Il 20 marzo 1991 il fatiscente ma affascinante stadio Velodrome di Marsiglia ospita la gara di ritorno dei quarti di finale di Coppa dei Campioni, tra i padroni di casa dell’Olympique e il Milan. L’andata a San Siro si era conclusa 1-1 con i francesi che avevano sfiorato la vittoria, cogliendo un palo.
Quello marsigliese, allenato dal belga Raymond Goethals, è collettivo dai piedi assai fini ma allo stesso tempo dalle maniere ruvide. La partita, di conseguenza, è tesissima: i primi 25 minuti sono tutti dell’Olympique che va vicino al gol in due occasioni poi, alla mezz’ora, il confronto si riequilibra. Tuttavia il Milan, per tutta la prima frazione, non riesce ad organizzare una valida azione d’attacco: tiene possesso del pallone ma solo una volta riesce a rendersi pericoloso, con Gullit, al 29’.
Nell’intervallo Italia 1 propone i momenti salienti: Massimo Marianella esordisce con «il Milan è frenato dall’arbitro», riferendosi ad un controverso fuorigioco fischiato a Rijkaard con il portiere francese Olmeta che, comunque, raggiunge il pallone prima dell’olandese. Si sorvola però su un possibile rigore su Papin, travolto in uscita da Sebastiano Rossi. Il secondo tempo comincia come era finito il primo, con il Marsiglia a tener lontano i rossoneri dalla propria area e a proporsi con valide offensive orchestrate da Waddle e Papin. Il telecronista di Italia1, Bruno Longhi, che fino a quel momento era stato sufficientemente imparziale, comincia a dare segni di cedimento: «l’arbitro ha deciso di punire ancora una volta la formazione rossonera» e «l’arbitro ha punito il Milan» dopo una segnalazione di fuorigioco; quindi si lascia andare ad una dichiarazione che sa di speranza: «il Marsiglia sta soffrendo enormemente». In realtà è il Milan a non vedere mai la porta avversaria, se è vero che l’unica conclusione a rete arriva su una punizione di Evani al 59’. Da lì in avanti, più nulla.
Il match si inasprisce e Maldini si segnala per una mezza gomitata a Waddle che Longhi minimizza. La scena si ripete al 65’con il difensore milanista che stavolta picchia più duro. In cabina di regia ritengono immediatamente opportuno mandare lo stacchetto pubblicitario. Quando si ritorna sulla partita l’inglese è ancora a terra e Longhi chiosa: «è un ritornello che si sta ripetendo troppo frequentemente. L’intervento di Maldini non ci pare così grave» per poi aggiungere, enfatico: «ogni caduta (dei francesi, nda) dura dai due minuti ai due minuti e mezzo». È pur vero che l’OM pratica un gioco deciso e che l’arbitro svedese Bo Karlsson sembra un po’ svagato, ma è altrettanto vero che questi sorvola su una manata di Tassotti, già ammonito, ad un avversario che chiedeva il pallone per rimettere in gioco. Longhi ce la mette tutta per restare distaccato ma, allorché gli sovviene memoria delle direttive padronali, scioglie le briglie: «c’è un fallo incredibile su Massaro» urla dopo un’entrata dura, ma onesta, di Mozer sul rossonero.
La doccia fredda arriva al 75’: Abedi Pelé crossa dalla sinistra, Papin al limite dell’area stacca e allunga per l’accorrente Waddle che con un diagonale velenoso infila Rossi, 1-0. La partita si incattivisce ulteriormente e il nervosismo è palpabile. Il Milan non riesce ad avvicinarsi all’aria avversaria e sono i padroni di casa a sfiorare il raddoppio con Vercruysse che, all’88’, fallisce incredibilmente, solo davanti al portiere. C’è un aria pesantissima tra le file rossonere e i giocatori sembrano rassegnati al punto da dimenticarsi di Waddle che, dopo aver dribblato mezza squadra, si presenta lanciatissimo davanti a Rossi. Il portiere si butta a valanga e la palla si perde sul fondo. Ma non c’è tempo per i replay perché è proprio in questa azione che accade una cosa inaspettata: uno dei riflettori del Velodrome si spegne improvvisamente. Il novantesimo è passato da 40 secondi e rimangono circa 3 minuti di recupero da disputare. L’arbitro Karlsson interrompe il gioco e molti milanisti cominciano a guardarsi tra loro, subodorando l’opportunità di un’imprevista salvezza: dopo alcuni istanti sembra che i rossoneri, imbeccati dal responsabile organizzativo Paolo Taveggia, non vogliano proseguire la gara.I più convinti sono Gullit e Baresi. L’olandese, intervistato al volo da Marco Francioso, dichiara: «regolamento dice che bisogna esserci le luci accese».
