Se un arbitro dice "non me la sono sentita", allora la questione è seria.
Non basta lamentarsi davanti alle telecamere. Se davvero l'arbitro Marco Guida ha pronunciato quelle parole al termine di Juventus-Genoa allora c'è qualcosa che non quadra. E' la spia di un malessere diffuso, di un qualcosa che avevamo già avvertito, strisciante, negli anni scorsi. E allora la questione va affrontata seriamente, va sollevato il problema nelle sedi istituzionali. E' possibile che un arbitro possa avere timore di dare un rigore alla Juventus? E se sì, perché? Quanto incidono i media e il loro atteggiamento su questo timore? Queste sono le domande che la Juventus, nella figura del suo presidente Agnelli, dovrebbe fare alle istituzioni arbitrali. E dovrebbe farlo ufficialmente.
L'errore di un arbitro ci può stare. Ma la paura no. Prima del mani colossale del difensore del Genoa al 93' c'erano stati altri due episodi altrettanto punibili con il penalty. Ma non ci saremmo certamente lamentati. Potevano essere benissimo considerati errori fisiologici, come il probabile braccio di Vucinic nel primo tempo. Ma quando al 93' l'episodio lo vede tutto lo stadio, lo vede l'arbitro di porta e ti dice chiaramente di dare il rigore, e l'arbitro fa finta di nulla perché "non se la sarebbe sentita", allora bisogna fermare gli orologi e chiedersi il perché.
Una volta si parlava di sudditanza psicologica degli arbitri e la si descriveva come una sorta di pressione inconscia che predisponeva l'arbitro, nel dubbio, a favorire la società più potente. Sull'argomento sono stati scritte decine di articoli e tenute migliaia di dibattiti. Stasera però abbiamo assistito ad un fatto nuovo. Stasera, per la prima volta, potrebbe essere ufficialmente stato certificato un episodio di "controsudditanza psicologica". Una squadra considerata potente, come la Juventus, alla quale un arbitro, per ben tre volte non assegna un rigore, l'ultimo dei quali stratosferico e pure con l'appoggio dell'arbitro di porta.
Perché dunque un arbitro dovrebbe avere timore a farlo? Quali sono le possibili motivazioni?
Interessante approfondire l'argomento. In effetti, dal 2006 in poi, ci sono stati molti casi in cui il dubbio mi è venuto. Senza stilare elenchi e dossiers, ricordo ad esempio la lunga serie di partite senza rigori a favore. Oppure la lunga serie di rigori contro che costrinsero Cobolli Gigli a scrivere nientemeno che una lettera pubblica di protesta alle istituzioni federali. Ebbene, l'episodio di stasera materializza i nostri peggiori incubi. Quale può essere allora il motivo per cui un arbitro potrebbe non sentirsela, nel dubbio, di dare un rigore alla Juventus al 93'?
Forse il timore di essere attaccati all'indomani su tutti i giornali, come accadde ad esempio nel caso di Doveri, che dopo il rigore concesso a Giaccherini lo scorso anno (il primo per la Juve, ininfluente, col Cesena) venne processato dai media e sospeso? Oppure quello di essere ricusati "ufficiosamente" dalle altre squadre, quelle veramente potenti? Oppure ancora il timore che una Procura li possa indagare per frode sportiva e magari rovinar loro carriera e vita privata come accaduto a Pieri e Dondarini, prima accusati e poi assolti, ma nel frattempo distrutti?
Un arbitro è un uomo e queste domande se le fa. E non lo possiamo nemmeno biasimare se si comporta di conseguenza. E allora il marcio va cercato altrove. Va cercato tra coloro che tutti i giorni cercano di influenzare ed alterare il risultato del campo attraverso una lenta e costante opera di "moral suasion" nei confronti di queste persone che, peraltro, spesso sembrano non possedere adeguata personalità per sostenere questa pressione. Ma che hanno occhi per guardare e osservare la sete di sangue e il giustizialismo dei media quando qualche collega sbaglia a favore della Juventus. Ecco quindi che emerge il dubbio, la paura.
Se sbaglio contro la Juventus, un paio di giorni di polemiche e tutto passa. Se sbaglio a favore della Juventus, non arbitro più perché il "sistema" chiederà a gran voce la mia testa.
In definitiva, se Juventus-Genoa dovesse servire per portare alla luce questo malessere delle giacchette nere, allora ben venga. Facciano loro stessi "outing", visto che, per altre faccende, è anche di moda. Che si liberino da questo "terrore" che si portano dentro e che pende sul loro operato, quasi come fosse una spada di Damocle. Che se ne parli. Parliamone tutti. Ne parli la società, lo chieda espressamente a Braschi.
Il miglior modo per esorcizzare una paura è parlarne. Facciamo in modo che nessun arbitro possa mai più prendere una decisione sbagliata perché non se la sente di prendere quella giusta.