Ieri la giustizia sportiva ha finalmente celebrato l'ultimo episodio della fortunata serie di Calciopoli, e cioè "Calciopoli 2 o delle schede svizzere", procedimento che - al Tar e al Consiglio di Stato piacendo - seppellirà definitivamente dal punto di vista sportivo i fatti dell'estate 2006.
Sono andati a giudizio i “morti viventi”, ossia quegli arbitri che pur sostanzialmente usciti indenni dal primo processo di Calciopoli, sono stati dismessi per inconsistenti ragioni tecniche. Dalla prossima stagione non rivedremo più i "sospesi" - come abbiamo saputo nei giorni scorsi - Pieri e Bertini, mentre già non arbitravano da quell'estate 2006 Dattilo, Cassarà, Gabriele, come ovviamente De Santis, l'unico colpevole del primo processo sportivo, e Racalbuto, che smise l'attività in quel giugno per raggiunti limiti d'età.
A questi sono da aggiungersi l'assistente Ambrosino, il dirigente della Salernitana Fabiani, unico tra gli imputati a esercitare ancora la sua attività e, naturalmente, Luciano Moggi.
Normale avvicendamento, aveva tenuto a precisare in tutti questi casi l'AIA. La verità è che chi tocca la Juve, o meglio chi viene toccato dal sospetto di un contatto con la Juve, muore. In altro caso, il perdono esiste. La dismissione per motivi tecnici non è infatti toccata a Dondarini, Rocchi, Tagliavento e nemmeno, ad esempio, all'assistente Griselli che è finito nella terna che ha arbitrato la finale europea. La loro posizione è aperta nel processo di Napoli, ma non riguarda la Juventus e la presunta associazione a delinquere, ma singoli casi di ipotizzata frode sportiva.
L'ODISSEA DI PAPARESTA, PIERI E BERTINI
Paparesta, Pieri e Bertini erano tra i superstiti dell'estate 2006. Il primo era stato squalificato per omessa denuncia ma, scontata la sua pena, era tornato ad arbitrare ricevendo persino i gradi di internazionale. Gli altri due erano usciti indenni dal processo e avevano regolarmente arbitrato nella stagione 2006/2007 fino alla sospensione a tempo indeterminato comminata nell'aprile 2007 proprio in vista di questo deferimento.
Bertini aveva avuto un battesimo di fuoco con Milan-Lazio e non gli era stata negata nessuna delle squadre importanti, dall'Inter alla Roma, alla Fiorentina, finanche arbitrando un'importante semifinale di Coppa Italia tra giallorossi e milanisti.
Anche Pieri si era tolto qualche soddisfazione arbitrando partite di un certo livello, seppur meno utilizzato rispetto altri due "reduci".
Tutto bene fino a quando la Procura di Napoli rese pubblici e inviò alla FIGC gli atti sulla presunta associazione a delinquere facente capo a Moggi strutturata sull'utilizzo di SIM elvetiche. Secondo la tesi dell'accusa gli arbitri ora giudicati sarebbero stati gli utilizzatori di quelle schede, dando così il via all'odissea. I tempi di Palazzi sono ben conosciuti (variano molto, però, a seconda dei casi e dei nomi coinvolti) e, per andare a giudizio, ci è voluta la bellezza di un anno e tre mesi. Periodo di forzata inattività per i fischietti sospesi (un Gussoni equilibrista li chiama "non designati"), che però coltivavano la voglia di ritornare, dicendosi pronti a respingere ogni addebito.
In realtà, non c'era alcun giudizio da attendere: la possibilità di tornare ad arbitrare era comunque preclusa da una norma, varata dall'AIA, che recita:
"La permanenza nel ruolo CAN, per gli A.E. non in possesso della qualifica di internazionale al termine della stagione sportiva non può essere superiore a 10 stagioni sportive a partire dalla data in cui l’arbitro è stato proposto, salvo deroga richiesta dall’O.T. al Comitato Nazionale per particolari casi di eccellente rendimento nell’ultima stagione sportiva”.
Ovviamente, non avendo avuto facoltà di esercitare nell'ultima stagione, e tanto meno di guadagnare la qualifica ad internazionale, nessuno di loro avrebbe potuto protrarre comunque la sua permanenza in organico.
Paparesta nel frattempo aveva optato per il patteggiamento davanti alla giustizia sportiva, ammettendo l'utilizzo di una scheda svizzera in uso al padre, ottenendo in cambio una pena di 2 mesi. Ma la sua posizione a Napoli era stata stralciata, di fatto uscendo immacolato dal processo ordinario. A questo punto, a una fedina penale pulita, facevano da contraltare ben 3 squalifiche sportive, comprendendo anche quella per il famoso dossier da consegnarsi a Letta. Di fatto, se si sentiva un perseguitato, qualche ragione l'aveva.
