E così Luciano Moggi, oltre ad avere la faccia da stronzo, una parlata arrogante e in sostanza nessuna condanna a suo carico nemmeno in primo grado, sarebbe anche un calunniatore e un minacciatore, così come si trova riportato, con grande enfasi, sulle home page dei maggiori quotidiani italiani.
Partiamo dall'imputazione di calunnia. Che è un atto dovuto. Anzi, forse più correttamente, sarebbe stato un atto dovuto se susseguente a una denuncia dell'Auricchio, invece Moggi è stato iscritto nel registro degli indagati dal pm Luca Palamara. Certo vige l'obbligatorietà dell'azione penale, ma in fondo, dagli elementi emersi, ossia dall'effettiva e ammessa conoscenza tra Baldini e Auricchio, il Pm avrebbe anche potuto aprire un'indagine a quel riguardo e non derubricare immediatamente le accuse di Moggi come calunnia, dato che un qualche elemento su cui fondarsi lo avevano.
Ma, insomma, che il Pm difenda la propria indagine, e nello stesso modo un carabiniere, è non soltanto normale, ma sarebbe anche grave se accadesse il contrario. Se un imputato dice: “La vicenda appare come una cosa macchinata e predisposta", il responsabile di quell'indagine, a meno di non voler perdere credibilità e con lui le istituzioni tutte, non può che chiamarlo a giudizio.
Tuttavia è strano che lo faccia Palamara. Che ha messo in fila imputando per reticenza e calunnia Giraudo, Capello, Moggi e addirittura Emanuele Blasi, colpevole non di avere mentito in tribunale, ma durante una telefonata privata. Una fase di Stasi, diciamo.
Peccato che la stessa solerzia non si sia manifestata con lo stesso Franco Baldini che ha dapprima deposto dicendo di non conoscere l' Auricchio, salvo essere da questi smentito, in un successivo interrogatorio.
Ho appena parlato di cose normali. Di reazioni normali e prevedibili, sarebbe meglio dire. Però questo non è un processo normale. A meno di non ritenere normale e a norma che l' inquirente si incontri con un concorrente dell'indagato, concorrente che per giunta aspira a prenderne il posto, come le indagini sottolineano. Ed è ancora meno normale che l'inquirente nella sua relazione, trascrivendo le telefonate ad uso del magistrato, infarcisca di omissis i riferimenti al suddetto concorrente. Riferimenti che lo indicano come aspirante alla poltrona dell'imputato, quando non addirittura come autore di un reato (articolo: Omissis).
Di questo ai giornali non è fregato pressoché nulla. Come del resto a Palamara. Che ha proceduto per calunnia, e contestualmente non ha avviato speculare pratica per accertare i fatti contenuti nelle dichiarazioni di Moggi. E, ancora, non ha ritenuto di procedere allo stesso modo con Baldini.
In sostanza, preme ricordare, rispetto a una versione giornalistica cui preme battere il tasto sull' "enciclopedica" lista di accuse contro Moggi, che:
E passiamo alle minacce. A Franco Baldini. Ricordo - il fatto è ormai andato in prescrizione e comunque godevo dei privilegi della minore età - che un vicino di casa particolarmente brufoloso mise in giro la voce che il responsabile di una serie di danneggiamenti a specchietti di automobili nel quartiere fossi io. Io che, nei miei 16 anni, avevo sì un'immagine vagamente da reietto, ma in fondo ero buono come il pane. Giuntami la voce e sopratutto giunta la voce al di me padre, che mi sorprese con due ceffoni preventivi (fatto anche questo in prescrizione, dottor Palamara), maturai un certo rancore per questo spacciatore di falsità. Al che, incontratolo, gli ricordai la sua somiglianza a un "pezzodimmerda" (si soleva raddoppiare la consonante a mo' di liaison per fingere un'inconsistente ma minacciosa discendenza meridionale), e lo ammonii che di quel passo sarebbe sicuramente finito male. Ovviamente non avevo dalla mia una squadraccia di picchiatori e neanche soltanto un cuggino dalla periferia, anzi ero decisamente un tipo "pisenlov". Non di meno lo minacciai. Perché me l'ero vista brutta, ca**o.