Francioso non perde l’occasione e subito insinua: «Esatto, e poi con un arbitro così…». La confusione sul terreno di gioco aumenta e l’inviato a bordo campo è eroico, quasi commovente, quando comunica a Longhi che «mi impediscono anche di parlare, i francesi. Ti ridò la linea» salvo riprenderla subito dopo per aggiungere: «altrimenti diremmo le cose come stanno» Francioso, nonostante il “divieto”, riesce a raggiungere Tassotti il quale, molto sportivamente, chiarisce: «Non c’è nessun problema, non è che non vogliamo giocare perché stiamo perdendo. Ecco, vedete, ora si è riacceso. Giochiamo». Alla sincerità del terzino fa da contraltare la faccia di Gullit quando si accorge che il riflettore è tornato a funzionare. L’arbitro comunica ai 22 in campo che è il momento di riprendere la gara ma il trecciolone tiene a ribadire che la luce deve essere accesa completamente.
Il faro è operativo per tre quarti ma Longhi propone la sua versione: «l’arbitro ha denunciato limiti paurosi. Eccolo che vaga per il campo. Il riflettore funziona all’incirca al 40% (in tv si vede benissimo in tutte le zone, nda)». Ma è ancora Francioso a dare il meglio: «Baresi non vuole ritornare in campo. Baresi rifiuta giustamente di tornare perché il faro si è riacceso al 25% o forse meno. Baresi continua a guardare il riflettore e fa il segno degli occhi. Dice che non ci si vede» per poi concludere: «da come ha arbitrato mi sa che anche il direttore di gara è abbastanza indeciso sul regolamento[/b]».
Ad un certo punto, la svolta: un uomo con l’impermeabile bianco si avvia a grandi passi verso il centro del campo. È il vicepresidente Adriano Galliani, all’epoca con ancora un cerchio di capelli attorno alla sommità liscia del cranio. Galliani si porta verso l’imboccatura degli spogliatoi e, con ampi gesti delle mani, convoca i giocatori. Ha deciso: il Milan abbandona la partita.
Quando il riflettore ha aggiunto altra potenza ed è quasi completamente recuperato, Francioso si affretta a sottolineare che «[i]in effetti dalla mia parte non si vede». Longhi comunica che Taveggia sta già pensando di presentare un esposto scritto ma è di nuovo interrotto dallo zelante inviato sul campo: «i giocatori sono assolutamente intenzionati a rientrare negli spogliatoi. Ci sono addirittura gli inservienti che mettono le mani addosso ai giocatori del Milan. Incredibile anche questa fase». Longhi lo sostiene («Taveggia giustamente scuote il capo. No, così non si può giocare») e, dopo che le immagini della regia francese passano sugli spalti dove i tifosi del Diavolo si stanno azzuffando con la polizia, il telecronista chiarisce subito la sua versione dei fatti: «non so se definirla una loro provocazione o una provocazione della polizia francese». Nel frattempo si accendono ancora altre luci e la visibilità è ormai totalmente ripristinata. Di nuovo interviene Longhi precisando che «si sono accesi altri riflettori. Riflettori, ovviamente, meno potenti». Francioso, orgoglioso, richiede la linea e proclama che «il Milan va via».