Accettate di buon grado le squalifiche e scontatele, si era ritrovato privato della possibilità di arbitrare e, questa volta, in via definitiva. Così, tramite il suo legale, aveva dichiarato che la norma varata nel giugno corrente (che Gussoni sostiene essere stata in cantiere da mesi) sarebbe una legge ad hoc pensata per impedirgli di arbitrare, con intento punitivo nei suoi confronti, minacciando di denunciare l'AIA. In suo soccorso era giunto anche il parlamentare del Pd Boccia, preannunciando la presentazione di un'interrogazione parlamentare.
Boccia aveva sottolineato la necessità di ''fare luce su una vicenda a dir poco imbarazzante", spiegando di aver atteso ''che all'archiviazione e al pieno proscioglimento della magistratura ordinaria seguisse il recupero sportivo dell'atleta da parte dell'Associazione italiana arbitri e della stessa Federazione''. Per il deputato pugliese, ''non si capisce perché ci sono numerosi arbitri indagati o rinviati a giudizio per frode sportiva ancora in campo, fra questi, Rocchi, Dondarini e lo stesso Griselli guardalinee della finale degli ultimi campionati europei, e non si capisce come mai molti tra impiegati e collaboratori con ruoli centrali nella vicenda di 'calciopoli' siano ancora nelle stesse stanze della Federazione''. Nell'interrogazione parlamentare mira a far luce sui "rapporti economici intercorsi da 'calciopoli' ad oggi tra Associazione e Federazione'' e ''sulle risorse incamerate dall'Associazione degli arbitri dallo sponsor 'Conto Arancio' negli anni 2004-2006''.
Questione quest'ultima sollevata anche dall'arbitro Pieri che era ricorso alla Giustizia Federale per ottenere i compensi per il contratto di cessione dei diritti di immagine sottoscritto annualmente dagli arbitri effettivi appartenenti al ruolo Can.
Tornando alla norma che di fatto esclude i reduci dalla Calciopoli moggiana (e non di Calciopoli per intero) è difficile non comprendere le perplessità di Paparesta. Di fatto una sospensione così lunga (o una "non designazione") gli ha precluso ogni possibilità e la modifica alla norma è avvenuta, di fatto, dopo alla sua sospensione e anche al suo patteggiamento.
Sospensione, per altro, correttamente revocata allorquando la posizione del barese era stata stralciata a Napoli (stessa linea tenuta dai diavolacci Bergamo e Pairetto, ai tempi, con Gabriele e Palanca), se non che, nemmeno due mesi dopo, era intervenuta la squalifica per il dossier AssoBioDiesel, questione sulla scrivania di Palazzi da molto tempo e rispolverata proprio quando Paparesta avrebbe potuto tornare ad arbitrare.
Giova infine ricordare l'episodio della conferenza stampa seguita alle polemiche generate dalla sua esclusione, in cui un’inviata di una tv pugliese chiese a Gussoni e Collina se davvero si fossero incontrati con Paparesta il 20 giugno per dargli rassicurazioni. Ne seguì il grave imbarazzo tra i due e la risposta di Collina: "Io il 20 ero all’Europeo a seguire Turchia-Croazia". "E colloqui telefonici?". Silenzio.
LA SENTENZA
Anche stavolta, come 2 anni fa, non abbiamo a che fare con casi di illecito sportivo, cioè partite truccate.
E anche stavolta, come 2 anni fa, il diritto alla difesa è stato calpestato. Ricordiamo che nell'udienza conclusiva del 22 luglio scorso, i circa 20 avvocati difensori hanno lasciato l'aula per protesta, perché oltre a essersi viste rigettate tutte le eccezioni presentate, compresa la possibilità di far sentire dei consulenti che avrebbero dovuto dimostrare l’inaffidabilità del metodo con cui gli imputati sono stati associati all'utilizzo di schede svizzere, hanno protestato per il fatto che il segretario della Procura Federale sia potuto entrare in Camera di Consiglio a riunione in corso, sembra con lo scopo di consegnare dei documenti. Una cosa inaudita.
