1) Il bicchiere mezzo pieno (per quanto lunga possa essere la notte il giorno verrà)
Possiamo dirlo: nonostante questo verdetto non ci piaccia abbiamo qualche motivo per sorridere. A denti stretti e a pugni chiusi ma è pur sempre un sorriso. Perché alla fine della fiera, viste le premesse, non è andata poi cosi male: due assoluzioni (Bonucci e Pepe) e una condanna che, pur dolorosa e ingiusta, si è comunque notevolmente alleggerita. Perché: di fronte a una giustizia (rigorosamente con la g minuscola) sportiva incompetente, presuntuosa e arrogante; dinanzi a un sistema che non riconosce i piu elementari diritti di difesa che sono propri di ogni ordinamento giuridico degno di questo nome, un sistema nel quale la parola di un reo confesso rischia di valere più di quella di venti galantuomini; al cospetto di un procuratore federale che interpreta il proprio ruolo come un avvocato dell'accusa munita di superpoteri; in presenza di giudici tifosi (ogni riferimento a Sandulli è puramente voluto); e considerato anche l'atteggiamento dei vertici di FIGC e CONI, ivi compresa la "tempestiva" riconferma dei vertici della giustizia domestica; il risultato ottenuto è da considerarsi certamente positivo. Insomma non si può sempre vincere, qualche volta bisogna accontentarsi di portare a casa la pelle. In attesa di tempi migliori. E allora consoliamoci pensando che mezza squalifica del nostro condottiero è gia stata scontata. Insomma l'alba non è poi così lontana.
2) Il bicchiere mezzo vuoto (Roma dista 1500 km da Berlino)
Abbiamo però anche altrettante ragioni per essere insoddisfatti da un verdetto cerchiobottista e diremmo quasi democristiano nel voler salvare capra e cavoli e nel cercare di non scontentare nessuno: una sostanziosa riduzione della squalifica per l'accusato ma anche una seppur parziale conferma dell'impianto accusatorio della FIGC. Un verdetto equilibrato, potrebbe dire un osservatore superficiale, ma chi ha seguito con un minimo di attenzione la faccenda ha la sensazione che sia piuttosto un giudizio pilatesco. Perché il teste principale e unico accusatore del tecnico bianconero, ancorché entrato in questo processo con l'aureola del "superattendibile" , patente concessa dalla Procura federale con una leggerezza a dir poco sospetta, ha progressivamente perso di credibilità nonostante le arrampicate sugli specchi di Palazzi e la sua fantasiosa teoria dell'arricchimento progressivo.
Persino il giudice Sandulli (quello che, parole sue, tifa Lazio ma prima di tutto odia la Juve) aveva riconosciuto, per quanto riguarda Novara-Siena, che annunciare l'esistenza di una combine a tutto lo spogliatoio fosse qualcosa di alquanto improbabile. Ragion per cui la scivolata sulla questione Mastronunzio poteva e doveva rappresentare il bollo sull'unica patente che competeva a Carobbio dall'inizio di questa brutta storia: quella di bugiardo.
Assolvere Conte sbugiardando Carobbio avrebbe però significato assestare un gravissimo colpo a buona parte dell'inchiesta sul calcioscommesse, che sulle sue dichiarazioni si era basata. Ci voleva coraggio, ed è quanto siamo certi avrebbe fatto quel giudice di Berlino che ispirò il detto divenuto proverbiale.
Roma però è assai distante da Berlino e i componenti del collegio arbitrale che hanno deciso la sorte di Antonio Conte hanno preferito seguire un altro detto, ossia quello di don Abbondio: "Il coraggio se uno non ce l'ha non se lo può dare".
Giustizia carobbia
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- By Alberto Marchiani