Sei anni e mezzo sono passati da Calciopoli, eppure a leggere i giornali di questi giorni e guardare la tv sembra che siano al massimo sei giorni. Le avvisaglie chi voleva poteva già scorgerle da qualche settimana, visto che il solito galantuomo aveva trovato modo di lamentarsi persino dopo aver vinto a Torino. Serviva segnare il territorio e mandare un chiaro messaggio: se l'Inter lotta per lo scudetto con la Juventus, ogni errore pro Juve o anti Inter deve per forza essere figlio di qualcosa di poco chiaro. Detto mai così chiaramente, ovvio, ma à la Moratti: con allusioni, dire e non dire, con l'ammiccamento complice di chi regge il microfono sotto il suo muso e di chi scrive e parla più o meno a comando.
Era quindi inevitabile che dopo Inter-Cagliari e quel presunto rigore che avrebbe mandato, qualora fosse stato realizzato, l'Inter a -2 dalla Juventus, si scatenasse quel pandemonio che si è scatenato. Moratti ha gioco facile, naviga nel brodo che gli è congeniale da quando, nel 1994, è entrato nel mondo del calcio rilevando la società che fu di suo padre. Da quel giorno il calcio non è stato più lo stesso, l'avvento del petroliere milanese ha avuto sul movimento un effetto deleterio quasi quanto quello del suo collega cittadino. Se Berlusconi aveva drogato il sistema con le sue tv di supporto che hanno progressivamente fatto decadere il livello qualitativo del calcio parlato in Italia, trascinando con sé la concorrenza, Moratti ha rovinato l'ambiente con le sue continue e pretestuose lamentele.
Siamo quindi arrivati alla causa di tutto, Calciopoli. Oggi si ascoltano opinionisti televisivi e sui giornali si leggono pezzi nei quali ci si strappa i capelli perché "non se ne uscirà mai": da Calciopoli. Perché è bastato un presunto fallo su Ranocchia per rievocare "situazioni del passato" da una parte e rinfacciare provvidenziali prescrizioni dall'altra. Così, con pelosa equidistanza, si evita accuratamente di affrontare il nocciolo della questione, si auspica che la finiscano entrambi come quei genitori che non vogliono dare ragione a un figlio piuttosto che all'altro. Finirla? Ma dove vivono questi soggetti? Ma ci sono o ci fanno? Pretendono che quella ferita si rimargini solo perché è passato del tempo, dimostrando così di non averne capito per nulla il significato. Calciopoli non può mai finire, perché è sempre vissuta sulle menzogne. Menzogne che loro stessi hanno contribuito a raccontare e diffondere, sperando che venissero accettate supinamente e per sempre dalla parte soccombente. Calciopoli non può finire finché non verrà ristabilito un minimo di verità storica. Non può finire perché ci è stata raccontata dalle istituzioni sportive e dai media in maniera distorta, talvolta per malafede e talvolta per ignoranza. Il tempo non rimargina la ferita, anzi basta un presunto rigore per gettarci su il sale. Come potevano pensare che fosse il contrario?
Per anni hanno raccontato una Calciopoli che non è mai esistita. Quella in cui c'erano due persone che comandavano, truccavano, falsavano i campionati e tutte le altre squadre che ne subivano le angherie. Quella dove un sistema faceva vincere col trucco una squadra e sottraeva gli scudetti a un'altra. Sulla base di questo hanno ritenuto fosse giusto dare all'Inter uno scudetto vinto dalla Juve, a titolo di parziale risarcimento. Moratti lo pretese, gli fu dato e nessuno si oppose. Ribadisco: Nessuno. Perché oggi sembra che tutti fossero contrari ma sei anni fa, basta andarsi a rileggere i giornali, non una voce di censura si alzò. Tutti hanno accettato la verità storica morattiana, quella della Juve che rubava e dell'Inter che veniva derubata. Realtà inaccettabile già nel 2006, bastava solo ragionare con la mente libera da tifo e malafede. Realtà ancora più inaccettabile dopo le intercettazioni emerse, che raccontano una verità totalmente diversa ma che tutti si affrettarono, a calco, a minimizzare (quando non occultare tout court), smontare, reinterpretare in chiave pro 2006 e pro Inter. La verità era sotto gli occhi di tutti, non solo più dei pochi pionieri juventini che l'avevano intuita da subito, ma nessuno l'ha voluta vedere per non dover dire: abbiamo sbagliato, vi abbiamo raccontato storie che non stavano in piedi. E soprattutto: Moratti si sbaglia, sono sbagliate le sue rivendicazioni, è sbagliato tutto ciò che ha detto dal 2006 a oggi. Non potevano. Non l'hanno fatto.
La nuova verità, l'unica reale e l'unica possibile, parlava di un sistema fondato sulle pressioni ai designatori. Sistema accessibile a tutti e del quale tutti usufruivano. Chi più chi meno, certamente. Ma almeno tra le grandi squadre, tutti allo stesso modo, e ognuno con i mezzi a propria disposizione. Un sistema legalizzato, che oggi si dice non andasse bene ma che allora era voluto da tutti, conosciuto da chi doveva controllare e nemmeno tollerato: propugnato. In questo sistema nessuno aveva l'esclusiva, i designatori parlavano con tutti e rassicuravano tutti, mai quando parlavano con gli arbitri lasciavano trasparire l'idea di dover favorire qualche squadra. Mai sicuramente la Juventus, le intercettazioni sono lì a dimostrarlo. Una volta, per quanto ne sappiamo, anzi, un ordine strano ci fu: quello di sfavorire, in caso di dubbio, proprio la Juventus. L'ordine veniva dato a Bergamo da Carraro, Bergamo lo trasmise all'arbitro in questione (Rodomonti). L'avversaria della Juve era l'Inter.