Secondo il dispositivo in cui si motiva l'inibizione di Moggi (un anno e due mesi) e Fabiani (4 anni), nonché la squalifica di 7 arbitri e un assistente (tutti 1 anno e 6 mesi, tranne De Santis, 6 mesi), è bene ricordare che non si punisce alcun illecito, ma la "violazione dei doveri di lealtà, probità e correttezza sanciti dall’art. 1, comma 1, CGS", perché risulterebbe che "in prossimità dei sorteggi, nonché successivamente al loro svolgimento, e in prossimità delle gare e successivamente ad esse sono intercorsi contatti tra le utenze nella disponibilità del Moggi e del Fabiani e quelle nella disponibilità degli altri deferiti, associati AIA". Ricordiamo che ad oggi i sorteggi sono da considerarsi regolari e che la formula "in prossimità delle gare e successivamente ad esse" non significa in corrispondenza delle partite della Juve, tutt'altro.
Per uno come Moggi, ovviamente, i principi cardine della giurisprudenza non esistono, e il "ne bis in idem" si può aggirare con estrema disinvoltura: "trattandosi di questione dipendente anche dalla valutazione del materiale probatorio acquisito, se ne rinvia la decisione al merito". Ma tale principio non riguardava il fatto in sé, e cioè i presunti condizionamenti del mondo arbitrale per cui era già intervenuta la condanna? Che c'entra se si aggiunge altro materiale probatorio?
Strano anche il fatto che si accusi Moggi di aver distribuito le schede agli arbitri, ma nel contempo si affermi che "poco importa appurare le modalità di distribuzione". Nemmeno di questo ci sono prove, dunque?
Quel che conta, per la Commissione giudicante, è l'analisi del traffico di 8 SIM svizzere attribuite dagli inquirenti a Moggi e di 3 schede attribuite a Fabiani, che a loro volta avrebbero chiamato o sarebbero state chiamate da una serie di altre SIM che gli inquirenti hanno associato agli arbitri in questione.
Il metodo adottato per associare le SIM ai presunti utenti è fondato sull'incrocio di 3 elementi:
1) Le celle agganciate in chiamata dalle SIM, per capire le zone frequentate dall'utente e identificarlo con un profilo (domicilio, partecipazione a eventi pubblici).
2) Le utenze nazionali contattate dalle SIM svizzere e i relativi intestatari.
3) Un "esame incrociato" tra dati delle utenze svizzere e non specificati elementi emersi dalle intercettazioni (pare da telefonate fra Moggi e Bergamo, oltre a una fra Bergamo e De Santis).
Per 9 SIM l'esame avrebbe abbracciato un arco temporale di 2 anni (giugno 2004-giugno 2006), per altre 12 due anni e mezzo (giugno 2004-gennaio 2007); la differenza la farebbe il "decreto di esibizione tabulati", avvenuto in due momenti diversi. Farebbero 21 SIM in tutto, dunque. Comprese le 11 di Moggi e Fabiani? Parrebbe. Ma quelle in uso agli arbitri, da quel che si scrive nel seguito, sarebbero almeno 12 (e forse più, perché a De Santis e Dattilo non si capisce se hanno attribuito solo una). I conti non tornano.
In ordine al loro acquisto, poi, non si capisce se tutte queste schede, o solo alcune, sarebbero state fatte acquistare da Moggi, dato che nella sentenza ci si limita a fare un generico riferimento a testimonianze degli inutilmente "rei confessi" Paparesta padre e figlio, del controverso Nucini (le cui strane dichiarazioni avevamo già messo in discussione qui), di tre personaggi misteriosi indicati con le sole iniziali (tra i quali c'è probabilmente chi si era occupato dell'acquisto per conto di Moggi di alcune SIM svizzere) e a una telefonata fra De Santis e Bergamo dell'11 gennaio 2005 (e non di febbraio come è scritto nella sentenza) in cui il primo fa una vaga e fugace allusione a "contatti" di Moggi con arbitri, e fa niente se in realtà il contesto del discorso riguarda stagioni precedenti (ripeto, saremmo a inizio 2005) e l'allusione viene fatta nel mezzo di una telefonata di mezz'ora in cui vengono nominati un po' tutti i dirigenti delle maggiori società calcistiche.
