Non c'è che dire, dopo la conferenza stampa di Conte e dei suoi avvocati (particolare, quest'ultimo, un po' trascurato) Petrucci e Abete hanno risposto con due messaggi forti e alti, altissimi.
Tanto alti, che da lassù quel che succede a terra è impossibile vederlo: non hanno parlato di fatti, pur trattati in quella conferenza, e hanno invocato rispetto per la giustizia sportiva, pur riconoscendo la legittimità della critica.
Si alzi chi non sottoscrive questo appello.
Nelle loro parole c'è però una rivendicazione di intoccabilità e immutabilità del sistema, che concede tutt'al più un diritto di critica, purché rispettosa. Le loro succinte parole, infatti, non spiegano se la critica dell'arbitrarietà del sistema superi o meno il limite del rispetto.
Ma le istituzioni debbono essere rispettate comunque e, prima di tutto, dai suoi organismi, da chi ne scrive le regole e da chi le applica.
Cerchiamo di volare alti pure noi, non alla stessa quota di Petrucci e Abete, altrimenti non avremmo nulla da dire. Scendiamo appena un poco più in basso, quanto basta per avvistare il rispetto che le istituzioni hanno di se stesse.
La conferenza di Conte e dei suoi avvocati non nasce dal nulla: "Ci avete tirato per i capelli" ha detto uno dei legali.
Petrucci e Abete a questo non fanno cenno, non ci hanno mai fatto neppure caso.
Nei due gradi finora svolti del processo Conte sono accadute cose non del tutto normali e rispettose delle istituzioni della giustizia sportiva.
Non sappiamo se avvengano sempre e ci facciamo caso ora, solo perché negli altri casi non ci interessano i loro protagonisti: in questo caso Abete avrebbe qualche ragione di rimproverarci, come ha fatto, ma sarebbe poca cosa rispetto al rimprovero che dovrebbe fare a se stesso, che non se ne sarebbe accorto mai, pur dovendogli stare a cuore qualunque sia il protagonista.
Se invece quel che è accaduto è successo solo in questo o in altri sporadici casi, Abete dovrebbe chiedersene il perché. E magari scovare se tra le sue o altrui competenze ci sia quella di aprire un'inchiesta amministrativa, oppure di denunciare se vi siano violazioni disciplinari; ed ancora se l'inerzia in tal senso di questo o quell'organo competente non configuri una omissione di denuncia o una violazione di un proprio dovere.
Nel primo grado di giudizio abbiamo assistito in cronaca diretta ai lavori della camera di consiglio della Commissione Disciplinare fino al preannuncio del verdetto. Camera di consiglio durata qualche giorno e senza continuità, pare di capire.
Se ci fossero stati dubbi sul fatto che ciò che accadeva in camera di consiglio finiva nei giornali, nei siti e perfino nelle twittate dei giornalisti, ci ha pensato il vicedirettore della Gazzetta, Ruggiero Palombo, un altro che non disdegna di volare a volte altissimo, che si è vantato pubblicamente di avere fatto con il suo giornale uno scoop grazie a loro contatti giornalistici. Non pensiamo si riferisse a qualche usciere origliante. O forse sì?
Non sappiamo quali siano le regole circa lo svolgimento delle camere di consiglio, regole, non solo queste, che Abete dice essere impegnato a far rispettare. Noi immaginiamo che riservatezza e autonomia di un organo giudicante richiederebbero che non sia possibile all'esterno raccontare gli orientamenti della discussione all'interno di una camera di consiglio, consentire che con interventi esterni si possa influenzarne l'orientamento, anticipare sui mezzi di informazione il verdetto adottato prima della pubblicazione. Ne va del rispetto non solo della persona giudicata, ma dello stesso organo giudicante.
Rispetto dovuto anche da parte dei giornalisti, a maggior ragione di quelli che hanno la pretesa di informare ed orientare.
Né Petrucci né Abete hanno in quell'occasione battuto ciglio, erano impegnati a contare le medaglie olimpiche. Qualcuno - non ricordiamo chi - l'aveva detto, che durante le Olimpiadi non si sarebbe lasciato distrarre dagli strepiti di Scommessopoli. Le Olimpiadi sono finite, la conta pure, ma il silenzio é continuato.
Eppure basterebbe un piccolo ritocco al codice di giustizia sportiva: 'Terminata la discussione al dibattimento, i giudici si ritirano nel segreto della camera di consiglio, dove si trattengono per il tempo necessario per la decisione e da cui escono per leggere alle parti in pubblica udienza il dispositivo della decisione. La motivazione sarà depositata entro un certo termine'.
Sarebbe un attentato alla "peculiarità" della Giustizia Sportiva? A cosa serve questa apparente "comunella" tra processi sportivi e stampa?
Nel secondo grado di giudizio abbiamo apprezzato l'operato del Presidente della Corte di Giustizia Federale, Gerardo Mastrandrea, che - a quel che è dato capire - ha portato in camera di consiglio la Corte non appena terminata la discussione e non l'ha fatta uscire di lì finché non si è arrivati al verdetto.
Immaginiamo che questa decisione di dare concentrazione e continuità alla discussione in camera di consiglio sia stata la conseguenza di quanto accaduto nel primo grado di giudizio. Ed i risultati si sono visti.
Forse qualche spiffero è passato anche in questo caso, ma niente di paragonabile al primo grado.
Se non ci fosse stata la sortita finale di Sandulli, esplosa come molla non più compressa, non avremmo avuto granché da eccepire.
Circa questo singolare episodio, è nostra opinione che sia in ogni caso non consono al proprio ruolo che un giudice commenti le motivazioni delle proprie fresche decisioni con l'esterno, men che meno prima della pubblicazione della sentenza, con la stampa e usando espressioni inadeguate quali "A Conte gli è andata bene". Qualcuno potrebbe pensare che non siano state applicate le regole del processo e che sia stato fatto un favore al condannato, infliggendogli così anche una condanna morale presso la pubblica opinione.
Rispetto per il condannato, per i suoi difensori e per gli altri membri della Corte.
Gli organi di giustizia devono, secondo noi, parlare il linguaggio della giurisdizione e preferibilmente farlo nelle motivazioni delle proprie formali decisioni. Chi non è in grado di adeguarsi dovrebbe dedicarsi ad un altro mestiere.
Anche in questo caso Petrucci e Abete sono rimasti silenti, come alberi e come pietre del Peloponneso.
C'é voluta la conferenza stampa di Conte per farli tornare, anima e corpo, da Olimpia.
Rispetto per la Giustizia Sportiva! /1
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- By Redazione