(Libero 30-12-2012)
La grancassa suona sempre all’unisono per Petrucci e Abete. Il presidente del Coni pronto sempre a puntellare l’altro, l’altro che ricambia, facendogli l’eco. Un sostegno e un’alleanza, andati molto oltre la convenienza dei rapporti istituzionali. Ne sono derivate situazioni gravi, la copertura acritica di posizioni di comodo, o di parte, o avvitate su se stesse da proposizioni di principio, prima conclamate, poi in fretta abbandonate, come l’etica che non doveva andare in prescrizione, finita alle ortiche, principi di correttezza violati con indifferenza, il contrario esatto di chi avrebbe dovuto improntare lo svolgimento del suo mandato e il suo spirito di servizio a regole di rigore e trasparenza, non mutabili a seconda del destinatario di riferimento, come puntualmente è avvenuto.
Non vogliamo chiederci se Petrucci abbia fatto bene per lo sport italiano, sicuramente ha fatto male al calcio, limitandosi a far da puntello ad Abete. Avrebbe dovuto avere occhio più attento e distaccato, il presidente del Coni, accorgersi che la gestione di Calciopoli (così come quella recente del Calcioscommesse) era stata condotta malamente dalla giustizia sportiva, e per essa da Abete che di quell’ ingranaggio è il principale punto di riferimento oltre che il suo elettore e datore di lavoro. Di fronte a prove inconfutabili che hanno smantellato i capi d’accusa, di fronte alla relazione conclusiva di Palazzi sul ruolo avuto dall’Inter in Calciopoli con la configurazione di illecito sportivo, il presidente del Coni, così come Abete, ha messo la testa sotto il terreno come gli struzzi. E non è storia superata, ma storia sempre viva, l’Inter fatta salvare dalla prescrizione, dopo che Palazzi ci aveva messo un tempo infinito per terminare le indagini, per la Juve inventata invece “l’incompetenza a decidere” per non decidere sullo scudetto da revocare ai nerazzurri e restituire al club bianconero.
Eppure prima Sandulli (giustizia sportiva) e successivamente il processo ordinario di primo grado sentenziarono che nessun campionato era risultato alterato. Sono passati più di sei anni, la sintesi di questo obbrobrio può essere persino semplice: e(o)rrori marchiani nei processi sportivi, con deturpazione dei diritti delle difese, e nelle conseguenti condanne. Man mano che le tesi d’accusa sono state sconfessate, qualcuno avrebbe dovuto ammettere l’errore e rimediare. Niente di tutto questo, nessuno che si sia accorto che i mostri posti in prima pagina non lo meritavano e non lo erano affatto. Ed è qui che stanno le colpe di Petrucci: se persino davanti alla sentenza del processo di secondo grado del rito abbreviato, che ha mandato assolti tutti gli arbitri ivi coinvolti, il presidente del Coni, anziché fare ammenda, ha partorito l’orrida considerazione che la giustizia sportiva è migliore di quella ordinaria perché ha condannato tutti mentre i giudici ordinari hanno assolto.
Non può neppure sorprendere che per puntellare ancora Abete (cui prodest?) il presidente del Coni provi a fare una reprimenda ad Agnelli, fingendo di destinarla a tutti i presidenti, etichettandoli come “arroganti”. Petrucci è fatto in una certa maniera, spesso procede con i paraocchi e gli piace. Per esempio la sua idea del “tavolo della pace” tra Agnelli e Moratti è stata un fallimento, se ne sono accorti tutti, salvo l’interessato, che continua a propagandarla come un grande successo. Gliel'abbiamo scritto noi, gliel’ha ridetto poi a muso duro proprio Agnelli, e Petrucci, com’è chiaro, non ha gradito. Cosa pretendeva il presidente del Coni, che Agnelli si accontentasse di parole vuote acconsentendo a strette di mano autopreclusive dei diritti vantati? La Juve non rinuncia a volere restituiti i due scudetti e nemmeno alla richiesta di risarcimento che sta seguendo il suo iter.
Petrucci è intervenuto a difesa di Abete, dopo che quest’ultimo è stato bocciato da Agnelli per tutte le cose non fatte nel corso del suo mandato. Fiacca e scarsa di contenuto la replica a Sky del presidente della Figc: ”accetto le critiche, ma che siano costruttive, serve saper cambiare (appunto! lui infatti non sa cambiare, almeno in bene... parla, parla ma non dice mai niente)”, e continua: “ma neanche Agnelli ha mantenuto le promesse, sulle nuove regole che si sarebbe dovuta dare la Lega”. Piccola differenza, Agnelli è solo uno dei consiglieri della Lega, non il presidente, e meno che mai un presidente che ha avuto ed ha i poteri del presidente della Federcalcio. Ed è strano, un presidente della Figc due volte sconfitto per l’organizzazione di campionati europei dovrebbe, questo sì, mettere la testa nella sabbia. Provi, d’ora in poi, ad essere più attivo nei propositi, ad ammettere gli errori fatti e ad assicurare terzietà alla giustizia sportiva. Così com’è dipende tutta e interamente da lui, sceglie, nomina e all’occorrenza cassa i giudici. Dov’è l’autonomia, dove l’indipendenza? Su questo punto, guarda caso, Petrucci non si è pronunciato.
E' ora di cambiare i capi del calcio
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- By Luciano Moggi