In una recente intervista al settimanale Sette, il presidente della FIGC Giancarlo Abete ha dichiarato che la questione di revocare o meno il titolo di campione d'Italia per la stagione 2005/2006 alla squadra del presidente Moratti sarà una ”decisione politica”. Da un punto di vista puramente formale tale prospettazione potrebbe sembrare corretta, in quanto non esiste una norma che imponga al Consiglio Federale di revocare l'inopinata decisione presa a suo tempo dall'ultrà nerazzurro Guido Rossi. Il parere reso a suo tempo dai tre “saggi” così recitava: “La FIGC ha certamente il potere discrezionale di deliberare la non assegnazione del titolo di campione d’Italia alla squadra divenuta prima in classifica a seguito della penalizzazione della squadra o delle squadre che la precedevano se, alla luce di criteri di ragionevolezza e di etica sportiva (ad es. ….quando anche squadre non sanzionate hanno tenuto comportamenti poco limpidi) le circostanze relative al caso di specie rendono opportuna tale non assegnazione”. Guido Rossi, come sappiamo, tradendo sostanzialmente il proprio ruolo super partes, assegnò senza indugio lo scudetto conteso alla seconda squadra di Milano. Successivamente però, in seguito all'attività difensiva operata nel processo di Napoli, sono emersi, a carico dell'Inter, fatti che definire “poco limpidi" è davvero un garbato eufemismo.
Tra i tanti comportamenti antisportivi messi in atto dalla dirigenza nerazzurra (pedinamenti, contatti con un arbitro in attività cui vennero proposte raccomandazioni per posti di lavoro, richieste di modifica di referti a ufficiali di gara) spicca in particolare il tentativo di aggirare il sorteggio arbitrale richiedendo l'inclusione in griglia di soli arbitri preclusi, oltre al nominativo caldeggiato. E' di tutta evidenza che questo, se giudicato con lo stesso metro usato per le sentenze sportive del 2006, costituirebbe un evidentissimo illecito sportivo ora presumibilmente prescritto, ma che poteva portare alla retrocessione di chi invece s'è trovato sul petto un titolo assolutamente immeritato.
Ma nel momento in cui il provvedimento di non assegnazione è da ritenersi discrezionale, lo sarebbe di converso anche quello di revoca, in assenza, causa prescrizione, di una sentenza della giustizia sportiva che accerti le responsabilità interiste.
Quindi, su un piano puramente giuridico, si potrebbe essere tentati di dare ragione ad Abete, in quanto il Consiglio Federale certamente ben potrebbe revocare tale titolo (e tale decisione sarebbe certamente opportuna), ma non vi sarebbe costretto, e quindi in teoria potrebbe altresì confermare il titolo assegnato a tavolino, ancorché questa decisione costituirebbe in sostanza un premio alla “furbizia” e una manifesta sperequazione.
Il fatto che astrattamente il Consiglio Federale possa prendere entrambe le decisioni non significa che abbiano pari dignità in quanto, mentre l'una (la revoca) è espressione di un elementare desiderio di giustizia che dovrebbe essere caro non solo a 14 milioni di tifosi juventini ma a quanti in Italia e nel mondo credono in uno sport più pulito, l'altra difende solo l'interesse a conservare un beneficio percepito senza alcun merito da parte di un soggetto sedicente onesto (e di taluni suoi partners commerciali)
Per tutte queste ragioni, ben lungi dal costituire una semplice decisione politica, la decisione di revocare lo scudetto di cartone dovrebbe essere un imperativo morale.
Revoca dello scudetto di cartone: decisione politica o imperativo morale?
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