La nostra redazione ha finora seguito in maniera puntuale e certosina la sfilata dei testimoni dell’accusa chiamati a deporre dai PM. Abbiamo ascoltato personaggi variegati, alcuni dei quali davvero pittoreschi, la cui attendibilità sarà accuratamente verificata dal Tribunale. Il giorno 30 giugno però è stato chiamato in aula un testimone che, a nostro parere, va letto e considerato con estrema attenzione, non solo per il contributo riveniente dalla sua vicenda professionale ma anche in relazione alla sua figura di punto di vista umano e morale.
Stiamo parlando di Dario Galati, attualmente ancora in servizio presso la FIGC, e di cui si parlò nei primi giorni dello scoppio della Farsa (maggio 2006) come possibile testimone chiave a sostegno di una accusa che fin dai primi giorni cercava puntelli che potessero tenere in piedi il castello montato dai giornali. Fu subito chiamato come persona informata a dare il suo contributo, e lui non si tirò indietro. Fu ascoltato dai Carabinieri, dai PM, dai Giudici Sportivi. A tutti raccontò la sua verità, uno spaccato della vita federale e arbitrale dal 1992 al 2005. Una verità però poco funzionale al Tribunale degli orrori di Ruperto, lontana dal Moggicentrismo della Gazzetta dello Sport, e molto orientata a sollevare il velo sulle vere contraddizioni dell’organizzazione federale, del mondo arbitrale, e del calcio in generale. Un palcoscenico in cui Moggi agiva da attore, come tutti gli altri, adeguandosi ai ritmi di una regia malata che fin dal 1999 aveva allestito una trama ridondante di conflitti di interessi, colpi bassi, invidie e sospetti.
E’ interessantissimo dunque analizzare la sua deposizione, spesso su temi che la nostra redazione aveva già affrontato, e che vengono confermati da Galati, insieme ad alcune “ciliegine” che vanno ad impreziosire la torta dei sospetti per un gioco che ormai, negli anni 2004 e 2005, aveva cominciato a farsi davvero pesante.
Ecco dunque che interrogato dal PM Caputo (che ha sostituito Beatrice) Dario Galati racconta la sua storia. Dario ha 41 anni, è in FIGC dal 1992; inizialmente non venne assunto regolarmente ma era pagato con delle diarie. Cominciò a lavorare presso la Commissione Arbitrale Serie C e aveva come responsabili Benedetti, 1 anno Lombardo-Tedeschi, 3 anni Lanese e poi dal 1998-99 Pierluigi Pairetto, che lo scelse come suo collaboratore nonostante fosse a tutti gli effetti ancora un “precario”.
Il 1999 fu l’anno chiave. La LEGA CALCIO stava lavorando ad un progetto di “professionismo arbitrale". La FIGC accolse questo progetto, sebbene fosse chiaro a tutti che questa svolta costituiva una vera anomalia. Il progetto sembrava andasse contro l’AIA, e partoriva un conflitto di interessi che minava l’imparzialità dell’arbitro. Ci furono diverse proteste del sindacato arbitri che provocarono le dimissioni di un risentito Boggi (leggi il contenuto della sua lettera).
Fu organizzata così la famosa cena “delle sette sorelle” (Juventus, Inter, Milan, Roma, Lazio, Parma e Fiorentina) durante la quale fu deciso, a scapito di tutte le altre società, l’assetto che doveva essere dato alla nascente Commissione Arbitrale Nazionale di A e B.
La CAN partiva da zero, non aveva neanche il programma SINFONIA, il software in uso all’AIA che consentiva di calcolare automaticamente tutti i dati relativi agli arbitri ed evidenziarne quindi le possibili preclusioni e altre statistiche.
Paolo Bergamo fu indicato, dalla LEGA e dal suo Presidente Franco Carraro, come Responsabile Designatore. Tuttavia il Presidente della Roma, Franco Sensi, riteneva il candidato della LEGA troppo vicino “politicamente” ai club del nord e invocò l’elezione di un “doppio designatore”, proposto dalla FIGC e che fosse un vero e proprio garante.
Nizzola propose Pairetto che fu dunque accoppiato a Bergamo. Pairetto arrivò alla CAN portandosi dietro Dario Galati, che nel frattempo aveva provveduto a far assumere regolarmente e che quindi nei suoi confronti nutriva un debito di riconoscenza. Oltre a Galati alla segreteria della CAN arrivarono Maria Grazia Fazi, segretaria di Bergamo e Manfredi Martino che si occupava dei rimborsi spese.
