Riprendiamo questo interessantissimo approfondimento di Fulvio Paglialunga pubblicato sul sito ultimouomo.com ( http://www.ultimouomo.com/nelle-mani-di-infront/ ) sui diritti televisivi.
Siamo solo diventati più grandi, ma in fondo decide ancora chi porta il pallone. Anche se chi lo porta è poi chi lo trasmette in tv e pure chi lo vende agli sponsor. Questa è la storia di un intreccio che comincia nel 2008: di diritti televisivi, marketing, soldi, salvataggi e controllo delle operazioni, di padroni eleganti del calcio italiano; eleganti, ma padroni. Sono tutte le strade che portano a Infront, il colosso svizzero poi sbarcato in Italia che gestisce i diritti tv e che poi gestisce molto altro. E che si appresta a gestire quasi tutto.
DI COSA PARLIAMO QUANDO PARLIAMO DI DIRITTI TV
Nessun discorso sui diritti tv e su quanto incidono nell’autonomia finanziaria (e dunque nell’autonomia in genere) delle società, può dimenticare che, senza, le società italiane crollerebbero all’istante, come il castello di sabbia minuziosamente costruito a riva da bambini scalciato dal coetaneo dispettoso. Ne crollerebbero molte altre, chiaro; ma probabilmente molto meno. In Italia i diritti tv rappresentano il 43 % dei ricavi dei club di serie A, secondo l’ultimo report economico della Figc. Il 38 % se si analizza il calcio italiano nel suo complesso, con il 20 % derivante dalle plusvalenze e dunque il grido di allarme, nero su bianco e persino un po’ banale: «Insieme valgono il 58% del totale. Mentre le plusvalenze tenderanno nel breve termine a diminuire, poiché l’uscita di campioni internazionali dal nostro principale campionato si è quasi ultimata e difficilmente sarà sostituita dalla creazione di valore di giovani talenti, è lecito chiedersi quanto sia ancora sostenibile la dipendenza da così forti fonti di ricavi televisivi».
Secondo l’ultimo rapporto Deloitte sui fatturati dei club (il Deloitte Football Money League) maggiori d’Europa, le italiane sono quelle che dipendono quasi totalmente dai proventi dei media: il 61 % del fatturato (si intendono, al netto di plusvalenze da player trading) della Juve, il 53% del Milan, le due società di Serie A tra le prime dieci d’Europa per fatturato. Per orientarci: le prime otto sono Real Madrid (incidenza 36 %), Barcellona (39%), Bayern di Monaco (25%), Manchester United (28%), Psg (23%), Manchester City (32%), Chelsea (42%), Arsenal (36%).
Ecco di cosa parliamo quando parliamo di diritti tv nel calcio italiano: di quasi tutti i soldi che entrano nelle casse della società.
IL POTERE DEI SOLDI
Il concetto diventa di semplice transizione: se chi gioca ha bisogno dei diritti tv (anche per incapacità a produrre altri ricavi, ma è un’altra storia) per poter andare avanti, chi gestisce i diritti tv permette realmente alle società di sopravvivere. Dunque chi ha la cassa può sempre esercitare una enorme pressione anche senza sforzo. Diventa una silenziosa e spietata legge di mercato, ma fin qui tutto forzatamente normale, da anni il calcio si spalma ad esempio su giorni e orari a beneficio di telecamere e non può farne a meno. Accade in Italia, nelle altre nazioni, in tutte le competizioni internazionali. Ma questo è solo il punto di partenza del potere che Infront possiede e gestisce da queste parti.
Una scalata che comincia nel 2008, un po’ a sorpresa. Occorre segnare i nomi, perché sono importanti: sei anni fa Infront compare sulla scena perché Antonio Matarrese candida l’azienda come advisor della Lega, chiamata a occuparsi della vendita collettiva dei diritti tv dal 2010. E causa uno scontro feroce nella Confindustria del pallone, una decisione dopo dieci ore di riunioni a luglio e una serie di dubbi legali sul ruolo dell’advisor. Dice Matarrese che tra le offerte arrivate, quella di Infront è «di gran lunga la più interessante, utile e propositiva», ma non sono molti ad essere d’accordo. Però passa, perché con lui votano a favore Lotito, Cellino e tutta la serie B, le grandi stanno a guardare, mentre Galliani riesce nel capolavoro di spingere per Infront (come raccontano le cronache) e non dar torto alla Juve, che più di tutte contesta la legittimità dell’accordo. Promette un mare di soldi, Infront: un minimo garantito di 900 milioni di euro annui senza alcuna commissione e poi provvigioni crescenti, oltre quella somma. Irrompe, quindi, portando con sé il mistero di questo nuovo nome. Sei anni fa.