Ora è vero che Luciano ha passato i settanta; è vero che, fosse vero, se la poteva risparmiare; è vero che a maggior ragione, fosse vero, se la poteva risparmiare nelle vicinanze di un tribunale; ma non si venga a parlare di etica e di comportamento paramafioso. E non si dipinga Francobbaldini come una vittima.
O, davvero, si può anche moraleggiare sugli accoppiamenti dello stambecco.
Fin qui, comunque, stiamo discutendo di due ordini di ipotesi, entrambe, con le loro falle, più o meno realistiche. Ossia che Baldini e Auricchio possano avere cospirato contro Moggi. O che la loro conoscenza, nonostante l'effettiva stranezza e quegli strani omissis, si fosse fermata ad aspetti legittimi.
Abbiamo comunque individuato il ruolo nel processo di Auricchio e Baldini.
Il grande mistero di Italia è invece Fabio Capello. Il suo ruolo nel processo: preferirebbe fare il secondo di Zeman in una squadra di seconda fascia della Mongolia Interna, piuttosto che essere lì.
Quello che mi sfugge è il suo ruolo nella vita. Che, mi pare segnato da qualche incongruenza.
Stava a Roma, lavorava fianco a fianco con Baldini, di tanto in tanto qualche dichiarazione antisistema figlia naturale dell'ambiente, una famosa boutade antijuventina, e anche uno storico successo.
Poi, gran tradimento, passa proprio alla Juve. Che Baldini continua ad odiare visceralmente. Mentre Don Fabio stringe amicizia con Moggi e Giraudo. Un rapporto vero. Due anni di successi e grande sintonia.
Poi Calciopoli.
Capello che se ne va. E io che dico: beh dai è un uomo leale, hanno scaricato così i suoi amici, non può rimanere.
Però va al Real Madrid. E si porta dietro Baldini, il grande accusatore di Moggi al processo GEA. Un bel contratto per Baldini. Anche se alla fine al Real il lavoro di Baldini lo fa Mijatovic, che ha portato Capello in Spagna.
Poi il Real chiama Schuster e scarica Capello.
Capello va dalla Regina, e si porta dietro ancora Baldini. Un altro bel contrattuccio.
E io che dico: ma Baldini in una Nazionale che ci fa? Naturalizza giamaicani? Boh.
In tutto questo Capello si dice orgogliosissimo delle sue vittorie con la Juve, non cede di un millimetro, ma nello stesso tempo lavora con, o forse meglio ancora, fa lavorare, Franco Baldini, il più acerrimo accusatore di Moggi.
Al processo GEA se ne sta abbottonato. E viene anche accusato di reticenza.
Dallo stesso PM che ha eletto a superstar delle accuse il suo amico Franco Baldini.
Mentre un altro PM, a Torino, si occupa dei suoi affari di Roma (deve essere la proprietà commutativa, per cui indaga sempre una procura lontana un migliaio di km dai fatti), e lo accusa di avere percepito in nero parte del suo stipendio da allenatore della maggica, attraverso una società che si occupava di profumi. Maggica che è poi quella di Franco Sensi e Franco Baldini, mica un'altra.
In tutto Fabio Capello è stato un grande allenatore, grandissimo, ma mai ricordato con molto affetto da nessuno dei suoi ex tifosi, almeno in Italia.
E, per una volta, non saremo noi a fare eccezione, se non ha intenzione di dovere qualche chiarimento a noi tifosi della squadra con cui ha vinto due meritatissimi scudetti mai rinnegati. A parole.
