Nel corso dell’ultima udienza del processo napoletano che mira a far luce sui presunti fattacci di Calciopoli il colonnello Auricchio, capo della squadra investigativa nota come “Offside”, ha reso una lunga deposizione sui metodi dell’attività investigativa svolta per conto della Procura inquirente.
Un punto delle dichiarazioni del colonnello Auricchio merita particolare attenzione. Devo confessare, a dirla tutta, di essere quasi caduto dalla sedia quando l’ho letto. “Ma come?” - mi sono chiesto - “sono sicuro di aver capito bene?”. Il punto in questione si condensa in una sola, candida ammissione: e cioè che, nella ridda magmatica delle indagini svolte, gli inquirenti non avevano ritenuto opportuno, se non utile, ascoltare la testimonianza dei notai che, di volta in volta, presenziavano (e verosimilmente verbalizzavano) le attività di sorteggio degli arbitri. Attività, questa, che sarebbe uno dei pilastri su cui si reggono le accuse mosse agli imputati.
Auricchio, sollecitato dalla pressione degli avvocati difensori, ammette che nessuno dei suddetti notai, presenti ai sorteggi, era stato ascoltato o interrogato, e che i medesimi professionisti non avevano mai verbalizzato “nulla di strano”. Ebbene: è stato quello il momento in cui ho rischiato di stramazzare. Perché, evidentemente, sono io che mi sbaglio. Ma vediamo di approfondire: forse finirò per raccapezzarmi, e chiedo scusa sin d’ora se dovrò adoperare un linguaggio tecnico, necessario però a valutare appieno il significato di quanto Auricchio ha detto in aula.
Uno degli esami del primo anno delle facoltà di Giurisprudenza italiane è il Diritto Privato che, sostanzialmente, approfondisce i “libri” che costituiscono il Codice Civile. Tra le nozioni fondamentali dell’intera materia vi è quella dettata da una norma dello stesso Codice, precisamente all’art. 2699, che recita testualmente: “L'atto pubblico è il documento redatto, con le richieste formalità, da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l'atto è formato”. Fin qui tutto chiaro. L’atto redatto dal notaio è dotato di pubblica fede; come dire che il notaio che redige l’atto (il verbale, nel nostro caso) gli attribuisce un valore “autentico”, capace di fornire certezza e verità di quanto in esso contenuto e descritto.
Il successivo art. 2700 precisa che: “L'atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti”.
Si tratta di due norme di capitale importanza nell’ambito del nostro ordinamento giuridico. L’atto redatto dal notaio dà luogo, per la sua particolare “fede privilegiata”, ad una presunzione assoluta di verità circa i fatti che il notaio attesta essere avvenuti alla sua presenza, o da lui stesso compiuti. Presunzione assoluta, è opportuno ribadirlo: cioè, presunzione che può essere superata soltanto in un caso: quando si riesca a dimostrare giudizialmente il contrario. In altri termini, i fatti avvenuti alla presenza del notaio e da questi riportati nell’atto si hanno per veri, regolari ed autentici, salvo querela di falso.
Questa, per sommi capi, è la nozione di cui parlavo. E si tratta, peraltro, di un caposaldo del nostro sistema di diritto. In tale contesto, giova dedicare un breve cenno alla figura del notaio e alle sue peculiari funzioni. Basta soltanto pensare al controllo di legittimità che il notaio è obbligato ad effettuare sugli atti compiuti davanti a sé; al controllo sulla regolarità assoluta di tali atti, e alla loro correttezza formale e giuridica; al controllo che certifica l’insussistenza di qualsiasi vizio di natura giuridica o sostanziale, che possa inficiare la validità dell’atto stesso.
Non bisogna dimenticare, inoltre, che il notaio è un professionista che si avvale di un potere che gli discende direttamente dallo Stato («Il notaio è un pubblico ufficiale delegato dall'autorità dello Stato ad attribuire agli atti di cui è autore il carattere di autenticità assicurandone al contempo la conservazione, l'efficacia probatoria e la forza esecutiva […]»: così la definizione comune data dai notariati europei riuniti a Madrid nel 1991). Il notaio, in quanto delegato dallo Stato, è il garante per eccellenza della regolarità, dell’imparzialità e della sicurezza giuridica degli atti.
Il giusto contrappeso a questa notevole attribuzione di poteri in capo al notaio è dato dall’art. 479 del codice penale il quale prevede: “Il pubblico ufficiale che, ricevendo o formando un atto nell’esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente che un atto è stato da lui compiuto o è avvenuto alla sua presenza, o attesta come da lui ricevute dichiarazioni a lui non rese, ovvero omette o altera dichiarazioni da lui ricevute, o comunque attesta falsamente fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, soggiace alle pene stabilite dall’art. 476”. Quella appena descritta è una condotta che integra la fattispecie del reato di falso ideologico.
E allora, tirando le somme: come mai si è posta in dubbio la regolarità di un’attività (quella del sorteggio) avvenuta alla presenza di un notaio verbalizzante, e le cui dichiarazioni fanno piena prova, fino a querela di falso?
Come mai nessuno dei notai presenti è stato mai ascoltato, quantomeno come persona informata dei fatti?
Come mai nessuno dei notai presenti è stato indagato per il reato di falso ideologico? Perché, se ho ben capito, gli inquirenti nutrivano il sospetto che i sorteggi arbitrali fossero truccati: e allora ne discende che il notaio presente ha omesso o alterato la realtà delle cose avvenute in sua presenza. Quindi perché non indagarlo formalmente? Com’è possibile che si accusino di gravi reati le stesse persone che avrebbero dolosamente consumato un raggiro, una truffa, e non si senta l’esigenza di acquisire almeno la testimonianza del notaio presente?
Come mai, se lo stesso Auricchio ammette che i notai presenti ai sorteggi non avevano mai verbalizzato alcunché “di strano”, poi si afferma che i sorteggi erano truccati? Perché non è mai stata proposta una querela di falso contro i verbali del notaio presente ai sorteggi? Non è una contraddizione in termini?
No, devo essere io a sbagliarmi: non ho capito niente, ai tempi dell’università, circa gli articoli che citavo. E’ doloroso scoprirlo adesso: tanti anni di studi completamente inutili.
E sapete il colmo dell’ironia? Dello stesso potere di “fede pubblica” che lo Stato attribuisce al notaio, godono anche altri pubblici ufficiali (art. 2699: “L'atto pubblico è il documento redatto, con le richieste formalità, da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato […]). E cioè, ad esempio: carabinieri e polizia. Anche le dichiarazioni di Auricchio sui fatti avvenuti in sua presenza sono degne di fede pubblica privilegiata, proprio come quelle di un notaio. Soltanto che, in questa vicenda, alcune dichiarazioni sono state valutate col metro della fede pubblica (quelle degli inquirenti); altre non sono state considerate per niente (quelle dei notai presenti e verbalizzanti). Dov’è l’inghippo?
Alla fine, nonostante abbia vacillato, dalla sedia non sono caduto. Sapete perché? Perché sono molto, troppo curioso di sapere come andrà a finire una simile farsa.
P.s. Ho parlato della faccenda con un notaio assolutamente digiuno di fatti calcistici. Non mi ha creduto.
Okay, la Gazzetta, ma almeno sentire i notai...
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