In definitiva, secondo gli inquirenti, Racalbuto avrebbe utilizzato 3 schede svizzere, Pieri e Ambrosino 2, Cassarà, Bertini e Gabriele 1, De Santis non si capisce. Forse anche Dattilo solo una, ma a causa di un errore di battitura non è chiaro. D'altronde l'analisi degli elementi che suffragherebbero l'attribuzione di tali schede presenta non poche stranezze. Prendiamo De Santis: nel suo caso si parla genericamente di celle attivate, gran parte della quali a Roma (un paesino di quattro anime...), a Coverciano (frequentato tutto l'anno da mezza Figc), a Tivoli (la si cita capziosamente in quanto sua città natale, omettendo il fatto che è un luogo molto più frequentato di quel che si creda), in città dove ha arbitrato (quali? quante? chi altri poteva esserci nella zona dello stadio? Ma stiamo parlando della zona dello stadio o dell'intera area urbana?), nonché di chiamate verso la moglie e verso lo studio del suo legale. Ma verso la moglie o verso un numero a lei intestato? No, perché, nel caso di Dattilo, la SIM a lui attribuita, sempre secondo la sentenza, risulterebbe aver chiamato "un numero telefonico di rete fissa intestato alla moglie del deferito", e cioè, presumibilmente, a casa Dattilo, dove s'immagina il telefono sia stato intestato alla consorte per evitare scocciature al lunedì. Non sarebbe allora questo un indizio contrario, semmai? Per non parlare di Bertini, il cui avvocato contesta, a mezzo stampa (all'udienza non ci riuscì) e tabulati alla mano, il fatto che una telefonata con Paparesta, avvenuta secondo l'accusa su SIM svizzera, sia intercorsa invece su cellulari "ordinari". Al proposito, secondo la Commissione, ci sarebbe pure la testimonianza dell'arbitro pugliese, audito all'uopo nel marzo scorso, quando sperava nel reintegro, ma secondo l'avvocato Messeri, "Paparesta dice che la chiamata c’è stata e che non ricorda però con quale Sim. Infatti la telefonata risulta, ma sui tabulati dei telefonini ordinari dei due arbitri". Ecco, altra stranezza: in più di un caso si fa riferimento a testimonianze di tesserati che riuscirebbero a ricordare, a distanza di 2 o 3 anni, di essere stati chiamati a orari e giorni determinati da questo o quel collega, da questa o quella scheda.
E' ovvio che per sperare di far luce sul mistero della rete delle schede svizzere bisognerà attendere il processo ordinario, dove l'accusa dovrà essere più precisa nel circostanziare gli elementi probatori, ma soprattutto dove le difese potranno finalmente farsi sentire in aula, e non solo su qualche trafiletto di giornale, nonché eventualmente presentare contro-perizie, come ad esempio quella dell'ing. De Falco, che l'avvocato di Fabiani non è riuscito a usare "poiché nel caso di specie non si deve ragionare in termini di certezza scientifica" (ma la Santa Inquisizione non era stata abolita?).
Speriamo che almeno a Napoli, dove ci sarà un tribunale vero, non ci si limiti, come accaduto finora, ad accanirsi sui capri espiatori di turno, e che si riesca finalmente a ricostruire con imparzialità ciò che realmente accadeva nel mondo del calcio in quegli anni, tenendo conto, ad esempio, che secondo l'informativa dei CC del gennaio 2006, il dirigente di un'altra importante squadra, diretta concorrente della Juventus per lo scudetto, nell'arco di soli 3 mesi, si sentì ripetutamente al telefono, oltre che col presidente dell'AIA Lanese e i designatori Bergamo, Pairetto, Mazzei, con gli arbitri De Santis, Nucini, Rodomonti, Racalbuto, Collina (sì, l'attuale designatore!), Messina, Paparesta e con gli assistenti Copelli, Contini, Puglisi, Babini, Stagnoli e Titomanlio; e tenendo conto pure che alcuni dei suddetti hanno dichiarato di essere stati usi sentire anche dirigenti di altre squadre di serie A.
Per dirla tutta, sarebbe importante che oltre ai contatti in sé, presunti o meno, una buona volta si tentasse di analizzare con obiettività i contenuti delle telefonate, dato che finora ciò che è clamorosamente mancato in questa storia di presunti campionati falsati è proprio il nesso causale alla base di un'ipotesi di frode sportiva, e cioè quello fra chiamate intercettate (o presuntamente rilevate) e l'alterazione dei risultati delle partite.
E per dirla proprio tutta tutta, magari, sarà interessante tenere d'occhio anche quel che uscirà a Milano dall'inchiesta appena chiusa sullo spionaggio Telecom, nella quale Marco Tronchetti Provera, lo scorso 27 giugno, ha rilasciato ai PM Napoleone e Piacente la seguente dichiarazione (pag 81 del pdf pubblicato sul sito di Repubblica):
"E' chiaro, è come la questione di mio cognato e tutte le indagini su cose in cui il signor Tavaroli non doveva assolutamente coinvolgersi: ha un input da Moratti sui calciatori, poi magari Facchetti lo chiama per dirgli "ho questo problema del giovane arbitro", e lui attiva tutta una macchina spropositata che si muove in maniere non assolutamente nell'interesse dell'azienda o richiesta dall'azienda, cioè lo fa con l'Inter come lo fa... perché rientrano nella sfera in cui lui lo fa."