Partiamo dall'imputazione di calunnia. Che è un atto dovuto. Anzi, forse più correttamente, sarebbe stato un atto dovuto se susseguente a una denuncia dell'Auricchio, invece Moggi è stato iscritto nel registro degli indagati dal pm Luca Palamara. Certo vige l'obbligatorietà dell'azione penale, ma in fondo, dagli elementi emersi, ossia dall'effettiva e ammessa conoscenza tra Baldini e Auricchio, il Pm avrebbe anche potuto aprire un'indagine a quel riguardo e non derubricare immediatamente le accuse di Moggi come calunnia, dato che un qualche elemento su cui fondarsi lo avevano.
Ma, insomma, che il Pm difenda la propria indagine, e nello stesso modo un carabiniere, è non soltanto normale, ma sarebbe anche grave se accadesse il contrario. Se un imputato dice: “La vicenda appare come una cosa macchinata e predisposta", il responsabile di quell'indagine, a meno di non voler perdere credibilità e con lui le istituzioni tutte, non può che chiamarlo a giudizio.
Tuttavia è strano che lo faccia Palamara. Che ha messo in fila imputando per reticenza e calunnia Giraudo, Capello, Moggi e addirittura Emanuele Blasi, colpevole non di avere mentito in tribunale, ma durante una telefonata privata. Una fase di Stasi, diciamo.
Peccato che la stessa solerzia non si sia manifestata con lo stesso Franco Baldini che ha dapprima deposto dicendo di non conoscere l' Auricchio, salvo essere da questi smentito, in un successivo interrogatorio.
Ho appena parlato di cose normali. Di reazioni normali e prevedibili, sarebbe meglio dire. Però questo non è un processo normale. A meno di non ritenere normale e a norma che l' inquirente si incontri con un concorrente dell'indagato, concorrente che per giunta aspira a prenderne il posto, come le indagini sottolineano. Ed è ancora meno normale che l'inquirente nella sua relazione, trascrivendo le telefonate ad uso del magistrato, infarcisca di omissis i riferimenti al suddetto concorrente. Riferimenti che lo indicano come aspirante alla poltrona dell'imputato, quando non addirittura come autore di un reato (articolo: Omissis).
Di questo ai giornali non è fregato pressoché nulla. Come del resto a Palamara. Che ha proceduto per calunnia, e contestualmente non ha avviato speculare pratica per accertare i fatti contenuti nelle dichiarazioni di Moggi. E, ancora, non ha ritenuto di procedere allo stesso modo con Baldini.
In sostanza, preme ricordare, rispetto a una versione giornalistica cui preme battere il tasto sull' "enciclopedica" lista di accuse contro Moggi, che:
- Se si tratti di calunnia è tutto da accertarsi.
- Se si mette in discussione, giusto o sbagliato che sia, la correttezza dell'operato di un inquirente, la denuncia scatta quasi automaticamente. A meno che l'inquirente non voglia ammettere deliberatamente di essere un persecutore dell'imputato.
- L'accusa di Moggi muove comunque da una base concreta.
- I testimoni della difesa vengono incriminati per reticenza e calunnia, i testimoni dell'accusa hanno la facoltà di non ricordare o ricordare male.
E passiamo alle minacce. A Franco Baldini. Ricordo - il fatto è ormai andato in prescrizione e comunque godevo dei privilegi della minore età - che un vicino di casa particolarmente brufoloso mise in giro la voce che il responsabile di una serie di danneggiamenti a specchietti di automobili nel quartiere fossi io. Io che, nei miei 16 anni, avevo sì un'immagine vagamente da reietto, ma in fondo ero buono come il pane. Giuntami la voce e sopratutto giunta la voce al di me padre, che mi sorprese con due ceffoni preventivi (fatto anche questo in prescrizione, dottor Palamara), maturai un certo rancore per questo spacciatore di falsità. Al che, incontratolo, gli ricordai la sua somiglianza a un "pezzodimmerda" (si soleva raddoppiare la consonante a mo' di liaison per fingere un'inconsistente ma minacciosa discendenza meridionale), e lo ammonii che di quel passo sarebbe sicuramente finito male. Ovviamente non avevo dalla mia una squadraccia di picchiatori e neanche soltanto un cuggino dalla periferia, anzi ero decisamente un tipo "pisenlov". Non di meno lo minacciai. Perché me l'ero vista brutta, ca**o.
