“Tutte le vittorie sono uno stimolo a proseguire con lo stesso spirito, per questo mi sento ancora al debutto. Perché mi sono realizzato in una Juventus vincente, una Juventus che mi ha insegnato che, per andare avanti, bisogna darci dentro, per ottenere il risultato attraverso il gioco e la lotta. La durezza delle stagione e la media positiva dei miei anni calcistici, durante i quali ho ricoperto tantissimi ruoli, da difensore puro ad ala tornante, da centrocampista a ‘jolly’, mi hanno fatto maturare una mentalità elastica, ma sempre proiettata in avanti. Mi rendo conto che posso farcela ancora e bene; non vedo il motivo per sentirmi dire che sono, non dico vecchio, ma anziano. Sarò un vecchio capitano, questo sì, perché porto la fascia da sei stagioni, ma, nel ruolo, mi sento proprio come ero agli inizi e questo mi carica. Una cosa sola voglio: andare avanti con lo stesso spirito”.
Sono parole dette da Beppe Furino, nel 1979, quando aveva 33 anni: parole che sarebbero state musica dolce anche per le orecchie di Antonio Conte, che proprio questo credo predica: gioco e lotta; arrendersi mai e, dopo una vittoria, rimboccarsi le maniche e lavorare per la prossima.
Beppe Furino è stato il piccolo grande uomo di 15 anni di storia bianconera, anni impreziositi da otto scudetti, due Coppe Italia, una Coppa Uefa e una Coppa delle Coppe: una pedina fondamentale, spesso sottovalutato perché non era l’uomo dei virtuosismi; ma senza il suo spirito di sacrificio, il suo essere sempre ‘sul pezzo’, trovandosi la dove nascevano i pericoli, nemmeno gli astri avrebbero potuto rifulgere tanto. E c’è di più: il suo esempio, di uno che non si tira mai indietro, la carica agonistica feroce con la quale mordeva le caviglie degli avversari “costringevano” anche i suoi compagni a seguirlo, a dare tutto e ad uscire con la maglia bagnata, e di più.
I suoi detrattori lo definivano brutto e sghembo; certo, non aveva l’eleganza di uno Scirea o di un Bettega, ma furono anche il suo zelo, la sua veemenza e, forse più ancora, la sua intelligenza tattica, che permisero ai vari Scirea, Tardelli e compagnia bella di essere quello che sono stati: infatti, se Scirea poteva permettersi di avanzare in tutta tranquillità, era perché sapeva che in caso di allarme rosso sarebbe arrivato ‘Furia’ a improvvisarsi libero; la capacità di trasmettere questa fiducia e questo senso di sicurezza faceva di lui il punto di riferimento costante per i suoi compagni, gli dava quel carisma necessario a diventare più insostituibile che mai in una squadra per la quale ‘vincere non è importante, è l’unica cosa che conta’.
Segnava poco, ma anche lì seppe fare il botto, regalando praticamente alla sua Vecchia Signora lo scudetto 1976-77: si era alla quartultima giornata, con Juve e Torino appaiate in una testa a testa che contro i cugini non si poteva proprio perdere, proprio mai. E fu lì che Beppe Furino compì il suo capolavoro: al ‘Comunale’ era di scena il Napoli del Petisso, che navigava a metà classifica. Bisognava vincere, perché il Torino giocava il giorno dopo ed era indispensabile mettergli pressione; ma le cose non si erano poi messe così bene perché al goal iniziale di Bettega i partenopei avevano risposto col pareggio di Massa; in più dal cielo si era sceso un uragano di acqua e grandine che non aiutava. Ma a 5’ dalla fine (nel vocabolario di Furino la parola ‘stanchezza’ non esisteva) il solito favoloso passaggio della ‘stella’ Causio pescava alla perfezione Furino (tenuto in gioco da Catellani, nonostante le pretestuose polemiche de Pesaola) che, con una freddezza eccezionale in mezzo a tutto quel fango, trovava una zampata determinante (per la classifica e il morale del gruppo) a mettere dentro il goal (l’unico di quella sua stagione) che sarebbe valso lo scudetto, visto il pareggio dei granata in casa della Lazio il giorno seguente. Un punto di vantaggio che i bianconeri avrebbero mantenuto sino alla fine.
E a testimonianza della sua eterna grinta a 360° piace ricordare un curioso episodio raccontato dallo stesso Furino al Guerin Sportivo nel settembre 2009. “Successe all’aeroporto di Caselle, dopo aver vinto la Coppa Uefa contro l’Athletic Bilbao. Tornammo a Torino su un aereo privato della Fiat, io scesi per primo con la Coppa in mano. Misi piede a terra e vidi davanti a me un tifoso che l’anno prima era stato tra i più accaniti nelle critiche e nelle offese. Gli dissi: “Brutto bastardo, levati subito di lì sennò la Coppa te la spacco in testa. Per carità, non l’avrei mai fatto. Conquistare la Coppa Uefa è stato uno dei momenti più belli della mia carriera. Il primo trofeo internazionale, dopo una vera e propria battaglia a Bilbao. Senza contare che quattro giorni dopo avremmo battuto la Sampdoria e vinto anche lo scudetto dei record. Una stagione trionfale e con una squadra tutta italiana”.
In maglia azzurra Furia non ebbe mai fortuna, pochissime presenze: ma in fondo la sua Nazionale era proprio Madama Juve, cui diede tutto se stesso; e che ha fatto diventare leggenda il suo nome dedicandogli una delle 50 stelle dello Juventus Stadium.
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