alcuni ancora faticano a fare fino in fondo il proprio dovere: rettificare una precedente errata informazione dando alla rettifica lo stesso spazio ed importanza data, in precedenza, alla notizia risultata infondata.
Vediamo come si sono comportati i tre principali quotidiani sportivi: tutti e tre hanno la notizia sulle versioni online mentre diverso è il comportamento sul cartaceo.
Solo Il Corriere dello Sport ha, in basso alla prima pagina, un box con scritto "LA RIVELAZIONE. Moggi non mi ha chiuso negli spogliatoi". La notizia sarà una "rivelazione" per Vocalelli e compagni, che così dimostrano di non aver letto nulla delle carte processuali del 2006. La notizia data sul giornale romano, inoltre, non ha lo stesso rilievo di quando fu detto al lettore il contrario ma è sempre meglio del nulla in prima pagina di Tuttosport e della Gazzetta dello Sport. A proposito di quest'ultima: dopo aver notato che in prima pagina preferisce dare ampio spazio alla notizia "Belen e la boxe. Prendo a pugni tutti i bigotti" piuttosto che a Paparesta, veniamo informati da alcuni nostri lettori che le dichiarazioni di Paparesta sono confinate in diciassettesima pagina, che si presenta la dichiarazione dell'arbitro barese accompagnata da un "la sua verità", e che nell'articolo, a firma Francesco Ceniti, si parla di"Questa è la versione di Gianluca Paparesta, l'arbitro che fino ad ieri nell'immaginario popolare era vittima della furia di Luciano Moggi al termine di Reggina-Juventus 2-1 del 6 novembre 2004".
Nell'immaginario popolare? E chi lo ha "formato" ed alimentato questo immaginario popolare se non la stampa? E tra quelli che hanno scritto del "sequestro di persona" dell'arbitro barese chi c'era?
Il Ceniti, nell'articoletto, tenta una giustificazione postuma dicendo che a parlare di sequestro, in una intercettazione, è lo stesso Moggi. Peccato che lui sappia, o dovrebbe sapere, che in un'altra intercettazione si comprende bene che Moggi ha millantato un fatto mai avvenuto. Peccato che esistano i verbali di interrogatorio di Paparesta, che smentiva già allora, e che loro avrebbero dovuto leggere, come abbiamo imparato a leggerli noi tifosi.
Fateci capire, come scriverebbe un candido giornalista: è così difficile fare fino in fondo, per davvero, il mestiere del giornalista e rettificare secondo la regola una errata informazione?
La Carta dei Doveri ricorda ai giornalisti "smemorati" che tra i doveri vi è questo:
"Rettifica e replica
Il giornalista rispetta il diritto inviolabile del cittadino alla rettifica delle notizie inesatte o ritenute ingiustamente lesive. Rettifica quindi con tempestività e appropriato rilievo, anche in assenza di specifica richiesta, le informazioni che dopo la loro diffusione si siano rivelate inesatte o errate, soprattutto quando l'errore possa ledere o danneggiare singole persone, enti, categorie, associazioni o comunità."
Rettifica con appropriato rilievo! Capito signori che avevate scritto o parlato del "sequestro di Paparesta"?
E' una novità processuale? No, si sapeva già, lo dicono le sentenze sportive, lo disse Paparesta agli inquirenti, lo hanno potuto leggere i lettori di questo sito nell'articolo del Dr.Zoidberg "Accuse Juve: il caso Paparesta", e chi nella sezione Download di questo sito ha letto i due documenti Interrogatorio Paparesta 1.pdf e Interrogatorio Paparesta 2.pdf.
Non è una novità processuale, è una novità mediatica quella che ha raccontato Paparesta. Eppure anche sui forum juventini sono stati tanti gli utenti che hanno chiesto: "Perché lo dice solo ora?". Questa domanda è la prova provata del grande potere dei giornali.
Nel 2006 hanno sparato titoli di piombo nero, su nove colonne, per informare il popolino dei bar sport che Paparesta era stato chiuso nello spogliatoio da quei brutti, sporchi e cattivi di Moggi&Giraudo. Non era vero.
Quando era possibile correggere e rettificare quella falsa informazione, leggendo quello che abbiamo letto noi, non lo hanno fatto, venendo meno al dovere di RETTIFICA che gli impone la "Carta dei doveri del giornalista". Hanno lasciato che i loro lettori restassero convinti del "sequestro di Paparesta", del falso dovuto ad un'informazione parziale.
Ora che Paparesta ha ottenuto uno spazio in tv per poter dire la sua, alcuni ancora faticano a fare fino in fondo il proprio dovere: rettificare una precedente errata informazione dando alla rettifica lo stesso spazio ed importanza data, in precedenza, alla notizia risultata infondata.
Vediamo come si sono comportati i tre principali quotidiani sportivi: tutti e tre hanno la notizia sulle versioni online mentre diverso è il comportamento sul cartaceo.
Solo Il Corriere dello Sport ha, in basso alla prima pagina, un box con scritto "LA RIVELAZIONE. Moggi non mi ha chiuso negli spogliatoi". La notizia sarà una "rivelazione" per Vocalelli e compagni, che così dimostrano di non aver letto nulla delle carte processuali del 2006. La notizia data sul giornale romano, inoltre, non ha lo stesso rilievo di quando fu detto al lettore il contrario ma è sempre meglio del nulla in prima pagina di Tuttosport e della Gazzetta dello Sport. A proposito di quest'ultima: dopo aver notato che in prima pagina preferisce dare ampio spazio alla notizia "Belen e la boxe. Prendo a pugni tutti i bigotti" piuttosto che a Paparesta, veniamo informati da alcuni nostri lettori che le dichiarazioni di Paparesta sono confinate in diciassettesima pagina, che si presenta la dichiarazione dell'arbitro barese accompagnata da un "la sua verità", e che nell'articolo, a firma Francesco Ceniti, si parla di"Questa è la versione di Gianluca Paparesta, l'arbitro che fino ad ieri nell'immaginario popolare era vittima della furia di Luciano Moggi al termine di Reggina-Juventus 2-1 del 6 novembre 2004".
Nell'immaginario popolare? E chi lo ha "formato" ed alimentato questo immaginario popolare se non la stampa? E tra quelli che hanno scritto del "sequestro di persona" dell'arbitro barese chi c'era?
Il Ceniti, nell'articoletto, tenta una giustificazione postuma dicendo che a parlare di sequestro, in una intercettazione, è lo stesso Moggi. Peccato che lui sappia, o dovrebbe sapere, che in un'altra intercettazione si comprende bene che Moggi ha millantato un fatto mai avvenuto. Peccato che esistano i verbali di interrogatorio di Paparesta, che smentiva già allora, e che loro avrebbero dovuto leggere, come abbiamo imparato a leggerli noi tifosi.
Fateci capire, come scriverebbe un candido giornalista: è così difficile fare fino in fondo, per davvero, il mestiere del giornalista e rettificare secondo la regola una errata informazione?
La Carta dei Doveri ricorda ai giornalisti "smemorati" che tra i doveri vi è questo:
"Rettifica e replica
Il giornalista rispetta il diritto inviolabile del cittadino alla rettifica delle notizie inesatte o ritenute ingiustamente lesive. Rettifica quindi con tempestività e appropriato rilievo, anche in assenza di specifica richiesta, le informazioni che dopo la loro diffusione si siano rivelate inesatte o errate, soprattutto quando l'errore possa ledere o danneggiare singole persone, enti, categorie, associazioni o comunità."
Rettifica con appropriato rilievo! Capito signori che avevate scritto o parlato del "sequestro di Paparesta"?