L’arbitro Karlsson, accertatosi delle ripristinate funzionalità dell’impianto, prende il pallone in mano, attraversa il campo a grandi falcate e posiziona la sfera nel punto in cui deve essere ripreso il gioco: un calcio di rinvio a favore del Milan. I giocatori del Marsiglia si ridispongono in campo ma i milanisti assolutamente non ne vogliono sapere. Longhi è colto da un dubbio tremendo: «il Milan dovrebbe adeguarsi o rischierebbe altre sanzioni». Il capolavoro finale è firmato ancora dall’immarcescibile Francioso che, affannatissimo, rivela un particolare che profuma di inconfessabile speranza: «ho raccolto una voce a bordo campo: anche se la luce dovesse funzionare, c’è stata comunque un’invasione di campo a gioco in corso», riferendosi all’ingresso sul terreno di gioco della panchina marsigliese dopo un fischio di Karlsson, interpretato come quello finale. “Invasione” durata 15 secondi.
Una volta accertata l’ostinazione del Milan nel non voler rientrare, l’arbitro fischia la fine dell’incontro. Lo stadio esplode in un urlo di gioia, i giocatori francesi si abbracciano e vanno a salutare i tifosi. I milanisti fanno un mesto ritorno negli spogliatoi, ma c’è ancora tempo per un commento di Ancelotti («La realtà è che è andata via la luce e non è ritornata») e un augurio di Bruno Longhi («la partita non è finita regolarmente. Ci sarà sicuramente un’appendice»).
Galliani, negli spogliatoi, fa sapere ai giornalisti che presenterà un ricorso ma dimentica che, affinché il ricorso possa essere quantomeno visionato, è necessario che la partita venga ugualmente portata a termine. Il giorno seguente, ecco le reazioni della stampa: il quotidiano transalpino Libération titola «Squallida manovra del Milan per far ripetere la partita», la Gazzetta dello Sport preferisce un sintetico: «Milan vergogna» rinforzato da un occhiello a pagina 5 «Vergogna Marsiglia / Mai un abbandono in 36 anni di coppe». Gianni Mura, su Repubblica, va a fondo: «Se è mai esistito nella storia del calcio italiano di ogni tempo un “giorno della vergogna”, questo non può che essere il 20 marzo 1991». Venerdì 22 marzo la Gazzetta dedica un fondo, a firma di Franco Arturi, che analizza a mente fredda l’incredibile telecronaca di Italia1:
Quanto a perdita di faccia il Milan di Marsiglia non ha voluto essere secondo a nessuno. Ebbene, le sue prodezze alla rovescia sono state accompagnate da una voce come quella di Bruno Longhi (ma anche di Marco Francioso, telecronista a bordo campo), che definire faziosa è ancora poco. Su questo versante c’è una situazione professionale e umana tutta particolare e da tener presente prima di formulare un giudizio: chi paga lo stipendio ai telecronisti è il presidente del Milan. Ma è impossibile tacere una serie di autocensure talmente lunga da cadere nel ridicolo. C’era un’impotenza tecnica del Milan mai sottolineata, ci sono stati dei falli di rossoneri puntualmente denunciati dalla moviola e “perdonati” con una rapidità sconcertante, c’era un’accusa tambureggiante e fuori luogo all’arbitro e ai giocatori francesi, c’è stato poi l’episodio del ritiro della squadra e delle concitate frasi finali, commentati in modo inaccettabile sotto tutti i punti di vista, a partire da quello cronistico. Il Milan sarà sempre croce e delizia per le reti televisive di Berlusconi. Ma se il suoi dipendenti non sono in grado di garantire almeno una parvenza di imparzialità, la reazione del pubblico non potrà che essere molto negativa alla lunga (purtroppo questa previsione non si avvererà mai: alle reti Fininvest sono bastati quattro culi all’ora di cena e un po’ di comici sgangherati per tornare a fidelizzare il pubblico). Mettiamoci in mente (Rai e Fininvest) che a ciascuno spetta soltanto il proprio ruolo: al tifoso di sostenere più o meno ciecamente la propria squadra, al giornalista di raccontare ciò che vede. Se invertiamo le parti ci perderemo tutti.