Maria Grazia Fazi, che era in una situazione molto simile a quella di Galati, inquadrata praticamente come commesso, cercava di farsi notare ed era molto ambiziosa, per cui cercava di imporsi a volte anche verso i designatori facendo più di quello che le veniva chiesto.
In ogni caso i designatori consegnarono ai tre collaboratori un documento che era un vero e proprio mansionario, in cui era scritto che la Fazi era delegata a parlare con le società. Da notare che la CAN veniva pagata dalla LEGA, cioè dalle società stesse, autorizzandole inconsciamente a considerarla come una cosa propria.
Galati rimase alla Segreteria CAN fino al gennaio 2000, quando i giornali riportarono la famosa vicenda dei Rolex regalati agli arbitri dal Presidente della Roma Franco Sensi. Pochi giorni prima di Natale a Galati venne chiesto di inviare alla sede di Roma e Lazio gli indirizzi di casa di designatori, arbitri e guardalinee. Lui si rifiutò. Riteneva una cosa del genere un invito alla “regalia” e non lo reputava moralmente accettabile. Qualcun altro lo fece al suo posto. E, sollecitato anche nel corso del controesame dell’Avv. Prioreschi (difesa Moggi), chiarisce che la Roma regalò ai designatori degli orologi Rolex del valore commerciale di circa 25 milioni di lire, agli arbitri orologi Rolex da 5 milioni di lire e agli assistenti dei più economici orologi non Rolex del valore di qualche milione di lire. Racconta la sua amarezza, visto che solitamente i regali agli arbitri passavano dalle segreterie e venivano distribuiti sotto gli occhi di tutti, pur non raggiungendo mai quel valore commerciale.
Sollecitato dal PM ricorda altri episodi della sua permanenza presso quell’ufficio. In particolare riferisce del fatto che c’erano varie società che avevano preso l’abitudine di telefonare, alcune delle quali in maniera addirittura insistente, e ricorda di come in Serie C tale contatto fosse inusuale e solitamente affidato a supporti cartacei.
Sempre nel corso dell’esame del PM, Galati conferma la sua partecipazione alle riunioni della CAN, con Bergamo, Pairetto, Nicchi (attuale Presidente AIA n.d.r.), Celli, Guidi e la Fazi. Spiega nel dettaglio che il suo compito era di gestire il software, e segnalare a Pairetto i casi da moviola da mostrare ai raduni arbitrali.
Conferma che la Fazi non aveva compiti precisi all’interno della segreteria e che si limitava a supervisionare il lavoro. Sottolinea che le griglie venivano preparate dai designatori, ai quali si premurava di fornire solo le risultanze del software. Ribadisce che insieme alla Fazi preparava i bigliettini e le sfere per effettuare il sorteggio e che a causa di un loro errore sulle preclusioni i designatori presero l’abitudine di verificare quello che la segreteria aveva preparato. Ricorda che, nel corso della stagione 98/99, le prime giornate il sorteggio venne effettuato con palline di plastica particolarmente scadente, per cui successivamente arrivarono quelle di metallo verniciato, con chiusura a baionetta che nell’uso si segnavano, circostanza che a volte le rendeva riconoscibili. Su questo punto molto interessante l’intervento, nel corso del controesame di Galati, dell’Avv. Morescanti (difesa Fabiani), la quale sottolineava la fragilità delle palline di metallo, che a quanto pare subivano ad ogni sorteggio nuovi danni causati dal rimescolamento nell’urna, ragione per cui anche il riconoscimento esteriore era assolutamente empirico.
Come episodi particolari Galati racconta quello che accadde all’inizio della stagione 99-00. Sensi era alle prese con i suoi fantasmi e, in piena lotta di potere, alla seconda giornata ci fu un Roma-Inter che venne affidato all’arbitro Domenico Messina. Nel corso della partita la Roma si sentì danneggiata e nacquero le solite polemiche (da notare che la squadra favorita in quel momento sarebbe stata l’Inter….)
Al quinto turno fu reinserito Messina in griglia per la Fiorentina-Roma e Galati si preoccupò di segnalare che la cosa sembrava inopportuna, ma non fu ascoltato neanche dallo stesso Pairetto che invece gli disse che “aveva degli elenchi”, senza ulteriori commenti.