Ora è vero che Luciano ha passato i settanta; è vero che, fosse vero, se la poteva risparmiare; è vero che a maggior ragione, fosse vero, se la poteva risparmiare nelle vicinanze di un tribunale; ma non si venga a parlare di etica e di comportamento paramafioso. E non si dipinga Francobbaldini come una vittima.
O, davvero, si può anche moraleggiare sugli accoppiamenti dello stambecco.
Fin qui, comunque, stiamo discutendo di due ordini di ipotesi, entrambe, con le loro falle, più o meno realistiche. Ossia che Baldini e Auricchio possano avere cospirato contro Moggi. O che la loro conoscenza, nonostante l'effettiva stranezza e quegli strani omissis, si fosse fermata ad aspetti legittimi.
Abbiamo comunque individuato il ruolo nel processo di Auricchio e Baldini.
Il grande mistero di Italia è invece Fabio Capello. Il suo ruolo nel processo: preferirebbe fare il secondo di Zeman in una squadra di seconda fascia della Mongolia Interna, piuttosto che essere lì.
Quello che mi sfugge è il suo ruolo nella vita. Che, mi pare segnato da qualche incongruenza.
Stava a Roma, lavorava fianco a fianco con Baldini, di tanto in tanto qualche dichiarazione antisistema figlia naturale dell'ambiente, una famosa boutade antijuventina, e anche uno storico successo.
Poi, gran tradimento, passa proprio alla Juve. Che Baldini continua ad odiare visceralmente. Mentre Don Fabio stringe amicizia con Moggi e Giraudo. Un rapporto vero. Due anni di successi e grande sintonia.
Poi Calciopoli.
Capello che se ne va. E io che dico: beh dai è un uomo leale, hanno scaricato così i suoi amici, non può rimanere.
Però va al Real Madrid. E si porta dietro Baldini, il grande accusatore di Moggi al processo GEA. Un bel contratto per Baldini. Anche se alla fine al Real il lavoro di Baldini lo fa Mijatovic, che ha portato Capello in Spagna.
Poi il Real chiama Schuster e scarica Capello.
Capello va dalla Regina, e si porta dietro ancora Baldini. Un altro bel contrattuccio.
E io che dico: ma Baldini in una Nazionale che ci fa? Naturalizza giamaicani? Boh.
In tutto questo Capello si dice orgogliosissimo delle sue vittorie con la Juve, non cede di un millimetro, ma nello stesso tempo lavora con, o forse meglio ancora, fa lavorare, Franco Baldini, il più acerrimo accusatore di Moggi.
Al processo GEA se ne sta abbottonato. E viene anche accusato di reticenza.
Dallo stesso PM che ha eletto a superstar delle accuse il suo amico Franco Baldini.
Mentre un altro PM, a Torino, si occupa dei suoi affari di Roma (deve essere la proprietà commutativa, per cui indaga sempre una procura lontana un migliaio di km dai fatti), e lo accusa di avere percepito in nero parte del suo stipendio da allenatore della maggica, attraverso una società che si occupava di profumi. Maggica che è poi quella di Franco Sensi e Franco Baldini, mica un'altra.
In tutto Fabio Capello è stato un grande allenatore, grandissimo, ma mai ricordato con molto affetto da nessuno dei suoi ex tifosi, almeno in Italia.
E, per una volta, non saremo noi a fare eccezione, se non ha intenzione di dovere qualche chiarimento a noi tifosi della squadra con cui ha vinto due meritatissimi scudetti mai rinnegati. A parole.