Sono andati a giudizio i “morti viventi”, ossia quegli arbitri che pur sostanzialmente usciti indenni dal primo processo di Calciopoli, sono stati dismessi per inconsistenti ragioni tecniche. Dalla prossima stagione non rivedremo più i "sospesi" - come abbiamo saputo nei giorni scorsi - Pieri e Bertini, mentre già non arbitravano da quell'estate 2006 Dattilo, Cassarà, Gabriele, come ovviamente De Santis, l'unico colpevole del primo processo sportivo, e Racalbuto, che smise l'attività in quel giugno per raggiunti limiti d'età.
A questi sono da aggiungersi l'assistente Ambrosino, il dirigente della Salernitana Fabiani, unico tra gli imputati a esercitare ancora la sua attività e, naturalmente, Luciano Moggi.
Normale avvicendamento, aveva tenuto a precisare in tutti questi casi l'AIA. La verità è che chi tocca la Juve, o meglio chi viene toccato dal sospetto di un contatto con la Juve, muore. In altro caso, il perdono esiste. La dismissione per motivi tecnici non è infatti toccata a Dondarini, Rocchi, Tagliavento e nemmeno, ad esempio, all'assistente Griselli che è finito nella terna che ha arbitrato la finale europea. La loro posizione è aperta nel processo di Napoli, ma non riguarda la Juventus e la presunta associazione a delinquere, ma singoli casi di ipotizzata frode sportiva.
L'ODISSEA DI PAPARESTA, PIERI E BERTINI
Paparesta, Pieri e Bertini erano tra i superstiti dell'estate 2006. Il primo era stato squalificato per omessa denuncia ma, scontata la sua pena, era tornato ad arbitrare ricevendo persino i gradi di internazionale. Gli altri due erano usciti indenni dal processo e avevano regolarmente arbitrato nella stagione 2006/2007 fino alla sospensione a tempo indeterminato comminata nell'aprile 2007 proprio in vista di questo deferimento.
Bertini aveva avuto un battesimo di fuoco con Milan-Lazio e non gli era stata negata nessuna delle squadre importanti, dall'Inter alla Roma, alla Fiorentina, finanche arbitrando un'importante semifinale di Coppa Italia tra giallorossi e milanisti.
Anche Pieri si era tolto qualche soddisfazione arbitrando partite di un certo livello, seppur meno utilizzato rispetto altri due "reduci".
Tutto bene fino a quando la Procura di Napoli rese pubblici e inviò alla FIGC gli atti sulla presunta associazione a delinquere facente capo a Moggi strutturata sull'utilizzo di SIM elvetiche. Secondo la tesi dell'accusa gli arbitri ora giudicati sarebbero stati gli utilizzatori di quelle schede, dando così il via all'odissea. I tempi di Palazzi sono ben conosciuti (variano molto, però, a seconda dei casi e dei nomi coinvolti) e, per andare a giudizio, ci è voluta la bellezza di un anno e tre mesi. Periodo di forzata inattività per i fischietti sospesi (un Gussoni equilibrista li chiama "non designati"), che però coltivavano la voglia di ritornare, dicendosi pronti a respingere ogni addebito.
In realtà, non c'era alcun giudizio da attendere: la possibilità di tornare ad arbitrare era comunque preclusa da una norma, varata dall'AIA, che recita:
"La permanenza nel ruolo CAN, per gli A.E. non in possesso della qualifica di internazionale al termine della stagione sportiva non può essere superiore a 10 stagioni sportive a partire dalla data in cui l’arbitro è stato proposto, salvo deroga richiesta dall’O.T. al Comitato Nazionale per particolari casi di eccellente rendimento nell’ultima stagione sportiva”.
Ovviamente, non avendo avuto facoltà di esercitare nell'ultima stagione, e tanto meno di guadagnare la qualifica ad internazionale, nessuno di loro avrebbe potuto protrarre comunque la sua permanenza in organico.
Paparesta nel frattempo aveva optato per il patteggiamento davanti alla giustizia sportiva, ammettendo l'utilizzo di una scheda svizzera in uso al padre, ottenendo in cambio una pena di 2 mesi. Ma la sua posizione a Napoli era stata stralciata, di fatto uscendo immacolato dal processo ordinario. A questo punto, a una fedina penale pulita, facevano da contraltare ben 3 squalifiche sportive, comprendendo anche quella per il famoso dossier da consegnarsi a Letta. Di fatto, se si sentiva un perseguitato, qualche ragione l'aveva.
