La prima picconata al processo sportivo non poteva che provenire dal Grande Picconatore, il Presidente Emerito della Repubblica, Francesco Cossiga, che il 1° luglio 2006 commenta:
"Calciopoli? Fa solo danni". Cossiga ha parole molto dure per la Caf: "L'altro giorno mi sono vergognato per quella parodia della giustizia che è la commissione di appello federale: mi ha molto meravigliato che un serio giurista sia sceso così in basso da andare a presiederla. Il che vuol dire che lo pagano bene perché altra giustificazione non l'avrebbe".
Cossiga dà un'altra picconata con una lettera aperta inviata a Carraro, a Della Valle e a Lotito pubblicata il 6 luglio 2006:
"Caro Franco, caro Diego, caro Claudio, non dovete preoccuparvi: la giustizia sportiva è una buffonata. Vi ho visti tutti infervorati a difendervi di fronte a questa ridicola pseudo-corte federale di giustizia sportiva dalle accuse di un certo esagitato signor Palazzi che crede forse di essere sul serio un magistrato. Per il resto, se date retta a me li mandate tutti a fare in c...".
Mentre la stampa e le tv, come un sol uomo e con un "pensiero unico", pubblicizzano il buon lavoro dei vari Borrelli, Palazzi, Rossi e della CAF, si alzano poche voci di un "pensiero libero", mosse da spirito di giustizia e non dal tifo-contro camuffato da "voglia di un calcio pulito". Una di queste voci è di un insospettabile, tifoso interista: l'avvocato Giuliano Pisapia, ex deputato di Rifondazione comunista.
Pisapia, il 7 luglio 2006, rilascia un'intervista al Corriere della Sera e mette a fuoco dei punti rilevanti del processo sportivo che si sta svolgendo:
"Nessuno ha sottolineato che qui i giudici decidono solo sugli atti portati in aula dalla pubblica accusa. Leggo l'articolo 37 del codice: "Il dibattimento si svolge in contraddittorio tra la procura federale e le parti... Al termine del dibattimento il rappresentante della procura formula le proprie richieste". Bene, qui il dibattimento non c'è stato. Perché il dibattimento è il luogo dove si verifica la tesi accusatoria e si forma la prova".
Che alle difese non è stato consentito di produrre prove e di citare testimoni (come ammette l'art.37) e che l'accusa ha formulato le sue richieste di condanna ancor prima che iniziasse il dibattimento non è sfuggito a nessuno, ma solo Pisapia lo dice in modo chiaro. Pisapia aggiunge:
"Anche per i giudici più imparziali e più autorevoli come quelli scelti in questo caso, è ben difficile arrivare a una sentenza equa se il loro giudizio, come sta avvenendo in questo processo, si basa solo sugli atti della pubblica accusa (gli atti dell'Ufficio Indagini di Borrelli)".
La difesa non può produrre prove d'innocenza e non può neanche mettere in discussione le prove fornite dall'accusa, ma non basta perché anche sulle carte fornite a Borrelli dalla magistratura ordinaria "non c'è stata la possibilità di intervento della difesa: e tutto ciò esclude un giudizio equo in quanto non c'è neanche la possibilità di invertire l'onore della prova", come sottolinea Pisapia.
Pisapia sembra uno dei pochi saggi rimasti in giro:
"Non è così che si fa pulizia del marciume diffuso. La si fa solo creando una situazione per cui tutti i tifosi, di qualsiasi squadra siano, alla fine del processo non possano recriminare che vi sia stato un giudizio sommario in cui sono stati lesi i diritti della difesa".
CAF, le picconate di Cossiga e le critiche di Pisapia
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