IL NIPOTE DI SEPP E UN PO’ DI ALTRI NOMI
Il gran capo di Infront, presidente e Ceo, è Phillippe Blatter, nipote di Sepp, perché i nomi in questa storia non sono casuali e nemmeno gli incroci, ad esempio, se questa è la società che vende i diritti tv delle manifestazioni che organizza la Fifa di zio e che, in addizione, nell’ultimo Mondiale e prima nella Confederations ha gestito anche i pacchetti di ospitalità per chi voleva seguire le manifestazioni. Infront arriva in Italia quando la madre svizzera acquista Media Partners, la società che prima gestiva i diritti tv e che nel 1995 era stata creata, tra gli altri da Marco Bogarelli e Andrea Abodi, che ora è a capo della Lega di serie B e che fra un po’ tornerà nelle cronache.
Ora è il momento di Bogarelli, che è diventato presidente di Infront Italy immediatamente e ha subito fatto parlare di sé. Per i legami con Mediaset, che pochi giorni dopo la sorpresa tirata fuori dalla Lega di Matarrese (con Infront che fece fuori colossi del management sportivo come Img e Sportfive e colossi tout court come Rothschild e Mediobanca) fece scrivere al Corriere della Sera un pezzo privo di giri di parole: «Quel Bogarelli sembra Galliani», perché Bogarelli era consigliere di Milan Channel, aveva venduto a Mediaset già i diritti del digitale terrestre (peraltro di recente è stato a bordo della Crociera Rossonera) e ha come vice in Infront Italy Andrea Locatelli, otto anni nel settore dei diritti sportivi della Fininvest; senza contare che anni dopo l’azienda stessa avrebbe dovuto correre per smentire un contratto da 370mila euro all’anno che secondo i giornali era destinato a Sabina Began, l’ape regina sotto inchiesta per il bunga bunga che avrebbe dovuto occuparsi di diritti tv da consulente. Pronta la precisazione che escludeva «l’esistenza di un rapporto di collaborazione con la signora Began», per quanto lei stessa lo avesse confermato.
LA LEGA, I SOLDI, LE INTESE
Dal 2010 dunque la Infront rifornisce di soldi il calcio italiano, vende i diritti per conto della Lega e si allarga, mettendo le mani su altri pezzi del calcio italiano. Quello che ha promesso, Infront lo ha mantenuto e dal momento in cui ha messo piede, grazie alla Lega di Matarrese, nel nostro pallone non se ne è più andata. Anzi, ha da poco siglato un nuovo accordo fino al 2021, per portare sei miliardi, in sei anni, nelle casse delle società: il contratto prevede un minimo annuo di 980 milioni per il primo triennio e il rinnovo automatico per il triennio 2018-2021 se dovesse incassare per i primi tre anni più di 1,040 miliardi all’anno. E sempre con il solito accordo: Infront guadagna le sue commissioni se supera il minimo garantito.
Sembra un momento di concordia, quello che porta a quest’accordo perché solo la Roma vota contro delle società di serie A e Agnelli non solo vota a favore, ma è investito in prima persona dell’incarico di condurre la trattativa. Con Lotito l’uomo che aveva reso possibile, con Cellino e le altre piccole, l’ingresso tumultuoso di Infront nel pallone. Sembra il “quando non puoi sconfiggerlo, alleati”, ma è persino qualcosa di più se la prima dichiarazione che Agnelli rilascia all’Ansa è: «Sono grato al presidente Lotito», che dal punto di vista comunicativo riconosce un ruolo centrale nei rapporti con la Infront.