Accettate di buon grado le squalifiche e scontatele, si era ritrovato privato della possibilità di arbitrare e, questa volta, in via definitiva. Così, tramite il suo legale, aveva dichiarato che la norma varata nel giugno corrente (che Gussoni sostiene essere stata in cantiere da mesi) sarebbe una legge ad hoc pensata per impedirgli di arbitrare, con intento punitivo nei suoi confronti, minacciando di denunciare l'AIA. In suo soccorso era giunto anche il parlamentare del Pd Boccia, preannunciando la presentazione di un'interrogazione parlamentare.
Boccia aveva sottolineato la necessità di ''fare luce su una vicenda a dir poco imbarazzante", spiegando di aver atteso ''che all'archiviazione e al pieno proscioglimento della magistratura ordinaria seguisse il recupero sportivo dell'atleta da parte dell'Associazione italiana arbitri e della stessa Federazione''. Per il deputato pugliese, ''non si capisce perché ci sono numerosi arbitri indagati o rinviati a giudizio per frode sportiva ancora in campo, fra questi, Rocchi, Dondarini e lo stesso Griselli guardalinee della finale degli ultimi campionati europei, e non si capisce come mai molti tra impiegati e collaboratori con ruoli centrali nella vicenda di 'calciopoli' siano ancora nelle stesse stanze della Federazione''. Nell'interrogazione parlamentare mira a far luce sui "rapporti economici intercorsi da 'calciopoli' ad oggi tra Associazione e Federazione'' e ''sulle risorse incamerate dall'Associazione degli arbitri dallo sponsor 'Conto Arancio' negli anni 2004-2006''.
Questione quest'ultima sollevata anche dall'arbitro Pieri che era ricorso alla Giustizia Federale per ottenere i compensi per il contratto di cessione dei diritti di immagine sottoscritto annualmente dagli arbitri effettivi appartenenti al ruolo Can.
Tornando alla norma che di fatto esclude i reduci dalla Calciopoli moggiana (e non di Calciopoli per intero) è difficile non comprendere le perplessità di Paparesta. Di fatto una sospensione così lunga (o una "non designazione") gli ha precluso ogni possibilità e la modifica alla norma è avvenuta, di fatto, dopo alla sua sospensione e anche al suo patteggiamento.
Sospensione, per altro, correttamente revocata allorquando la posizione del barese era stata stralciata a Napoli (stessa linea tenuta dai diavolacci Bergamo e Pairetto, ai tempi, con Gabriele e Palanca), se non che, nemmeno due mesi dopo, era intervenuta la squalifica per il dossier AssoBioDiesel, questione sulla scrivania di Palazzi da molto tempo e rispolverata proprio quando Paparesta avrebbe potuto tornare ad arbitrare.
Giova infine ricordare l'episodio della conferenza stampa seguita alle polemiche generate dalla sua esclusione, in cui un’inviata di una tv pugliese chiese a Gussoni e Collina se davvero si fossero incontrati con Paparesta il 20 giugno per dargli rassicurazioni. Ne seguì il grave imbarazzo tra i due e la risposta di Collina: "Io il 20 ero all’Europeo a seguire Turchia-Croazia". "E colloqui telefonici?". Silenzio.
LA SENTENZA
Anche stavolta, come 2 anni fa, non abbiamo a che fare con casi di illecito sportivo, cioè partite truccate.
E anche stavolta, come 2 anni fa, il diritto alla difesa è stato calpestato. Ricordiamo che nell'udienza conclusiva del 22 luglio scorso, i circa 20 avvocati difensori hanno lasciato l'aula per protesta, perché oltre a essersi viste rigettate tutte le eccezioni presentate, compresa la possibilità di far sentire dei consulenti che avrebbero dovuto dimostrare l’inaffidabilità del metodo con cui gli imputati sono stati associati all'utilizzo di schede svizzere, hanno protestato per il fatto che il segretario della Procura Federale sia potuto entrare in Camera di Consiglio a riunione in corso, sembra con lo scopo di consegnare dei documenti. Una cosa inaudita.
Secondo il dispositivo in cui si motiva l'inibizione di Moggi (un anno e due mesi) e Fabiani (4 anni), nonché la squalifica di 7 arbitri e un assistente (tutti 1 anno e 6 mesi, tranne De Santis, 6 mesi), è bene ricordare che non si punisce alcun illecito, ma la "violazione dei doveri di lealtà, probità e correttezza sanciti dall’art. 1, comma 1, CGS", perché risulterebbe che "in prossimità dei sorteggi, nonché successivamente al loro svolgimento, e in prossimità delle gare e successivamente ad esse sono intercorsi contatti tra le utenze nella disponibilità del Moggi e del Fabiani e quelle nella disponibilità degli altri deferiti, associati AIA". Ricordiamo che ad oggi i sorteggi sono da considerarsi regolari e che la formula "in prossimità delle gare e successivamente ad esse" non significa in corrispondenza delle partite della Juve, tutt'altro.