Galliani, nelle interviste dopo la partita, aveva fatto sapere che la decisione di ritirare la squadra era stata avallata anche dal presidente Berlusconi (che non era presente allo stadio). La società, il giorno seguente, lo smentisce con un comunicato ufficiale, firmato proprio dal presidente:
con riferimento alla partita Olympique Marsiglia-Milan di ieri, il Milan si dichiara dispiaciuto per quanto occorso nei minuti finali della gara a seguito dell’insolito incidente verificatosi all’impianto di illuminazione dello stadio e dalla presenza in campo di una molteplicità di tifosi, situazioni che hanno determinato nei dirigenti accompagnatori della squadra il convincimento che la partita non potesse concludersi regolarmente. Il Milan, peraltro, non presenterà alcun reclamo tendente a cambiare il risultato del campo, che riconosce ottenuto dall’Olympique Marsiglia con pieno merito
Sorvolando sulla “molteplicità di tifosi” in campo che avrebbero concorso a impedire lo svolgimento del match, è chiaro l’intento di Berlusconi di smorzare i fuochi della polemica e di cercare rifugio in parole all’insegna della sportività verso gli avversari. Ma, come si vedrà, è solo una captatio benevolentiae mascherata da signorilità. In un altro comunicato la società chiede indirettamente clemenza all’Uefa segnalando che «una stagione senza Milan in Europa rappresenterebbe un danno anche per le casse della Federazione europea».
La Commissione di Controllo e Disciplina dell’Uefa non tarda però ad emettere la sua sentenza: a fine marzo il Milan è ufficialmente escluso per un anno dalle coppe europee, graziato invece il capitano Baresi che per ben tre volte era stato invitato dall’arbitro a tornare in campo. Una volta appresa l’entità della squalifica il presidentissimo Berlusconi cambia rotta, dichiarandosi schifato da una sentenza «sproporzionata», quindi si lancia in una risibile difesa della sua squadra, affermando che il Milan è «la società che ha imposto una sua filosofia basata sul rispetto degli avversari e sulla responsabilizzazione dei suoi giocatori, eroi positivi esemplari per i giovani».
I dirigenti rossoneri presentano un ricorso ma la Commissione d’Appello di Ginevra lo respinge senza mezzi termini sottolineando nella motivazione che «un anno di sospensione dalle competizioni europee è la minima sanzione possibile».
Di fronte all’ineluttabilità del verdetto, Berlusconi si premura di svelare definitivamente il suo pensiero sull’accaduto, facendo sfoggio di periodi e locuzioni tipici del suo dizionario mediatico-comunicativo. L’intervista rilasciata dal presidente è a dir poco sconcertante. Quando tutti si aspettano un mea culpa o, quantomeno, un onorevole silenzio, il grande capo di Arcore opta invece per il contrattacco, non trovando niente di meglio che accusare il suo omologo d’oltralpe, Tapie:
È un verdetto duro perché, evidentemente, è saltato il coperchio dell’invidia. Perché al mondo ci sono due tipi di persone: i costruttori, come lo sono io, e i distruttori che credono di realizzarsi distruggendo e minimizzando i successi altrui. […] Comunque, c’è un mare di dubbi sulla regolarità di quella partita, Tapie lo conosciamo benissimo, sappiamo quanto è bravo a lavorare sotto… Era ovvio che l’arbitro non avrebbe mai fischiato contro i francesi, che non ci avrebbe mai assegnato un rigore a favore (il rigore c’era quasi, ma per l’OM, nda). C’è stato un nostro errore di valutazione, ma occorre tener conto dell’atmosfera in campo: ci hanno lasciato al freddo impedendoci di rientrare negli spogliatoi (comunque al freddo, si fa per dire, c’erano anche gli avversari, nda), sono volati spintoni, c’era un clima intimidatorio e il terreno era pieno di persone non autorizzate.
Solo un dubbio è rimasto da quella sera di marzo: e se ci fosse stata la Juve? Quante volte avremmo rivisto Moggi o Giraudo che, con le loro manone, chiamavano i giocatori verso l’uscita? Ma a Mediaset la memoria è una questione di convenienza ed opportunità: quante volte ci è toccato vedere, sugli schermi berlusconiani, milanisti trionfanti e quante volte invece abbiamo visto l’impermeabile bianco di Galliani agitarsi nella notte del Velodrome? A voi la risposta.
