(blog.panorama.it - 6-01-2013)
Sarebbe facile, anche per noi, accodarci all’indignazione pressoché planetaria che hanno sollevato i cori contro i giocatori di colore del Milan da parte di alcuni esponenti del tifo organizzato della Pro Patria. Ma, ci chiediamo, a cosa servirebbe? C’è qualcuno che crede davvero che basti questo per trasformare gli stadi italiani in teatri del fair play e della buona educazione?
Raccontare il cosiddetto “razzismo da stadio” senza raccontare cos’è uno stadio di calcio è tempo perso. La nostra testimonianza da juventini praticanti è pari a quella di tanti altri tifosi dello Stivale. Ogni domenica, ogni maledetta domenica, vediamo striscioni che reclamizzano le Pessotto Airlines, sentiamo intonare cori contro ogni genere di minoranza (razziale e non) e come in una macabra e insaziabile liturgia sentiamo scandire frasi aberranti. Accade, per esempio, che i carnefici dell’Heysel vengano celebrati molto più delle vittime, e che quegli stessi tifosi juventini che tanto si indignano per l’oltraggio verso i propri caduti (Heysel, Pessotto, Andrea Fortunato) inneggino a “Baretti e Superga, due schianti perfetti” contro i rivali di sempre (Torino e Fiorentina).
Diciamo le cose come stanno. La ricostruzione dei più beceri sfottò da stadio è in molti casi una cronistoria delle sciagure che hanno accompagnato il calcio e lo sport Italiano. Lo stillicidio non risparmia niente e nessuno: difetti fisici, infortuni gravi, sciagure e lutti familiari, fedi religiose e, sì certo, anche il colore della pelle.
Tutte aberrazioni che provengono dalla frange più estreme del tifo organizzato, ma che semplicemente sono meno spendibili a livello mediatico degli insopportabili buu che accompagnano regolarmente i calciatori neri al loro ingresso in campo.
Non sappiamo se coloro i quali hanno fischiato a Busto Arsizio siano davvero razzisti, magari sono gli stessi che idolatravano qualche stagione or sono il trio colored Toledo-Do Prado-Fofana che per poco non riuscì nella storica impresa di portare la Pro in Serie B. Non sappiamo se siano davvero razzisti, perché non sappiamo se conoscano il vero significato della parola “razzismo”. Sappiamo semplicemente che, loro come altri, hanno fatto ricorso agli strumenti più beceri del tifo calcistico. La parte più animalesca dello sfottò. Di questo si tratta. Di strumenti di una battaglia domenicale che si combatte senza esclusioni di colpi.
A questo poi va aggiunto un gap culturale che non alberga solo nelle arene calcistiche. In fondo gli stadi di calcio raccolgono decine di migliaia di persone e così si prestano benissimo a fungere da campione demoscopico di un mondo che non è migliore o diverso là fuori. Episodi simili accadono tutti i giorni ai semafori, nei supermercati e nelle discoteche. Non possiamo pensare che negli stadi la quantità di deficienti sia minore. Semplicemente negli stadi sono solo condensati tutti insieme. Negli stadi italiani poi, vige da sempre l’impunità per tutto e tutti. Pensiamo, ad esempio, alla legalizzazione delle droghe leggere di cui tanto si dibatte da decenni nel paese e che da molto più tempo è prassi tollerata nelle curve italiane.
Le offese ai giocatori di colore sono solo l’apice di un degrado che va molto più in là. Più in là di Busto Arsizio, più in là di un singolo coro, più in là anche degli stadi stessi. Ecco, allora troviamo abbastanza stucchevole questa indignazione urbi et orbi di gente che scrive e dibatte di un fenomeno che forse non ha mai visto da vicino.
Certo, qualsiasi cosa che vada nella direzione di un’evoluzione è apprezzata, ma forse avremmo apprezzato di più una presa di posizione in una partita ufficiale, magari un match di grande importanza. Interrompere un’amichevole che è poco più di un allenamento pare più una capriccio da star che un atto di denuncia.
Da domani tutto tornerà come prima, si fischieranno gli inni nazionali, si urlerà zingaro a ogni giocatore proveniente dall’est europeo, si insulteranno mamme, figli, stirpi. Si oltraggeranno i lutti e gli affetti più cari di ogni nemico domenicale. E, quando gioca la Juventus, continueremo a sentire i cori contro Pessotto, che tanto lui non è negro, e nessuno potrà gridare al razzismo. Che poi il razzismo quello vero è tutta un’altra cosa.