Per uno come Moggi, ovviamente, i principi cardine della giurisprudenza non esistono, e il "ne bis in idem" si può aggirare con estrema disinvoltura: "trattandosi di questione dipendente anche dalla valutazione del materiale probatorio acquisito, se ne rinvia la decisione al merito". Ma tale principio non riguardava il fatto in sé, e cioè i presunti condizionamenti del mondo arbitrale per cui era già intervenuta la condanna? Che c'entra se si aggiunge altro materiale probatorio?
Strano anche il fatto che si accusi Moggi di aver distribuito le schede agli arbitri, ma nel contempo si affermi che "poco importa appurare le modalità di distribuzione". Nemmeno di questo ci sono prove, dunque?
Quel che conta, per la Commissione giudicante, è l'analisi del traffico di 8 SIM svizzere attribuite dagli inquirenti a Moggi e di 3 schede attribuite a Fabiani, che a loro volta avrebbero chiamato o sarebbero state chiamate da una serie di altre SIM che gli inquirenti hanno associato agli arbitri in questione.
Il metodo adottato per associare le SIM ai presunti utenti è fondato sull'incrocio di 3 elementi:
1) Le celle agganciate in chiamata dalle SIM, per capire le zone frequentate dall'utente e identificarlo con un profilo (domicilio, partecipazione a eventi pubblici).
2) Le utenze nazionali contattate dalle SIM svizzere e i relativi intestatari.
3) Un "esame incrociato" tra dati delle utenze svizzere e non specificati elementi emersi dalle intercettazioni (pare da telefonate fra Moggi e Bergamo, oltre a una fra Bergamo e De Santis).
Per 9 SIM l'esame avrebbe abbracciato un arco temporale di 2 anni (giugno 2004-giugno 2006), per altre 12 due anni e mezzo (giugno 2004-gennaio 2007); la differenza la farebbe il "decreto di esibizione tabulati", avvenuto in due momenti diversi. Farebbero 21 SIM in tutto, dunque. Comprese le 11 di Moggi e Fabiani? Parrebbe. Ma quelle in uso agli arbitri, da quel che si scrive nel seguito, sarebbero almeno 12 (e forse più, perché a De Santis e Dattilo non si capisce se hanno attribuito solo una). I conti non tornano.
In ordine al loro acquisto, poi, non si capisce se tutte queste schede, o solo alcune, sarebbero state fatte acquistare da Moggi, dato che nella sentenza ci si limita a fare un generico riferimento a testimonianze degli inutilmente "rei confessi" Paparesta padre e figlio, del controverso Nucini (le cui strane dichiarazioni avevamo già messo in discussione qui), di tre personaggi misteriosi indicati con le sole iniziali (tra i quali c'è probabilmente chi si era occupato dell'acquisto per conto di Moggi di alcune SIM svizzere) e a una telefonata fra De Santis e Bergamo dell'11 gennaio 2005 (e non di febbraio come è scritto nella sentenza) in cui il primo fa una vaga e fugace allusione a "contatti" di Moggi con arbitri, e fa niente se in realtà il contesto del discorso riguarda stagioni precedenti (ripeto, saremmo a inizio 2005) e l'allusione viene fatta nel mezzo di una telefonata di mezz'ora in cui vengono nominati un po' tutti i dirigenti delle maggiori società calcistiche.