Quello marsigliese, allenato dal belga Raymond Goethals, è collettivo dai piedi assai fini ma allo stesso tempo dalle maniere ruvide. La partita, di conseguenza, è tesissima: i primi 25 minuti sono tutti dell’Olympique che va vicino al gol in due occasioni poi, alla mezz’ora, il confronto si riequilibra. Tuttavia il Milan, per tutta la prima frazione, non riesce ad organizzare una valida azione d’attacco: tiene possesso del pallone ma solo una volta riesce a rendersi pericoloso, con Gullit, al 29’.
Nell’intervallo Italia 1 propone i momenti salienti: Massimo Marianella esordisce con «il Milan è frenato dall’arbitro», riferendosi ad un controverso fuorigioco fischiato a Rijkaard con il portiere francese Olmeta che, comunque, raggiunge il pallone prima dell’olandese. Si sorvola però su un possibile rigore su Papin, travolto in uscita da Sebastiano Rossi. Il secondo tempo comincia come era finito il primo, con il Marsiglia a tener lontano i rossoneri dalla propria area e a proporsi con valide offensive orchestrate da Waddle e Papin. Il telecronista di Italia1, Bruno Longhi, che fino a quel momento era stato sufficientemente imparziale, comincia a dare segni di cedimento: «l’arbitro ha deciso di punire ancora una volta la formazione rossonera» e «l’arbitro ha punito il Milan» dopo una segnalazione di fuorigioco; quindi si lascia andare ad una dichiarazione che sa di speranza: «il Marsiglia sta soffrendo enormemente». In realtà è il Milan a non vedere mai la porta avversaria, se è vero che l’unica conclusione a rete arriva su una punizione di Evani al 59’. Da lì in avanti, più nulla.
Il match si inasprisce e Maldini si segnala per una mezza gomitata a Waddle che Longhi minimizza. La scena si ripete al 65’con il difensore milanista che stavolta picchia più duro. In cabina di regia ritengono immediatamente opportuno mandare lo stacchetto pubblicitario. Quando si ritorna sulla partita l’inglese è ancora a terra e Longhi chiosa: «è un ritornello che si sta ripetendo troppo frequentemente. L’intervento di Maldini non ci pare così grave» per poi aggiungere, enfatico: «ogni caduta (dei francesi, nda) dura dai due minuti ai due minuti e mezzo». È pur vero che l’OM pratica un gioco deciso e che l’arbitro svedese Bo Karlsson sembra un po’ svagato, ma è altrettanto vero che questi sorvola su una manata di Tassotti, già ammonito, ad un avversario che chiedeva il pallone per rimettere in gioco. Longhi ce la mette tutta per restare distaccato ma, allorché gli sovviene memoria delle direttive padronali, scioglie le briglie: «c’è un fallo incredibile su Massaro» urla dopo un’entrata dura, ma onesta, di Mozer sul rossonero.
La doccia fredda arriva al 75’: Abedi Pelé crossa dalla sinistra, Papin al limite dell’area stacca e allunga per l’accorrente Waddle che con un diagonale velenoso infila Rossi, 1-0. La partita si incattivisce ulteriormente e il nervosismo è palpabile. Il Milan non riesce ad avvicinarsi all’aria avversaria e sono i padroni di casa a sfiorare il raddoppio con Vercruysse che, all’88’, fallisce incredibilmente, solo davanti al portiere. C’è un aria pesantissima tra le file rossonere e i giocatori sembrano rassegnati al punto da dimenticarsi di Waddle che, dopo aver dribblato mezza squadra, si presenta lanciatissimo davanti a Rossi. Il portiere si butta a valanga e la palla si perde sul fondo. Ma non c’è tempo per i replay perché è proprio in questa azione che accade una cosa inaspettata: uno dei riflettori del Velodrome si spegne improvvisamente. Il novantesimo è passato da 40 secondi e rimangono circa 3 minuti di recupero da disputare. L’arbitro Karlsson interrompe il gioco e molti milanisti cominciano a guardarsi tra loro, subodorando l’opportunità di un’imprevista salvezza: dopo alcuni istanti sembra che i rossoneri, imbeccati dal responsabile organizzativo Paolo Taveggia, non vogliano proseguire la gara.I più convinti sono Gullit e Baresi. L’olandese, intervistato al volo da Marco Francioso, dichiara: «regolamento dice che bisogna esserci le luci accese».