Il materiale emerso avrebbe dovuto servire a riscrivere, almeno parzialmente, la storia. Punto d'inizio: revocare lo scudetto del 2006 all'Inter. Un provvedimento di Palazzi accertava gli illeciti dell'Inter e l'intervenuta prescrizione dei reati, toccava al sistema (leggasi: Consiglio Federale) trarne le dovute conseguenze. Il sistema, sappiamo, si rifiutò, cercando e trovando il cavillo dell'incompetenza. Nulla, la verità del 2006 si è voluta cristallizzare per non dover dire: noi abbiamo sbagliato, Moratti ha sbagliato. Venne la sentenza penale di Napoli, che a fronte di condanne per meri "tentativi", frutto dell'applicazione superestensiva del reato di frode sportiva, ribadiva come il campionato sotto inchiesta non fosse stato alterato e demoliva i metodi di indagine tutti a senso unico e contro una sola persona e una sola squadra, senza volutamente occuparsi di tutto il resto. E venne poi il "tavolo della pace" del CONI, dove in un documento alcune tesi revisioniste dovevano essere messe per la prima volta nero su bianco, ma anche lì non se ne fece nulla: Moratti non poteva accettare nessuna revisione, nessuna verità diversa dalle menzogne propalate da sempre.
Dunque questo è il quadro. E in questo quadro come si può svegliarsi all'improvviso e dire "accidenti, non finirà mai"? Come si può pensare che Moratti non faccia sempre il Moratti ogni volta che le cose non vanno come desidererebbe lui (tipo che non gli danno goal in fuorigioco chilometrico o fatti con le mani)? Come si può pensare che la Juve subisca tutto supinamente, come propone su La Stampa Marco Ansaldo, rinunciando a qualsiasi rivendicazione storica sui due scudetti tolti ingiustamente? Immolarsi di nuovo per il bene comune, per la patria, dopo averlo già fatto nel 2006 quando aveva accettato tutto senza battere ciglio? Come si può, come fa Stefano Agresti sul Corriere dello Sport, di fronte alle invettive di Moratti, dire ancora, nonostante tutta la verità venuta a galla, che il presidente nerazzurro quando invoca "situazioni già vissute in passato" non è un visionario? Moratti è quello che è e si comporta come si è sempre comportato. E lo fa esigendo che gli si dia ragione in virtù di una verità storica fallata, una verità che non esiste e non è mai esistita.
Come se ne esce allora? Se lo chiedono in tanti, oggi, con toni disperati come se non se l'aspettassero. Un modo esiste, se lo si vuole. Basta riscrivere la storia. Io lo chiamo la "via inglese", e mi scuso fin da subito se farò un paragone azzardato con fatti molto drammatici che nulla hanno a che fare coi nostri e di fronte ai quali mi tolgo il cappello in memoria di 96 vittime innocenti. La via inglese è quella del coraggio che il sistema britannico ha avuto nel cercare, trovare e ammettere, anche se a distanza di anni, la verità su Hillsborough. Anche lì venne raccontata per anni una verità di comodo, per salvare un sistema. Per salvare il buon nome della Polizia. Anche lì i tifosi non accettarono mai questa verità fondata sulla menzogna, che dava ai supporters del Liverpool tutte le colpe della tragedia e nessuna responsabilità alla Polizia. Dopo anni di battaglie, il sistema ha trovato la forza di ristabilire la verità dall'interno: una commissione ha fatto luce sulla vicenda ed ha riscritto la storia, le colpe della Polizia sono state portate alla luce del sole così come l'eroismo di tanti tifosi del Liverpool che avevano evitato una carneficina ancora peggiore. Il governo ha chiesto scusa ai parenti delle vittime, ma almeno ha ristabilito la verità. Ora quella pagina si è chiusa, in qualche modo.
La pagina di Calciopoli, e mi scuso ancora per il paragone che non vuole essere oltraggioso verso la memoria di 96 vite spezzate, si potrà chiudere solo allo stesso modo: quando il sistema dal suo interno, in qualche modo, avrà il coraggio di ristabilire la verità. Di scriverla nero su bianco, di chiedere scusa a chi si è dovuto prendere, da solo, le colpe per un andazzo che era così per tutti, di restituire ai legittimi proprietari gli scudetti vinti meritatamente sul campo.
Qualcuno non lo accetterà mai? Qualcuno si incazzerà? Pazienza. Magari uscirà definitivamente dal mondo del calcio, e tutto il sistema ne trarrà giovamento. Altri modi per uscirne non esistono, il fuoco della verità continuerà a bruciare sempre sotto la cenere finché il sistema deciderà di andare avanti come nulla fosse camminando sulle menzogne. Piaccia o non piaccia, come direbbe un protagonista di questa pessima storia, questa è l'unica via percorribile per uscire dall'impasse. Una via per coraggiosi, certo, quindi non adatta ai soggetti che oggi dirigono il carrozzone. Per questo il primo passo da fare è cambiare gli uomini, tutti i personaggi legati a doppio filo a Calciopoli e che non avranno mai interesse a ristabilire la verità. D'altronde anche su Hillsborough a riscrivere la storia non sono state le stesse persone che hanno avallato e coperto tutto nel 1989.
Come uscirne? Un modo c'è: la verità
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- By Alessio Epifani