Ieri è stata sciolta anche l'ultima riserva: l'11 agosto sarà Demetrio Albertini a contendere a Carlo Tavecchio la poltrona di presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio, vacante dal giorno in cui Giancarlo Abete ha rassegnato le dimissioni in seguito al flop della Nazionale azzurra agli ultimi Mondiali in Brasile.
Numeri alla mano, il favorito per la presidenza della FIGC è sicuramente Tavecchio, che può contare sui voti della Lega Nazionale Dilettanti da lui presieduta "solo" dal 1999, su quelli della Lega Pro presieduta dal suo braccio destro Mario Macalli (un altro dilettante in questo ruolo, dato che la sua elezione risale al 10 gennaio 1997!) e su quella parte della Lega di Serie A che fa capo all'attuale presidente Maurizio Beretta e ai suoi fedelissimi Adriano Galliani e Claudio Lotito: in termini percentuali, il settantunenne Tavecchio può contare più o meno sul 60% dei voti. Dall'altra parte Albertini può contare su due sponsor di primissimo piano come il presidente della Juventus Andrea Agnelli (non a caso vittima di un violento attacco da parte di Macalli non molto tempo fa!) e sull'amministratore delegato all'area commerciale del Milan Barbara Berlusconi, ma l'ex centrocampista della Nazionale ha il non facile compito di cercare i voti che gli consentano di ridurre il gap nei confronti del suo sfidante, che a questa "missione" si sta dedicando praticamente dal giorno in cui Abete si è fatto da parte.
Voglio essere estremamente sincero: detto che sono contrario nella maniera più assoluta all'elezione di Tavecchio perché stiamo parlando di un signore che è l'espressione più lampante di un sistema da buttare dopo tutti i danni arrecati al calcio italiano negli ultimi 25 anni, mi sarei aspettato che a guidare il fronte dei "rinnovatori" fosse qualcun altro e non Albertini. Non perché l'ex centrocampista del Milan e della Lazio non sia una persona perbene (mai penserei una cosa del genere di lui, così come non la penso del suo sfidante!), ma perché stiamo parlando di un signore che nel 2006 è diventato vice dell'allora commissario straordinario Guido Rossi (il nome basta e avanza, no?) e nel 2007 è diventato il numero due del neo-eletto Abete: forse come alfiere del rinnovamento del calcio italiano sarebbe stato più indicato qualcuno con spiccate abilità manageriali e che, al tempo stesso, nulla avesse avuto a che spartire in passato con la burocrazia che ha governato il pallone nostrano fino a ieri e che potrebbe continuare a governarlo domani se a vincere fosse il fronte pro-Tavecchio.
Tuttavia, poiché queste sono le forze in campo e Albertini rappresenta l'unica alternativa alla perpetuazione di una nomenclatura che va esautorata quanto prima, resta da augurarsi che l'11 agosto sia lui a vincere: del resto una FIGC presieduta da Albertini garantirebbe un minimo margine di cambiamento, mentre nel caso in cui a spuntarla fosse il suo sfidante la restaurazione sarebbe garantita (e drammatica, ben inteso!).
P.S. Un'altra cosa che colpisce in tutta questa situazione è il dualismo che si sta consumando nel Milan, dato che in questa contesa i due amministratori delegati della società rossonera si trovano su fronti contrapposti...