AgnelliNella lunga intervista concessa al Financial Times Andrea Agnelli ha parlato a 360 gradi di Juventus e dei problemi del calcio italiano, come metafora di quelli dell’intero Paese: problemi che fanno da freno a mano alle ambizioni della società fuori dai confini italiani. Una Juventus tornata dominante in Italia che però sconta l’arretratezza sistemica del sistema calcio rispetto alle locomotive inglesi, tedesche e spagnole.

Agnelli, come sempre più spesso gli capita, ha parlato ad una importantissima testata internazionale, rivelando una volta di più un certo snobismo verso i media locali. I motivi di questa scelta sono diversi: Agnelli è un manager formatosi all’estero, ha una mentalità imprenditoriale di respiro internazionale, parla inglese quasi come l’italiano. Ovvio che uno così nel governo del calcio italiota stia all’opposizione mentre la facciano da padrone i Lotito, i Cellino, i Pulvirenti. Ma è soprattutto il modo in cui è stato tradotto il passaggio relativo a Calciopoli che spiega e giustifica meglio di qualsiasi altro ragionamento il motivo dell’affidarsi alla stampa estera. In queste ore se ne sta discutendo molto sul web: i contatti con i “referees’ bosses” (i capi degli arbitri) nel passaggio dal FT ai media italiani sono diventati semplicemente con i “referees”, gli arbitri tout court. Lost in translation? Malafede? Lo spazio per pensar male è ampio. Anzitutto è incredibile come sia bastato che uno (probabilmente un'agenzia di stampa) traducesse in quel modo perché tutti gli altri ripetessero l’errore senza porsi alcun dubbio e magari risolverlo, da giornalisti, controllando la fonte originaria dell’intervista. In fondo era un po’ strano che Agnelli accreditasse contatti con gli arbitri, no? Strano sì, ma aderente al modo in cui Calciopoli è stata raccontata in Italia, a come la coscienza collettiva e il sentimento popolare abbiano guidato la trama dello scandalo molto più dei fatti. Anzi, a prescindere dai fatti.

Le poche righe in cui si parla di Calciopoli sono chiarissime:

Italian justice rarely offers closure, and still nobody quite agrees who did what in Calciopoli. Agnelli says of Juventus’s role: “It was not match­fixing.” He notes that the club was only ever found guilty of “unsporting behaviour”, not “sporting fraud”. I retort, “But Moggi was phoning referees’ bosses!” Agnelli replies: “Moggi, and a lot of other people, as later came out.”
He sticks to the Juventus line: the club was made the scapegoat for a systemic disorder in Italian football.


A distanza di sette anni, alla domanda “What’s Calciopoli?” si può rispondere col linguaggio asciutto di Agnelli, ricordando pochi concetti fondamentali: 1) nessun “matchfixing”, nessuna partita combinata;
2) nessun illecito, solo comportamenti antisportivi che esclusivamente in virtù di una estemporanea invenzione giuridica sono stati tramutati in illecito;
3) Moggi e tanta altra gente parlavano con i capi degli arbitri;
4) la Juventus è stata il capro espiatorio di un disordine sistemico del calcio italiano. Mancherebbero ancora due cose: il cortocircuito tra magistratura e media, fondamentale nell’incanalare il racconto nella direzione auspicata e per l’occultamento della verità di sistema, e l’atteggiamento inerme della società, sul quale ovviamente Agnelli non può soffermarsi.

Alla fine il gioco è valso la candela? Killerare la locomotiva del calcio italiano per regalare cinque anni di felicità cartonata a chi aveva sperperato i suoi soldi a cosa è servito? La Juve è ritornata leader, l’Inter è ritornata l’Inter, il sistema calcio si è arenato. Per preservare gli effetti di un golpe sgangherato abbiamo avuto istituzioni ingessate, posizioni su posizioni perse nel ranking internazionale, riforme indispensabili sempre rimandate, mediocrità tecnica dilagante. Per l’effimero capriccio di pochi il calcio italiano è rapidamente diventato periferia d’Europa e l’unica eccellenza rimasta (la solita Juve, risorta dalle sue ceneri) non può trascinare l’intero sistema (anzi, è stata posta ai margini in Lega e Federcalcio) ma al massimo puntare a essere “a pocket of excellence in a decaying country”, una sacca di eccellenza in un Paese decadente. Mission accomplished.


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