Altra piccola anomalia che Galati racconta è il sorteggio arbitrale per l’anticipo di serie B, che avveniva nella sede della CAN a cura degli impiegati della segreteria. In alcuni casi Galati segnala che i designatori gli chiesero di non farlo e di dire che l’arbitro sorteggiato fosse quello indicato da loro. Galati ricorda almeno tre episodi in cui ciò avvenne, ma precisa che le spiegazioni che gli furono date erano più che plausibili soprattutto in relazione a fatto che gli arbitri e le società interessate erano comunque sempre diverse.
Un importante episodio di conflitto di interessi fu il momento della nomina del rimpiazzo di Boggi come arbitro internazionale. Solitamente ciò avveniva su segnalazione da parte del Presidente dell’AIA al Presidente della FIGC che provvedeva alla nomina. I due designatori ritenevano però che la scelta fosse esclusivamente tecnica e su questa base proposero Tombolini, che si contrappose al candidato AIA appoggiato da Gonella, che era Farina. Non riuscendo a trovare un accordo rimisero la scelta al Presidente Federale, non prima di aver aggiunto un terzo candidato, De Santis, e aver commissionato uno studio tecnico quantitativo sul rendimento degli arbitri che fu preparato dallo stesso Galati, che però lo considerava poco significativo in quanto basato semplicemente su dati statistici e privo di altre importanti informazioni di tipo caratteriale e culturale. A spuntarla in quel caso fu Massimo De Santis (e probabilmente dei tre era davvero il migliore tecnicamente, visti i disastri che gli altri due hanno combinato negli anni successivi).
Galati lavorò quindi alla Segreteria CAN per poco più di sei mesi dal luglio 99 a gennaio del 2000. Successivamente, essendo in buoni rapporti con Virginio Quartuccio chiese di andare a lavorare alla segreteria AIA, e in séguito al settore giovanile scolastico dove conobbe Innocenzo Mazzini che, quando venne eletto vicepresidente della FIGC nel dicembre 2001, gli propose di seguirlo presso la sua segreteria dove prestò servizio fino al maggio del 2005.
Tra gli episodi salienti dei suoi anni alla vicepresidenza federale Galati ricorda una telefonata di Mazzini in cui il vicepresidente federale gli confidò che Abete aveva effettuato dei controlli tra le buste paga dei dipendenti e i bonifici effettivamente erogati, trovando numerose discordanze. La circostanza avrebbe fatto ipotizzare l’esistenza di capitoli di bilancio falsi presso la FIGC, ma di questa vicenda non si seppe nulla. (n.d.r. nonostante una misteriosa interpellanza parlamentare effettuata dal senatore Gigi Malabarba, membro del Comitato di Controllo Parlamentare sui Servizi Segreti in data 7 marzo 2006 atto 4-10255 seduta nr. 964 della XV Legislatura. Il senatore in questione chiese spiegazioni in Parlamento circa l'origine di alcuni bonifici di poche migliaia di euro che vennero rintracciati sui conti di alcuni impiegati della FIGC.)
Galati ricorda inoltre che Mazzini aveva rapporti, telefonici e non, con tutti i presidenti di società, nell’ambito del suo ruolo istituzionale di vicepresidente federale.
Nel maggio del 2005 Galati lasciò la segreteria di Innocenzo Mazzini sostanzialmente perché si sentiva sfruttato e non gratificato, in quanto riteneva di avere un grado troppo basso rispetto alle effettive responsabilità, che gli venivano affidate infatti mediante delle lettere di incarico specifiche.
Il suo divenne un vero e proprio calvario, si innescò un contenzioso con la FIGC e la sua vicenda assunse i contorni del mobbing, anche perchè a causa di gravi motivi di salute fu costretto a rimanere per lunghe settimane in malattia. Nel novembre 2005 rientrò al lavoro e nel marzo del 2006 venne trasferito alla CAF, la Corte di Appello Federale, a quei tempi nell’occhio del ciclone per il caso Genoa.
Alla CAF Galati non aveva grossi incarichi, ma si accorse subito delle gravi carenze nell’ambito delle procedure di protocollo dei documenti, per cui decise prudentemente di non apporre la sua sigla sui documenti che maneggiava. Denunciò questa carenza ma di fatto, essendo già in pieno mobbing, venne marginalizzato e successivamente velatamente accusato di aver fatto sparire alcuni documenti.
