Come ormai ben sappiamo, Antonio Conte è stato incolpato dalla Procura Federale di omessa denuncia. Questa accusa poggia principalmente sulle parole del "pentito" Filippo Carobbio, detto "Pippo", il quale sostanzialmente accusa Conte di aver saputo, ai tempi in cui era l'allenatore del Siena, che le partite Novara-Siena e Albinoleffe-Siena del maggio 2011 erano state combinate. In mancanza della possibilità di controinterrogare il grande accusatore reo-confesso del proprio assistito, il pool difensivo dell'attuale Mister della Juventus ha portato all'attenzione dei vari giudici sportivi tre elementi che minano, a loro giudizio, alle fondamenta la credibilità dei racconti di Pippo:
1) il rancore dell'ex calciatore di Conte nei suoi confronti per via del mancato permesso di assistere la moglie durante il parto;
2) la necessità di alleggerire in qualche modo la propria posizione cercando di far derubricare un'accusa di associazione per delinquere con aggravanti in una semplice frode sportiva;
3) la contraddizione tra alcune delle sue dichiarazioni e quelle rese da un altro "pentito" eccellente di Scommessopoli, Carlo Gervasoni.
Del primo punto non ci occuperemo in questa sede, mentre affronteremo nel dettaglio gli altri due riportando ed analizzando le motivazioni addotte dalla Corte di Giustizia Federale per rigettarli.
Orbene, anzi, "ed invero, non può non evidenziarsi la contraddizione in cui incorre l'odierno appellante che, da un lato, afferma che la magistratura di Cremona (sia inquirente che giudicante) ritiene Carobbio un soggetto che non merita la qualifica di collaboratore perché rende dichiarazioni che sono un mix tra verità e fantasia, ma poi sostiene che Carobbio avrebbe parlato del coinvolgimento di Conte al fine di ottenere una derubricazione delle accuse penali nella più benigna ipotesi della frode sportiva.
Delle due l'una: o Carobbio non è credibile per la magistratura di Cremona e allora potrebbe raccontare qualunque cosa senza potere ottenere alcun vantaggio dal punto di vista dell'indagine penale; oppure Carobbio è credibile a prescindere di chi e di che cosa parla.
Alla luce di quanto sopra, questa Corte ritiene che il sig. Carobbio non meriti l'etichetta di 'bugiardo incallito' come anche di quella di soggetto di 'assoluta credibilità', per come affermato dalla C.D.N. (espressione, quest'ultima che ha dato la stura alla difesa di Conte per parlare di una sorta di divinizzazione di Carobbio) e che le dichiarazioni dello stesso debbano, pertanto, essere valutate oggettivamente prescindendo da quello che sembra un vero e proprio preconcetto, nel bene e nel male". (C.U. 031/CGF, pag. 9)
Viene da chiedersi che tipo di logica abbiano usato i giudici per arrivare a tali conclusioni. Non certo quella di causa/effetto. Facciamo l'analisi: i giudici sostengono che vi sia una contraddizione tra il cercare di coinvolgere Conte per ottenere una derubricazione ed il fatto che Carobbio venga giudicato non credibile dalla magistratura di Cremona. Qui di contraddizioni in realtà non se ne vedono, poiché è perfettamente compatibile, anzi segue proprio la logica causa/effetto, il fatto che Carobbio possa dichiarare alla magistratura di Cremona cose non vere per cercare di ridurre il tenore delle imputazioni ed il fatto che la magistratura stessa successivamente valuti il teste come poco attendibile. Inoltre è perfettamente credibile che, anche in seguito ad un giudizio di scarsa attendibilità, un imputato faccia ulteriori tentativi per liberarsi di gravi accuse cercando in qualche modo di recuperare credibilità. Stiamo parlando di gente disperata che rischia anni di prigione. E se fosse vero tutto ciò, ed in alcuni casi ne abbiamo addirittura la controprova, ad esempio le 20 e passa testimonianze, tra cui alcune giurate, che smentiscono Carobbio sul contenuto della riunione tecnica pre-Novara-Siena, che giudizio morale e di credibilità dovremmo dare al pentito?
Passiamo ora all'ultimo punto, le contraddizioni dei pentiti. La Corte scrive: "quanto, poi, alla presunta incoerenza tra le dichiarazioni di Carobbio e quelle dell'altro 'pentito', Gervasoni, atteso che il primo avrebbe parlato di un accordo illecito finalizzato ad un risultato di pareggio a reti bianche, mentre il secondo avrebbe riferito che obiettivo del c.d. 'clan degli zingari' era un OVER (segnatura di un numero di reti pari o superiore a 3), si evidenzia come trattasi di una discrasia ben giustificabile con il tentativo dei soggetti coinvolti di alleggerire la propria posizione; ciò che, tuttavia, rileva è che ben tre soggetti (Carobbio, Gervasoni ed Erodiani) abbiano espressamente affermato che tra gli spogliatoi di Novara e Siena era stato raggiunto un accordo illecito per un risultato di pareggio". (C.U. 031/CGF, pag. 9)
Quindi "si evidenzia come trattasi di una discrasia ben giustificabile con il tentativo dei soggetti coinvolti di alleggerire la propria posizione". Ma non era proprio questo ciò che il pool difensivo di Antonio Conte cercava di spiegare alla Corte per squalificare il pentito? Ora è la Corte che fa propria questa convinzione e lo spiega al pool difensivo. Ma allora, se un pentito parla per alleggerire la propria posizione e non per alleggerire la propria coscienza, che pentito è? E che credibilità possono avere le sue parole?
La credibilità di Carobbio e la logica della Corte Federale
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- By Stefano Abruzzese