Singolare la scelta dei magistrati napoletani di affidarsi, in questa udienza, ai testimoni Aniello Aliberti, ex presidente della Salernitana, e Dario Canovi, avvocato ed ex procuratore sportivo. Singolare non soltanto per l'assoluta irrilevanza delle loro deposizioni nel provare l'associazione a delinquere, delineata dagli inquirenti, ma anche e soprattutto per le sentenze, passate in giudicato, che già hanno sconfessato le accuse formulate in data odierna dai testi. Francamente, data la riduzione della lista dei testimoni, richiesta dal collegio giudicante, i Pm napoletani hanno operato, così ci pare, una scelta improvvida e assai scarsa di risultanze.
Dario Canovi racconta, su impulso dei magistrati, dei suoi esposti alle autorità per la concorrenza e a quelle sportive, contro la GEA e i procuratori Zavaglia e Marronaro.
La storia più importante riguarda però la "prima" GEA, come da Canovi definita, ossia la prima organizzazione riconducibile ai "figli d'arte" Cragnotti, Geronzi e De Mita, in un tempo in cui Alessandro Moggi e Zavaglia non erano ancora associati.
Canovi era il procuratore di Alessandro Nesta, al tempo punto fermo della Lazio, società in cui a vario titolo operavano De Mita Jr e Tommaso Cellini, rappresentanti di quella "prima" GEA, per tacere dell'evidente appartenenza al club biancoceleste dei padri di Cragnotti e Geronzi.
Canovi racconta il passaggio di Nesta alla GEA, come confidatogli dal fratello del difensore, Fernando, per altro impiegato nel suo studio professionale.
Il difensore, oggi al Milan, fu accompagnato con una "limousine nera lunghissima" alla Presidenza della Banca di Roma, dove fu ricevuto da Geronzi che, promettendogli un radioso futuro, si sentì di puntualizzare che "ovviamente tu darai la procura alla GEA".
Questa "prima GEA", i cui protagonisti, come noto, non sono nemmeno arrivati a processo a Roma, avrebbe rappresentato un centro di potere che diramava dalla stessa Federazione. Rammenta Canovi che la figlia di Geronzi era una dipendente di Carraro in Figc, mentre il figlio di Carraro era un dipendente di Geronzi.
Insomma, fatti interessanti, ma in nessun modo attinenti al processo e all'accusa qui ed ora formulata.
Quanto alla "seconda GEA", si pronuncia con sostanziale vaghezza e indeterminatezza. Il cambio di procura di Chiellini fu, per ragioni non meglio specificate, "anomalo". Lamenta poi di essere stato l'ideatore del passaggio di Maresca dalla Juventus al Siviglia, ma poi di essere stato escluso come mediatore, in favore di un agente GEA. Scelta a cui avrebbe naturalmente concorso anche il Siviglia. Scelta che, ad ogni modo, il collegio difensivo nega essere avvenuta.
Infine piccolo scoop di mercato: proprio nella famigerata estate del 2006, racconta di avere trattato con la Juventus l'ingaggio di Antonioli come secondo portiere (era il favorito di Buffon), in veste di suo procuratore. Quale rilevanza per il processo? Pare che, "seppur marginalmente", si trovò a trattare con Mariano Fabiani, che alla Juventus non aveva nessuna carica.
Dettaglio del tutto marginale, per usarne il vocabolario, mentre è tutto sommato divertente constatare come certi personaggi abbiano fatto affari con la Juventus di Moggi sino ad un minuto prima dell'Apocalisse, per poi rivelarsi feroci testimoni di accusa 5 minuti dopo.
La difesa, rappresentata da Prioreschi e Trofino, snocciola con facilità una serie di atti giudiziari definitivi, che ridimensionano le seppur deboli accuse del Canovi: archiviazione da parte dell'Autorità Antitrust che nega l'abuso di posizione dominante, archiviazioni varie dell'Ufficio Indagini della Federcalcio (che ha comunque indagato), sentenza del Processo di Roma che attesta nessuna irregolarità nel caso Chiellini e scagiona la GEA dalle accuse dei magistrati e dei giornali.
L'obiezione, mossa dal Canovi, per cui la giustizia sportiva fosse nella totale disponibilità e controllo dei personaggi oggetto dei suoi esposti, è facilmente smontata quando gli si prospettano casi simili a quelli di Moggi: Pastorello, Fedele, Corvino. Asserisce, infatti, di avere inviato un esposto anche contro Pastorello, anch'esso però finito nel nulla.
Aniello Aliberti, invece, depone in merito a un episodio, rilevante solo per l'imputato Fabiani. Un Salernitana-Messina, finito 3-0 per i peloritani, arbitrato dall'arbitro Gabriele, imputato nel processo con rito abbreviato. Il Fabiani si sarebbe avvicinato al presidente campano, un'ora prima della partita, per offrirgli 300 milioni di lire (o l'equivalente in euro, la partita è del 2003), al fine di ottenere una vittoria, con il consenso dell'avversario. Aliberti avrebbe rifiutato, fiutando puzza di bruciato. La proposta, improvvida e inopinata, infatti avrebbe nascosto, nella sua opinione, un accordo diretto con l'arbitro. Aliberti infatti non avrebbe avuto tempo per istruire i giocatori e la proposta di Fabiani sarebbe stata formulata al solo fine di preparare il terreno ad un arbitraggio di parte, quale si rivelò, nell'opinione del teste, quello del Gabriele.
Insomma, Mariano Fabiani è un fine psicologo del malaffare: il Kasparov della frode sportiva.
L'avvocato Morescanti, difensore dell'ex dirigente del Messina, produce però due sentenze di archiviazione, dei Tribunali di Messina e Salerno, in merito alla vicenda. Aliberti nega di aver mai sporto denuncia (un'aggravante, a mio avviso) e di avere soltanto rilasciato queste dichiarazioni al quotidiano La Repubblica. In ogni maniera, la macchina giudiziaria si è messa in moto e ha scagionato il Fabiani.
Interrogato dalle difese, offre invece spunti interessanti riguardo alla prassi dei colloqui telefonici e delle visite con i designatori.
Ammette di avere chiamato più volte Bergamo per lamentarsi dei torti arbitrali, a suo dire subiti, e anche un pranzo con entrambi i designatori, alla presenza anche del funzionario federale Ghirelli, in merito agli stessi temi. Comportamenti che riferisce essere non censurati, ma considerati normali e incoraggiati dai vertici federali.
Le difese lo interrogano in particolare sulle sue lamentele verso l'arbitro Nucini, teste in questo processo.
Aliberti mostra di non ricordare particolarmente bene le sue deposizioni a riguardo. Gli avvocati chiedono e ottengono che la sua deposizione all'Ufficio Indagini della Federcalcio, in data 28 giugno 2006, venga allegata agli atti. In essa, le dichiarazioni dell'Aliberti sugli arbitraggi del fischietto bergamasco, quelle dichiarazioni che ora mostra di non rammentare.
Aliberti e Canovi: Testimonianze seppellite dalle sentenze
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