Il derby meneghino, oltre a costituire tradizionalmente uno snodo importante del campionato in termini di lotta per lo scudetto, era un match che offriva a tutti la possibilità di ammirare quei campioni che tante altre tifoserie potevano solo sognare (in tempi più remoti ) o che potevano ambire ad acquisire (in tempi più recenti).
Quest’anno abbiamo invece visto che entrambi i fattori sono venuti meno: lontane dal vertice, le due squadre hanno visto partire i loro giocatori migliori (vuoi per motivi d’età, vuoi per l’impossibilità di resistere a offerte di notevole entità) e hanno finito per annoverare in campo un mix di giovani interessanti, ottimi giocatori ormai nella cosiddetta parabola discendente e altri che fino a qualche anno fa probabilmente nemmeno avrebbero vestito le maglie delle squadre meneghine
La stracittadina di Milano ha rappresentato storicamente un momento molto atteso non solo dai media e dalle rispettive tifoserie, ma anche dai calciofili di tutto lo stivale e perché no, anche da quelli d’oltralpe, grazie alla diffusione capillare della tv satellitare. La concomitanza con il clasico spagnolo non ha certamente aiutato a mantenere alto l’interesse all’estero, ma anche da noi, eccezion fatta per i due schieramenti e per quel fascino che comunque conserva questa sfida, la vigilia è stata caratterizza da toni molto minori rispetto al recente passato.
Come si è arrivati a tal punto? Molteplici le cause che, stagione dopo stagione, hanno contribuito all’impoverimento tecnico della Milano del calcio (e di riflesso in maniera importante a quello di tutto il calcio italico). Punto cardine dell’analisi è sicuramente la fine del mecenatismo, tratto principale (o forse unico) tanto della gestione Berlusconi, quanto quella di Moratti.
In tempi di fair play finanziario e di uno scenario macroeconomico complicato, però, tale aspetto sta portando alla luce anche quanto carenti siano state le due conduzioni milanesi in una serie di elementi che invece le big del calcio europeo hanno da tempo introdotto all’interno di una vision di più ampio respiro, che non prevedesse solo la pura e semplice gestione sportiva. Basti pensare ad esempio a come Moratti abbia recentemente espresso il cruccio per non poter spende cifre considerevoli per grandi calciatori o alle centinaia di volte in cui Galliani ha sottolineato il differente regime fiscale cui erano sottoposte le squadre spagnole, in grado di attirare fuoriclasse da ogni parte del globo corrispondendo loro ingaggi caratterizzati da imposte minime: da ciò si evince come sia mancato un certo tipo di cultura (o come ancora oggi si faccia fatica a concepirla ) che consideri la gestione di un club di alto profilo in una prospettiva a 360 gradi, in cui il contenimento dei costi è un vincolo da tenere in considerazione nell'ambito del raggiungimento dell’obiettivo sportivo (a differenza del passato, in cui era da raggiungere senza alcun riguardo alla spesa).
Grazie all’elargizione da parte delle proprietà (o meglio delle holding di famiglia) di ingenti somme di denaro da immettere nel calciomercato, sia in Via Durini che in Via Turati non si sono mai posti il problema della diversificazione dei ricavi, dipendenti per lo più dai diritti tv, anche se dal 2010 la loro entità, rispetto agli anni passati, è diminuita a causa della gestione collettiva degli stessi: 86,4 milioni per l’Inter, con un’incidenza del 32,1% sull’intero fatturato 2010-11; 113 milioni per il Milan, con un’incidenza del 42%, sempre con riferimento all’esercizio 2010-2011.
Solo negli ultimi mesi, considerando anche l’impatto considerevole dello Juventus Stadium nei conti della società di Corso Galfer, sono state avanzate proposte sulla possibilità che anche le squadre milanesi possano dotarsi uno stadio di proprietà: l’Inter, orientata a costruire un nuovo stadio, sta al momento vagliando le differenti aree in cui l’impianto dovrebbe sorgere; il Milan sembra invece interessato ad una modernizzazione di San Siro. Il tutto considerando che i primi passi per la costruzione della stadio la Juventus cominciò a muoverli già nel primissimo anno di gestione Giraudo (basta consultare l’archivio storico online del quotidiano La Stampa per trovare parecchi articoli a riguardo). Prima che il tutto possa diventare realtà, però, passeranno ancora diverse annate in cui fare ancora i conti con questa mancanza, con il risultato di vedere incrementato il gap con le grandi d’Europa e con la stessa Juventus, che sta invece per portare a compimento il progetto stadio con la nascita del “Polo Juventus”, presentato alla stampa la settimana scorsa, a prescindere da ciò che potrebbe scaturire dalla legge sugli stadi.