Francioso non perde l’occasione e subito insinua: «Esatto, e poi con un arbitro così…». La confusione sul terreno di gioco aumenta e l’inviato a bordo campo è eroico, quasi commovente, quando comunica a Longhi che «mi impediscono anche di parlare, i francesi. Ti ridò la linea» salvo riprenderla subito dopo per aggiungere: «altrimenti diremmo le cose come stanno» Francioso, nonostante il “divieto”, riesce a raggiungere Tassotti il quale, molto sportivamente, chiarisce: «Non c’è nessun problema, non è che non vogliamo giocare perché stiamo perdendo. Ecco, vedete, ora si è riacceso. Giochiamo». Alla sincerità del terzino fa da contraltare la faccia di Gullit quando si accorge che il riflettore è tornato a funzionare. L’arbitro comunica ai 22 in campo che è il momento di riprendere la gara ma il trecciolone tiene a ribadire che la luce deve essere accesa completamente.
Il faro è operativo per tre quarti ma Longhi propone la sua versione: «l’arbitro ha denunciato limiti paurosi. Eccolo che vaga per il campo. Il riflettore funziona all’incirca al 40% (in tv si vede benissimo in tutte le zone, nda)». Ma è ancora Francioso a dare il meglio: «Baresi non vuole ritornare in campo. Baresi rifiuta giustamente di tornare perché il faro si è riacceso al 25% o forse meno. Baresi continua a guardare il riflettore e fa il segno degli occhi. Dice che non ci si vede» per poi concludere: «da come ha arbitrato mi sa che anche il direttore di gara è abbastanza indeciso sul regolamento[/b]».
Ad un certo punto, la svolta: un uomo con l’impermeabile bianco si avvia a grandi passi verso il centro del campo. È il vicepresidente Adriano Galliani, all’epoca con ancora un cerchio di capelli attorno alla sommità liscia del cranio. Galliani si porta verso l’imboccatura degli spogliatoi e, con ampi gesti delle mani, convoca i giocatori. Ha deciso: il Milan abbandona la partita.
Quando il riflettore ha aggiunto altra potenza ed è quasi completamente recuperato, Francioso si affretta a sottolineare che «[i]in effetti dalla mia parte non si vede». Longhi comunica che Taveggia sta già pensando di presentare un esposto scritto ma è di nuovo interrotto dallo zelante inviato sul campo: «i giocatori sono assolutamente intenzionati a rientrare negli spogliatoi. Ci sono addirittura gli inservienti che mettono le mani addosso ai giocatori del Milan. Incredibile anche questa fase». Longhi lo sostiene («Taveggia giustamente scuote il capo. No, così non si può giocare») e, dopo che le immagini della regia francese passano sugli spalti dove i tifosi del Diavolo si stanno azzuffando con la polizia, il telecronista chiarisce subito la sua versione dei fatti: «non so se definirla una loro provocazione o una provocazione della polizia francese». Nel frattempo si accendono ancora altre luci e la visibilità è ormai totalmente ripristinata. Di nuovo interviene Longhi precisando che «si sono accesi altri riflettori. Riflettori, ovviamente, meno potenti». Francioso, orgoglioso, richiede la linea e proclama che «il Milan va via».