In definitiva, secondo gli inquirenti, Racalbuto avrebbe utilizzato 3 schede svizzere, Pieri e Ambrosino 2, Cassarà, Bertini e Gabriele 1, De Santis non si capisce. Forse anche Dattilo solo una, ma a causa di un errore di battitura non è chiaro. D'altronde l'analisi degli elementi che suffragherebbero l'attribuzione di tali schede presenta non poche stranezze. Prendiamo De Santis: nel suo caso si parla genericamente di celle attivate, gran parte della quali a Roma (un paesino di quattro anime...), a Coverciano (frequentato tutto l'anno da mezza Figc), a Tivoli (la si cita capziosamente in quanto sua città natale, omettendo il fatto che è un luogo molto più frequentato di quel che si creda), in città dove ha arbitrato (quali? quante? chi altri poteva esserci nella zona dello stadio? Ma stiamo parlando della zona dello stadio o dell'intera area urbana?), nonché di chiamate verso la moglie e verso lo studio del suo legale. Ma verso la moglie o verso un numero a lei intestato? No, perché, nel caso di Dattilo, la SIM a lui attribuita, sempre secondo la sentenza, risulterebbe aver chiamato "un numero telefonico di rete fissa intestato alla moglie del deferito", e cioè, presumibilmente, a casa Dattilo, dove s'immagina il telefono sia stato intestato alla consorte per evitare scocciature al lunedì. Non sarebbe allora questo un indizio contrario, semmai? Per non parlare di Bertini, il cui avvocato contesta, a mezzo stampa (all'udienza non ci riuscì) e tabulati alla mano, il fatto che una telefonata con Paparesta, avvenuta secondo l'accusa su SIM svizzera, sia intercorsa invece su cellulari "ordinari". Al proposito, secondo la Commissione, ci sarebbe pure la testimonianza dell'arbitro pugliese, audito all'uopo nel marzo scorso, quando sperava nel reintegro, ma secondo l'avvocato Messeri, "Paparesta dice che la chiamata c’è stata e che non ricorda però con quale Sim. Infatti la telefonata risulta, ma sui tabulati dei telefonini ordinari dei due arbitri". Ecco, altra stranezza: in più di un caso si fa riferimento a testimonianze di tesserati che riuscirebbero a ricordare, a distanza di 2 o 3 anni, di essere stati chiamati a orari e giorni determinati da questo o quel collega, da questa o quella scheda.
E' ovvio che per sperare di far luce sul mistero della rete delle schede svizzere bisognerà attendere il processo ordinario, dove l'accusa dovrà essere più precisa nel circostanziare gli elementi probatori, ma soprattutto dove le difese potranno finalmente farsi sentire in aula, e non solo su qualche trafiletto di giornale, nonché eventualmente presentare contro-perizie, come ad esempio quella dell'ing. De Falco, che l'avvocato di Fabiani non è riuscito a usare "poiché nel caso di specie non si deve ragionare in termini di certezza scientifica" (ma la Santa Inquisizione non era stata abolita?).
Speriamo che almeno a Napoli, dove ci sarà un tribunale vero, non ci si limiti, come accaduto finora, ad accanirsi sui capri espiatori di turno, e che si riesca finalmente a ricostruire con imparzialità ciò che realmente accadeva nel mondo del calcio in quegli anni, tenendo conto, ad esempio, che secondo l'informativa dei CC del gennaio 2006, il dirigente di un'altra importante squadra, diretta concorrente della Juventus per lo scudetto, nell'arco di soli 3 mesi, si sentì ripetutamente al telefono, oltre che col presidente dell'AIA Lanese e i designatori Bergamo, Pairetto, Mazzei, con gli arbitri De Santis, Nucini, Rodomonti, Racalbuto, Collina (sì, l'attuale designatore!), Messina, Paparesta e con gli assistenti Copelli, Contini, Puglisi, Babini, Stagnoli e Titomanlio; e tenendo conto pure che alcuni dei suddetti hanno dichiarato di essere stati usi sentire anche dirigenti di altre squadre di serie A.
Per dirla tutta, sarebbe importante che oltre ai contatti in sé, presunti o meno, una buona volta si tentasse di analizzare con obiettività i contenuti delle telefonate, dato che finora ciò che è clamorosamente mancato in questa storia di presunti campionati falsati è proprio il nesso causale alla base di un'ipotesi di frode sportiva, e cioè quello fra chiamate intercettate (o presuntamente rilevate) e l'alterazione dei risultati delle partite.
E per dirla proprio tutta tutta, magari, sarà interessante tenere d'occhio anche quel che uscirà a Milano dall'inchiesta appena chiusa sullo spionaggio Telecom, nella quale Marco Tronchetti Provera, lo scorso 27 giugno, ha rilasciato ai PM Napoleone e Piacente la seguente dichiarazione (pag 81 del pdf pubblicato sul sito di Repubblica):
"E' chiaro, è come la questione di mio cognato e tutte le indagini su cose in cui il signor Tavaroli non doveva assolutamente coinvolgersi: ha un input da Moratti sui calciatori, poi magari Facchetti lo chiama per dirgli "ho questo problema del giovane arbitro", e lui attiva tutta una macchina spropositata che si muove in maniere non assolutamente nell'interesse dell'azienda o richiesta dall'azienda, cioè lo fa con l'Inter come lo fa... perché rientrano nella sfera in cui lui lo fa."