Con un bacino d’utenza come quello di Milan e Inter anche il merchandising potrebbe essere una fonte di ricavo considerevole (i rossoneri nel 2011 hanno comunque ottenuto da Adidas € 29.570.000 per la vendita di prodotti a marchio Milan) ma nel nostro Paese manca in linea generale una politica rigorosa di difesa del marchio, che permetta di sviluppare a pieno regime tutto quello che ne deriva (ad eccezione della vendita a se stessi...).
Al di là delle potenzialità non pienamente sfruttate, non si può non tenere conto anche delle operazioni in sede di calciomercato, un fattore destinato ad incidere in maniera molto pesante sulla struttura costi delle due squadre.
Il Milan aveva cominciato già nel 2006, con la cessione di Shevchenko, un periodo contraddistinto da qualche cessione eccellente (vedi Kakà nel 2009) e dall’acquisto di giocatori che non si sono rivelati all’altezza delle aspettative: si può partire da Ricardo Oliveira, per proseguire con Pato, Ronaldinho e quel Robinho (pagato 18 milioni e con un ingaggio netto di 6) molto utile nello scudetto 2011 ma attuale oggetto misterioso, mentre la generazione dei Dida, Nesta, Gattuso, Pirlo, Ambrosini, Seedorf, Inzaghi invecchiava anno dopo con ingaggi notevoli. Per fortuna nel frattempo sono arrivati anche Thiago Silva e Ibrahimovic a dare una mano, visto quanto Galliani e Braida ne hanno beneficiato sia in termini economici che sportivi.
L’Inter invece, dopo aver sfruttato Calciopoli per acquisire Ibrahimovic, garantendosi così lo scudetto per tre anni, ha continuato a buttare vagonate di soldi proprio come prima della grande Farsa: alla Pinetina sono arrivati infatti a peso d’oro Vieira, Muntari (regalato poi ai cugini), Mancini, Quaresma, Suazo; ciò non ha impedito ai nerazzurri di uscire sempre agli ottavi di Champions League (con conseguenti introiti al ribasso) fino al mercato del 2009, quello del triplete, arrivato quasi per paradosso grazie ad una grande operazione che non prevedeva esborsi, anzi: cessione di Ibra al Barcellona per Eto’o più 50 milioni reinvestiti in Milito, Sneijder, Thiago Motta, Lucio. Talmente alti però erano i costi legati agli ingaggi corrisposti e agli ammortamenti dei diritti delle prestazioni dei calciatori che la squadra del biscione, anche nell’anno in cui vinse praticamente tutto, non riuscì comunque a mettere a posto i conti, aprendo così alla cessione di Balotelli e di Eto’o e allo smantellamento dell’ultima estate con le cessioni di Julio Cesar, Maicon e Lucio. Da tenere a mente che molti di questi giocatori sono arrivati in un’età molto avanzata, vedendo così scendere anno dopo anno le loro prestazioni: a differenza delle grandi squadre europee, che da diversi anni preferiscono investire somme anche molto elevate in giovani che possano garantire parecchi anni ad alto livello o future cessioni a cifre ancora più alte.
Ed entrambe le società, forse proprio nel momento in cui avrebbero (ancora) dovuto attingere parecchio dal mercato calciatori per rinnovare i rispettivi organici, si sono ritrovate a dover fare i conti con le problematiche legate alle holding di famiglia, allo spauracchio del fair play finanziario e ad un pizzico di mancanza di lungimiranza dei propri dirigenti costretti a portare a Milano ormai nomi improbabili, col risultato di arrancare tantissimo non solo in Europa, ma anche in Italia.
Il derby della Madonnina: dal mecenatismo al fair play finanziario
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- By Danilo Feola