L’arbitro Karlsson, accertatosi delle ripristinate funzionalità dell’impianto, prende il pallone in mano, attraversa il campo a grandi falcate e posiziona la sfera nel punto in cui deve essere ripreso il gioco: un calcio di rinvio a favore del Milan. I giocatori del Marsiglia si ridispongono in campo ma i milanisti assolutamente non ne vogliono sapere. Longhi è colto da un dubbio tremendo: «il Milan dovrebbe adeguarsi o rischierebbe altre sanzioni». Il capolavoro finale è firmato ancora dall’immarcescibile Francioso che, affannatissimo, rivela un particolare che profuma di inconfessabile speranza: «ho raccolto una voce a bordo campo: anche se la luce dovesse funzionare, c’è stata comunque un’invasione di campo a gioco in corso», riferendosi all’ingresso sul terreno di gioco della panchina marsigliese dopo un fischio di Karlsson, interpretato come quello finale. “Invasione” durata 15 secondi.
Una volta accertata l’ostinazione del Milan nel non voler rientrare, l’arbitro fischia la fine dell’incontro. Lo stadio esplode in un urlo di gioia, i giocatori francesi si abbracciano e vanno a salutare i tifosi. I milanisti fanno un mesto ritorno negli spogliatoi, ma c’è ancora tempo per un commento di Ancelotti («La realtà è che è andata via la luce e non è ritornata») e un augurio di Bruno Longhi («la partita non è finita regolarmente. Ci sarà sicuramente un’appendice»).
Galliani, negli spogliatoi, fa sapere ai giornalisti che presenterà un ricorso ma dimentica che, affinché il ricorso possa essere quantomeno visionato, è necessario che la partita venga ugualmente portata a termine. Il giorno seguente, ecco le reazioni della stampa: il quotidiano transalpino Libération titola «Squallida manovra del Milan per far ripetere la partita», la Gazzetta dello Sport preferisce un sintetico: «Milan vergogna» rinforzato da un occhiello a pagina 5 «Vergogna Marsiglia / Mai un abbandono in 36 anni di coppe». Gianni Mura, su Repubblica, va a fondo: «Se è mai esistito nella storia del calcio italiano di ogni tempo un “giorno della vergogna”, questo non può che essere il 20 marzo 1991». Venerdì 22 marzo la Gazzetta dedica un fondo, a firma di Franco Arturi, che analizza a mente fredda l’incredibile telecronaca di Italia1:
Quanto a perdita di faccia il Milan di Marsiglia non ha voluto essere secondo a nessuno. Ebbene, le sue prodezze alla rovescia sono state accompagnate da una voce come quella di Bruno Longhi (ma anche di Marco Francioso, telecronista a bordo campo), che definire faziosa è ancora poco. Su questo versante c’è una situazione professionale e umana tutta particolare e da tener presente prima di formulare un giudizio: chi paga lo stipendio ai telecronisti è il presidente del Milan. Ma è impossibile tacere una serie di autocensure talmente lunga da cadere nel ridicolo. C’era un’impotenza tecnica del Milan mai sottolineata, ci sono stati dei falli di rossoneri puntualmente denunciati dalla moviola e “perdonati” con una rapidità sconcertante, c’era un’accusa tambureggiante e fuori luogo all’arbitro e ai giocatori francesi, c’è stato poi l’episodio del ritiro della squadra e delle concitate frasi finali, commentati in modo inaccettabile sotto tutti i punti di vista, a partire da quello cronistico. Il Milan sarà sempre croce e delizia per le reti televisive di Berlusconi. Ma se il suoi dipendenti non sono in grado di garantire almeno una parvenza di imparzialità, la reazione del pubblico non potrà che essere molto negativa alla lunga (purtroppo questa previsione non si avvererà mai: alle reti Fininvest sono bastati quattro culi all’ora di cena e un po’ di comici sgangherati per tornare a fidelizzare il pubblico). Mettiamoci in mente (Rai e Fininvest) che a ciascuno spetta soltanto il proprio ruolo: al tifoso di sostenere più o meno ciecamente la propria squadra, al giornalista di raccontare ciò che vede. Se invertiamo le parti ci perderemo tutti.