GLI SCHIERAMENTI IN LEGA, PER BERETTA
C’è però di più, nella forza di Infront. Ed è tra le cose non dette, tra quelle percepite. Eppure di una potenza incredibile. Occorre un salto nei mesi a cavallo tra fine 2012 e inizio 2013, un anno e mezzo fa. Tanto per cambiare a un altro braccio di ferro, per l’elezione del presidente di Lega di serie A: la Juve, con altre, candidava Andrea Abodi (ex Media Partners, poi uscito prima che diventasse Infront), Lotito voleva ancora fortemente Beretta nonostante l’incarico in Unicredit facesse storcere il muso a molti (e al quale – ricorda qualcosa? – contestavano la vicinanza estrema al presidente della Lazio).
Ma Beretta non era candidato, almeno all’inizio: si aspettava il momento per renderlo indispensabile uomo di raccordo. E le altre votavano Ezio Maria Simonelli, revisore dei conti della Lega e proposto da Galliani, che anche in questa occasione (come nell’assemblea che approvò l’ingresso di Infront) simula un ruolo terzo, prima di schierarsi secondo il vero obiettivo. Che dopo una serie di votazioni a vuoto Lotito e gli altri riescono a raggiungere: eletto Beretta, al sesto scrutinio, perché le candidature di Abodi e Simonelli si logorano e il presidente uscente diventa entrante. Anche qui Lotito mette insieme le piccole e vince: oltre a Milan e Lazio votano sicuramente per Beretta Catania, Torino, Cagliari, Parma, Bologna, Atalanta, Napoli, Udinese, Genoa e Palermo. E restano fuori dagli incarichi, dunque all’opposizione, Juventus, Inter, Roma, Siena, Pescara, Sampdoria e Fiorentina.
Secondo i dati dei tifosi, con Juve, Inter, Roma, Samp e Fiorentina è fuori dalla stanza dei bottoni della Lega il 70 per cento dei tifosi italiani. «Sostengo Beretta da sempre. Ritengo che la politica della Lega abbia bisogno di una riforma strutturale perché tutto il sistema calcio ruota attorno a noi e Beretta è l’unica persona in grado di realizzare queste riforme. Maurizio Beretta è l’innovazione nella continuazione», ciò che dice Lotito lo abbiamo sentito anche a due anni di distanza, ma non è questo l’unico punto di contatto.
GLI SCHIERAMENTI IN FIGC, PER TAVECCHIO
Poco più di un mese fa, l’elezione di Tavecchio. E tutto il caos scatenato dalla frase del presidente della Lega Dilettanti con ambizione di mettersi a capo del calcio italiano, dalla propria impresentabilità e dai poco rassicuranti sponsor del candidato. A partire da Lotito (incidentalmente: l’uomo che votò nel 2008 a favore di Infront), per finire a Matarrese (il presidente di Lega che propose Infront come advisor, all’epoca). Rumore, proteste, campagne e tanto vince Tavecchio, con una strategia nota: Lotito si porta dietro le piccole, ma non solo. Anche chi sembra voler protestare alla fine si schiera con il vincitore. Chi non cede nemmeno di un passo sono Milan, Lazio, Genoa, Napoli, Inter Atalanta, Verona, Chievo, Parma, Palermo e Udinese. Sembrano squadre a caso, un’alleanza occasionale: sono praticamente le stesse squadre che hanno votato Beretta a gennaio 2012.
Con Juve e Roma, a firmare il documento che chiedeva un passo indietro a Tavecchio, c’erano Cagliari, Cesena, Empoli, Fiorentina, Sampdoria, Sassuolo e Torino, ma poi Cagliari e Cesena si sono tirate fuori e secondo i conti di Galliani anche Sassuolo, Empoli e Sampdoria. Sembra una scena vecchia: la lotta, Juve e Roma tra le grandi contro e Lotito e il Milan che vincono. Con le stesse squadre, qualche rinforzo improvviso, le stesse dinamiche. Può essere una bellissima storia di amicizia, un racconto di comunione di intenti, i tanti Davide che sconfiggono i Golia oppure dell’altro. Può essere valido tutto, come giustificazione. Anche l’altro.
NEL NOME DEL MARKETING
Si è detto in premessa che le società dipendono troppo dai diritti tv, e sfruttano poco tutti gli altri possibili ricavi. Se si torna al raffronto fatto dalla Deloitte, i ricavi commerciali della Juve sono il 25% del fatturato, del Milan il 37% e poi Inter (40%, ma anche il 48% dai diritti tv), Roma (31%), per restare a quelle nelle prime venti. È evidente che, mentre di stadi si comincia a parlare ora e solo per le grandi, il commerciale è la prossima miniera da esplorare. Come? Con Infront, in molti casi.
