Il 24 settembre 2012 il Tribunale antidoping del Coni ha condannato a due anni di inibizione il signor Antonio Salvi.
Chi è Antonio Salvi? Si tratta di un impiegato della Guardia Forestale, che all'epoca dei fatti contestati era anche titolare, in provincia di Chieti, di uno studio fisioterapico frequentato da diversi atleti (principalmente ciclisti, tra i quali Petacchi e Di Luca).
Perché il Coni ha squalificato Salvi? Si fa riferimento alle indagini svolte dalla Procura di Padova, il cui pm Benedetto Roberti contesta al Salvi il reato di possesso e somministrazione di sostanze dopanti. Le indagini prendono spunto dalla perquisizione effettuata nel suo studio il 7 maggio 2010, che ha portato al rinvenimento e al sequestro di diversi farmaci dopanti. Il pm Roberti ha quindi trasmesso gli atti di indagine al Coni che, come detto, ha adottato la sanzione dell'inibizione nei confronti di Salvi (oltre ad altri tre tesserati del ciclismo) per violazione dell’articolo 2.6.2 del Codice Wada (“possesso di sostanza vietata da parte di personale di supporto agli atleti...”).
Lo stesso Salvi ha rilasciato due giorni dopo la condanna un'intervista al quotidiano "Il Centro" di Pescara, nella quale respinge le accuse mossegli e si dichiara capro espiatorio.
C'e però un'appendice di questa faccenda che riguarda il mondo del calcio. Riguarda il Napoli perché, si legge in alcuni stralci della sentenza riportati dal giornale "Il Mattino di Padova", Salvi ebbe per un breve periodo una collaborazione proprio con la società partenopea e diversi giocatori, medici e dirigenti del Napoli sono stati ascoltati dal Tribunale antidoping del Coni nel corso dell'inchiesta conclusasi un mese e mezzo fa.
A introdurlo nell'ambiente fu l'amico Morgan De Sanctis nel dicembre del 2009. Si legge in sentenza che Salvi "iniziò a praticare l’attività di massaggiatore a favore di ben 16 giocatori persino nello spogliatoio dello stadio risolvendo problemi a Cannavaro, Pazienza, De Sanctis e Lavezzi". Lo stesso De Sanctis ha dichiarato ai giudici del Coni: "Ricordo che in occasione di un’infiammazione al ginocchio Salvi mi disse che, per farla passare, avrei dovuto fare un’infiltrazione di Bentelan". Altro passo molto pesante della sentenza è quello in cui si dice che "Salvi non si limitava a massaggiare i giocatori ma era disponibile a sostenerli con prodotti medicinali vietati".
Nel giugno 2010, ad inchiesta appena iniziata, il "chiropratico" (come si autodefinisce) rilasciò un'intervista molto interessante a 'La Repubblica', nella quale descrisse tra le altre cose il suo rapporto di lavoro al limite tra il precario e il clandestino col Napoli, la conquistata fiducia dei giocatori ("erano pazzi di me, come filavano in campo"), l'avversione di Mazzarri nei suoi confronti per il fatto di non essere un tesserato della società e il definitivo allontanamento in seguito all'inchiesta.
Si tratta senza dubbio di un argomento da trattare con le molle, usando il garantismo come bussola. E' una vicenda di rapporti fiduciari tra il soggetto in questione e alcuni calciatori, col benestare della società e che, giova ricordarlo, mai ha portato ad alcun riscontro positivo nei controlli antidoping. Accostare quindi, in virtù della condanna subita da Salvi e del servizio reso dallo stesso al Napoli per alcuni mesi, il doping alla società partenopea è sicuramente sbagliato perché privo, ad oggi, di alcun riscontro effettivo. Certo è un argomento che meriterebbe un approfondimento, perché alcune zone grigie che la vicenda ha evidenziato sarebbe opportuno venissero chiarite.
Quello che non ci piace, invece, è l'oblio che i media stanno riservando a questa vicenda. E' sin troppo facile ricordare il rumore e le conseguenze, su più livelli, che portò nel 1998 l'intervista all''Espresso' di Zeman, nella quale a venire tirata in mezzo era la Juventus. In questo caso, invece, a distanza di oltre un mese dalla sentenza del Tribunale Antidoping, nessuno dei media ha ritenuto opportuno dare risalto alla questione, che è rimasta tutta confinata su quotidiani locali veneti e abruzzesi. Evidentemente, la voglia di chiarezza e di pulizia che tanti sbandieravano nel '98 era solo il paravento per sferrare il solito attacco, magari ben programmato, alla Juventus, mentre se si parla di altre squadre che non scatenano l'interesse della vasta massa antijuventina tutto può essere messo in sordina. Ci piacerebbe leggere approfondimenti su quotidiani, settimanali e programmi tv, ci piacerebbe che qualcuno sentisse la necessità di chiedere un parere al tuttologo Zeman e, soprattutto, che non siano solo Guariniello l'unico magistrato e Torino l'unica Procura a muoversi di fronte a notizie che meriterebbero un approfondimento giudiziario. Nel '98 bastò a Guariniello un'intervista come notizia di reato per avviare l'inchiesta, oggi evidentemente non bastano alcune parole pesanti scritte su una sentenza di un tribunale sportivo. Ripetiamo: non vogliamo dare alcun giudizio, perché non ci compete e perché gli elementi non sono sufficienti a farlo: sono però, a nostro avviso, ben più che sufficienti perché la questione venga approfondita a livello giornalistico ma, anche e soprattutto, giudiziario, senza giustizialismi ma solo con la voglia di capire, come in passato è accaduto solo per una società. Almeno che non esistano due tipi di doping: quello che fa rumore, fa vendere i giornali, fa fare carriera e accresce la popolarità e quello che, invece, come alcune telefonate di Calciopoli, "non interessa".
Quando il doping non interessa a nessuno
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- By Alessio Epifani