Galliani, nelle interviste dopo la partita, aveva fatto sapere che la decisione di ritirare la squadra era stata avallata anche dal presidente Berlusconi (che non era presente allo stadio). La società, il giorno seguente, lo smentisce con un comunicato ufficiale, firmato proprio dal presidente:
con riferimento alla partita Olympique Marsiglia-Milan di ieri, il Milan si dichiara dispiaciuto per quanto occorso nei minuti finali della gara a seguito dell’insolito incidente verificatosi all’impianto di illuminazione dello stadio e dalla presenza in campo di una molteplicità di tifosi, situazioni che hanno determinato nei dirigenti accompagnatori della squadra il convincimento che la partita non potesse concludersi regolarmente. Il Milan, peraltro, non presenterà alcun reclamo tendente a cambiare il risultato del campo, che riconosce ottenuto dall’Olympique Marsiglia con pieno merito
Sorvolando sulla “molteplicità di tifosi” in campo che avrebbero concorso a impedire lo svolgimento del match, è chiaro l’intento di Berlusconi di smorzare i fuochi della polemica e di cercare rifugio in parole all’insegna della sportività verso gli avversari. Ma, come si vedrà, è solo una captatio benevolentiae mascherata da signorilità. In un altro comunicato la società chiede indirettamente clemenza all’Uefa segnalando che «una stagione senza Milan in Europa rappresenterebbe un danno anche per le casse della Federazione europea».
La Commissione di Controllo e Disciplina dell’Uefa non tarda però ad emettere la sua sentenza: a fine marzo il Milan è ufficialmente escluso per un anno dalle coppe europee, graziato invece il capitano Baresi che per ben tre volte era stato invitato dall’arbitro a tornare in campo. Una volta appresa l’entità della squalifica il presidentissimo Berlusconi cambia rotta, dichiarandosi schifato da una sentenza «sproporzionata», quindi si lancia in una risibile difesa della sua squadra, affermando che il Milan è «la società che ha imposto una sua filosofia basata sul rispetto degli avversari e sulla responsabilizzazione dei suoi giocatori, eroi positivi esemplari per i giovani».
I dirigenti rossoneri presentano un ricorso ma la Commissione d’Appello di Ginevra lo respinge senza mezzi termini sottolineando nella motivazione che «un anno di sospensione dalle competizioni europee è la minima sanzione possibile».
Di fronte all’ineluttabilità del verdetto, Berlusconi si premura di svelare definitivamente il suo pensiero sull’accaduto, facendo sfoggio di periodi e locuzioni tipici del suo dizionario mediatico-comunicativo. L’intervista rilasciata dal presidente è a dir poco sconcertante. Quando tutti si aspettano un mea culpa o, quantomeno, un onorevole silenzio, il grande capo di Arcore opta invece per il contrattacco, non trovando niente di meglio che accusare il suo omologo d’oltralpe, Tapie:
È un verdetto duro perché, evidentemente, è saltato il coperchio dell’invidia. Perché al mondo ci sono due tipi di persone: i costruttori, come lo sono io, e i distruttori che credono di realizzarsi distruggendo e minimizzando i successi altrui. […] Comunque, c’è un mare di dubbi sulla regolarità di quella partita, Tapie lo conosciamo benissimo, sappiamo quanto è bravo a lavorare sotto… Era ovvio che l’arbitro non avrebbe mai fischiato contro i francesi, che non ci avrebbe mai assegnato un rigore a favore (il rigore c’era quasi, ma per l’OM, nda). C’è stato un nostro errore di valutazione, ma occorre tener conto dell’atmosfera in campo: ci hanno lasciato al freddo impedendoci di rientrare negli spogliatoi (comunque al freddo, si fa per dire, c’erano anche gli avversari, nda), sono volati spintoni, c’era un clima intimidatorio e il terreno era pieno di persone non autorizzate.
Solo un dubbio è rimasto da quella sera di marzo: e se ci fosse stata la Juve? Quante volte avremmo rivisto Moggi o Giraudo che, con le loro manone, chiamavano i giocatori verso l’uscita? Ma a Mediaset la memoria è una questione di convenienza ed opportunità: quante volte ci è toccato vedere, sugli schermi berlusconiani, milanisti trionfanti e quante volte invece abbiamo visto l’impermeabile bianco di Galliani agitarsi nella notte del Velodrome? A voi la risposta.