È un tratto comune tra le società che hanno votato Beretta e poi Tavecchio. L’azienda di Bogarelli sa muoversi negli spazi vuoti del pallone e, dunque, ha iniziato a stringere partnership specializzandosi anche in marketing e sponsoring. Dunque portando altri soldi ai club, oltre quelli dei diritti tv. Con una capacità di incidere che, a naso, può arrivare tra una cosa e l’altra, vista la prassi italiana, anche all’80% delle entrate. Nel suo portfolio, pubblico, Infront dice di avere come fiore all’occhiello la gestione della parte commerciale di Milan, Lazio, Genoa, Sampdoria, Udinese, Cagliari e Palermo. Un attimo: il Milan ha votato Beretta e Tavecchio, la Lazio pure; e anche il Genoa, l’Udinese, il Cagliari (Cellino votò con Lotito e la serie B, nel 2008, per l’ingresso di Infront), il Palermo. La Samp un anno e mezzo fa non votò con questo gruppo, aveva Garrone come presidente e, ma sarà una coincidenza, comincia ad avere sponsor grazie all’intercessione di Infront. Ad esempio dieci giorni fa ha stretto un accordo con la compagnia assicurativa Groupama, società che nel comunicato stampa ha fatto sapere che è stato «rilevante, nella realizzazione dell’accordo [...] il ruolo di Infront Italy, azienda leader in Italia nella gestione dei diritti sportivi e partner del gruppo assicurativo internazionale». Infront è dunque partner di Groupama, che sponsorizza la Sampdoria, ma anche Lazio, Udinese, Genoa, Chievo e Parma (aumentano le coincidenze: provate a vedere di nuovo chi hanno votato queste società).
Durante la bagarre per il voto ha fatto rumore il voltafaccia del Cesena, che all’improvviso comunicò di abbandonare i dissidenti e votare Tavecchio. «Io non voglio fare la parte di quello che non decide», disse il presidente Giorgio Lugaresi che qualche mese prima aveva dato a Infront l’incarico di trovare uno sponsor da 700-800 mila euro per la maglia della sua squadra.
LO STRANO CASO DELL’INTER
Può essere tutto un grande caso. Anche il ruolo passivo dell’Inter sull’elezione di Tavecchio (si narra anche di una telefonata di Pallotta per convincere Thohir che però non sapeva nemmeno di che si stesse parlando, ma almeno questo pare fantasioso) e l’accordo stretto dalla stessa società e la Infront a fine aprile per sponsorship e ospitalità a San Siro. Un accordo monstre, che fa fuori Rcs Sport (occhio, questo tornerà): ricavi minimi per 80 milioni in quattro anni, un aumento di non meno di 10 milioni all’anno rispetto ai guadagni precedenti. «Inter e Infront hanno condiviso una strategia di crescita che svilupperanno nei prossimi quattro anni, con l’obiettivo di posizionare anche a livello commerciale il marchio Inter a livelli di eccellenza internazionale», ha detto benedicendo il matrimonio Eric l’indonesiano. Che poi ha votato Tavecchio senza mai prendere la parola nel dibattito. E che anche quando l’ha presa, parlando lui o parlando l’Inter, ha lasciato qualche contraddizione sul selciato.
Quando è stato eletto il nuovo presidente della Figc ha emesso un comunicato in cui si rallegrava per il risultato e si augurava «la nascita delle seconde squadre per trovare sbocchi immediati ai giovani che escono dal Settore Giovanile». Pensiero cambiato dopo la prima assemblea della nuova Figc, quella in cui i proprietari dei club di serie A, con un gioco di verbali raccontato dalla Gazzetta dello Sport optano forzatamente per le multiproprietà. È Marco Fassone, direttore generale nerazzurro, a certificare in modo inconsapevole il cambio di rotta: «Sul tavolo, inoltre, ci sono altre riforme che condividiamo, come ad esempio la lista composta da 25 elementi, le seconde proprietà e il ’4+4′ che già utilizzano tante squadre europee». E le seconde proprietà non sono le seconde squadre, ovviamente. E l’Inter, all’elezione di Beretta di gennaio 2013 era tra le più feroci oppositrici, con Moratti che commentò sbottando: «Si è deciso di sposare ancora la vecchia mentalità». Allora.