In particolare ci fu un episodio in cui scomparve un documento riguardante la vicenda Boudianski-Zetulayev, (i giocatori erano stati tesserati dalla Reggina ma erano della Juventus, e quest’ultima aveva presentato ricorso, vincendolo, sulla base di un conflitto tra una norma dell’ordinamento statale e una norma sportiva). L'arcano viene spiegato dall'avv. Prioreschi nel corso del controesame: il documento non fu illecitamente sottratto agli archivi, ma era stato inviato alla procura di Roma nell'ambito del processo GEA.
Fino a questo punto le dichiarazioni del testimone Galati sono molto interessanti. Ma diventano addirittura deflagranti nel corso del controesame effettuato dall’Avv. Prioreschi che sapientemente fa emergere alcuni importanti circostanze.
La prima riguarda il giornalista di Repubblica Corrado Zunino.
Galati conferma che lo chiamò il secondo giorno dopo l’uscita delle intercettazioni, il 4 maggio 2006, mentre c’era ancora il segreto istruttorio sul materiale che veniva diffuso. Zunino lo chiamò e gli disse di volerlo incontrare e che conosceva la sua vicenda; Galati accettò perché sperava di poter affrontare la sua questione lavorativa, spiegargli il suo concetto di dipendente come servizio pubblico, parlare della prima volta in cui un sindacato era entrato all’interno di una federazione privatizzata. Il giornalista gli promise di fare un articolo che parlasse del suo mobbing e dei diritti dei lavoratori, e che non avrebbe mai usato il suo caso; ma fin da subito deluse le sue attese e dopo qualche tempo, ad ottobre 2006, lo invito di sera presso la sede sportiva di Repubblica a Roma, chiedendogli di aiutarlo a sbobinare le intercettazioni relative a Calciopoli, che erano in possesso di Zunino su alcuni CD che contenevano tutti i files.
Il finale del controesame di Prioreschi è deflagrante. L’avvocato di Moggi chiede a Galati se conosce Alessandro Lulli, ex-guardalinee, collaboratore della Figc, addetto Club Italia per i rapporti con gli arbitri internazionali. Galati annuisce e parla di un episodio che all’epoca aveva sottovalutato, ma che alla luce di quanto accaduto in questi anni appare davvero inquietante.
Lulli gli confidò che nell'aprile 2005 era andato a fare l’accompagnatore della terna arbitrale per la partita Milan-Inter di Champions League e gli disse che la terna non era rimasta contenta del trattamento ricevuto dalla società ospitante (il Milan); poi iniziò uno strano discorso sul fatto che aveva parlato con un dirigente dell’Inter, probabilmente individuato nella figura di Rinaldo Ghelfi, e questi gli aveva confidato che avevano commissionato ad una società privata di investigazioni una indagine/dossier ai danni della classe arbitrale, specificandone perfino il costo di circa 500 mila euro. Indagine però illegale e quindi inutilizzabile. Resta da capire quali fossero le risultanze di questa indagine.
(Qualche tempo fa Moratti aveva confermato che c’era stata una indagine o qualcosa del genere, specificando però che i risultati erano stati negativi. Fatta questa considerazione ci sono tre possibili ipotesi. La prima è che il dossier di Ghelfi è lo stesso dossier confermato da Moratti e quindi è inutilizzabile perché non contiene nulla. La seconda è che il dossier di Ghelfi è diverso da quello confermato da Moratti. La terza è che il dossier confermato da Moratti conteneva qualche spunto interessante ma Moratti ha mentito, per evitare che qualcuno gli chiedesse conto delle informazioni illegalmente acquisite).
Tra quelle ascoltate finora riteniamo la testimonianza Galati una delle più ricche e adatte a capire fino in fondo la realtà del caso Calciopoli. Il lettore più attento avrà sicuramente notato che Dario Galati non nomina mai Luciano Moggi, e non certamente perché è il suo difensore d’ufficio. Non lo nomina perché focalizza la sua analisi sul conflitto di interessi, sulle contraddizioni interne alla FIGC, sulle lotte di potere, sui punti deboli del sistema federale e della Lega.
Tutta roba che non fa “sentimento popolare” e che non serve a eliminare nemici scomodi e sfortunatamente molto bravi.
Come nella migliore tradizione, mentre tutti guardano il dito, Dario Galati guarda alla luna, e lucidamente ci aiuta a capire.