Sabato scorso a Livorno è andato in scena l’ultimo coro della vergogna. Un manipolo o poco più di “tifosi” del Verona se l'è presa con Piermario Morosini, il calciatore tragicamente morto durante Pescara-Livorno del 14 aprile scorso, in seguito a una crisi cardiaca. Si è trattato di un fatto che ha lasciato esterrefatta l’opinione pubblica, vuoi perché è fresco il ricordo di questo ragazzo che si è accasciato sul campo di gioco senza più rialzarsi, vuoi perché la tremenda disgrazia ha fatto conoscere la sfortunatissima storia familiare di Morosini.
Cori di dileggio, infamia, razzismo ed estremismo politico. Non che un certo tipo di cori siano nuovi per i nostri stadi, anzi. L’idiozia di infamare o dileggiare persone defunte, o comunque vittime di situazioni disgraziate, è assolutamente trasversale e non è un peccato esclusivo di questa o quella curva. Così come per quanto riguarda atteggiamenti razzisti o inneggianti ad appartenenze politiche estreme che nulla dovrebbero c’entrare con il tifo da stadio. C’è un motivo per cui questa pratica incivile continua ad essere utilizzata nelle logiche di un certo tipo di tifo: l’impunità. Infatti il massimo che si rischia a cantare certi beceri ritornelli è un ipotetico daspo per i più malcapitati. A venir colpite davvero sono le società che ad ogni ritornello sono costrette a pagare qualche decina di migliaia di euro arricchendo così la Lega calcio.
Pagano sempre le società e ingrassa la Lega. Ogni volta ci si aspetta quei provvedimenti in grado di isolare i responsabili di certi episodi in modo da stabilire finalmente un vero deterrente che eviti situazioni simili in futuro. Invece non succede niente, l’unica differenza, coro dopo coro, è che la Lega si ingrassa, mentre le società continuano a essere ostaggio dell’idiozia delle frange più estreme del tifo, per un'ottusa applicazione del principio cardine della giustizia sportiva: la responsabilità oggettiva. Perché nonostante telecamere a circuito chiuso e tessere del tifoso con tanto di carta di credito per lo shopping, lo stadio continua a essere una zona franca in cui potersi permettere qualcosa che altrove non sarebbe possibile fare.
Lo stadio è sempre una "zona franca". Come se non fosse un reato offendere la reputazione altrui o la volontà di usare espressioni offensive con la consapevolezza di offendere. Certe denunce dovrebbero scattare automaticamente, processi per direttissima e condanne adeguate servirebbero forse ad allontanare una volta per tutte l’idiozia dagli stadi italiani, com’è già successo in quelli inglesi. Qualcuno lo ha già fatto, basterebbe copiare; ma bisognerebbe copiare bene le cose che altrove funzionano, senza avere sempre la presunzione di imporre un modello italiano.
L'obiettivo di un tifo "per" e non un tifo "contro". Si tratterebbe di una svolta epocale per il calcio italiano anche dal punto di vista culturale. L’obiettivo dovrebbe essere quello di portare ogni tifoseria a fare il tifo “per” la propria squadra anziché fare il tifo “contro” l’altra squadra. Ma servono decisioni anche coraggiose, che mettano le società nelle condizioni di non essere ricattate da chi, con la scusa del tifo, arreca danni alla propria società per decine di migliaia di euro all’anno con i cori della vergogna.
I cori della vergogna: dall’Heysel a Morosini
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- By Nicola Negro