IL SALVATAGGIO DEL BARI
Un altro sforzo necessario per capire il potere di Infront è tornare su un argomento già dibattuto: il Bari e la sua proprietà. C’è di certo, in questa storia misteriosa, che Paparesta ha vinto in tribunale l’asta pagando 4,8 milioni di euro, ma non si sa di chi. O meglio, forse sì. Perché Dagospia lo scrive: il 70% del club «sarebbe di Infront, la società di Marco Bogarelli, e di Mp & Silva, ufficialmente acquisitori dei diritti televisivi e commerciali, di fatto proprietari» (il restante è di Lotito, che è sempre colui che votò per l’ingresso di Infront nel 2008 in Lega Calcio).
Paparesta, replicando, dice comunque una verità pesante: quando indiani e russi si sgonfiano «tiriamo fuori un business plan che prevede la vendita, in caso di acquisto delle società, di una serie di diritti che il Bari non aveva mai commercializzato. Prendo contatti con la Infront, la società leader dei contenuti televisivi in Italia, e con gli irlandesi di Media Partners & Silva e propongo loro l’affare. A Infront mi impegno a vendere per i prossimi cinque anni una serie di diritti, come quelli di archivio, della produzione audiovisiva, o per esempio i credits sui video game. A Silva invece i diritti pubblicitari e la cessione di tutte le sponsorizzazioni nello stadio, riservandomi per me due sponsor fondamentali: quello di maglia e quello tecnico. In sostanza dico a queste aziende, il Bari ha tifosi straordinari, è un bacino senza fondo, se la portiamo dove merita e cioè in serie A guadagniamo tutti, datemi una mano. E loro accettano il rischio imprenditoriale. E comprano l’opzione. Tra le due cessioni di questi diritti, copro abbondantemente l’asta».
Dunque la Infront ha anticipato dei soldi che Paparesta non aveva, ha comprato indirettamente (non da sola) il Bari e ha vinto un’asta contro altri imprenditori. E qualche giorno fa ha presentato un bel blocco di sponsor presenziando alla conferenza stampa con il general manager Giuseppe Cecchetti.
IL CONFLITTO DI INTERESSI E QUELLO CHE VERRÀ
Possono essere tutte coincidenze, ma è sicuramente un concentrato di potere altissimo: esiste, di fatto, una società che garantisce quasi per intero le entrate di moltissimi club e che ora che comincia a pensare anche ad accordi per la costruzione degli stadi (come sta avvenendo a Brescia, dove Infront è interlocutore diretto del Comune) potrebbe pure arrivare a garantirli al 100%. E che in qualche modo tiene unito uno schieramento che sceglie sempre la continuità (nell’innovazione, direbbe Lotito) e che non rompe mai con il vecchio calcio ammalato, povero, triste e sempre meno competitivo. Che gestisce i diritti tv del calcio (e organizza, tanto per aggiungere, le sessioni di calciomercato) e il marketing e gli sponsor di troppe società e che forse non ha placato la sua fame.
Perché nel frattempo i contratti degli sponsor della Figc sono tutti in scadenza, al culmine del quadriennio dei Mondiali e per rinnovarli la Federcalcio dovrà individuare un nuovo advisor commerciale (per la consulenza e la valorizzazione dei diritti di sponsorizzazione di tutte le Nazionali italiane di calcio), vista la scadenza dell’accordo con Rcs Sport (ecco che torna). Un giro di una sessantina di milioni circa, visto che nel 2011-2014 sarebbero stati 56 milioni. E chi ha presentato la propria candidatura come advisor? Ovviamente Rcs, ma anche Infront, che quattro anni fa, con un altro presidente in Figc perse la sfida nonostante offrisse dei minimi (e Rcs no, se non la tradizione del rapporto commerciale). E quindi ora esiste, ed è fortissima, la possibilità che la Federazione di un presidente eletto da un gruppo di squadre a cui Infront garantisce l’80% delle entrate, che è lo stesso gruppo di club che ha eletto il presidente della Lega che ha Infront come partner per i diritti tv, possa affidare a Infront anche le entrate della Figc, consegnando quel pezzo di pallone che ancora non sembra di proprietà. O forse sono solo coincidenze.