Metto le mani avanti, non sono ossessionato da Zeman.
Se solo si provasse a certificare la differenza tra la sicumera del boemo nelle interviste apparecchiate e la deposizione resa dallo stesso personaggio al Processo di Napoli, in un clima surreale, forse si smetterebbe tutti di parlare di Zeman come il nuovo Confucio. Dopo l'annuncio messianico della settimana scorsa ("il calcio fuori dalla finanza e dalla politica"), mi piacerebbe solo chiedergli chi sia a pagargli l'assegno mensile, forse la Banca Etica?
Confesso, invece, di averla per davvero un'ossessione. Più che un'ossessione, un'allergia. Più che un'allergia, un dolore fisico: i giornalisti che parlano a sproposito. I cosiddetti "esperti del settore", quelli che dovrebbero analizzare e poi informare; scoprire e poi incalzare, studiare e infine pubblicare. Ebbene, esiste una sottofamiglia all'interno del "quarto potere", ovvero quella dei giornalisti sportivi, che si ostina ad affibbiare titoli onorifici al boemo senza farci capire dove e quando il Maestro li abbia ottenuti. Su quali basi, di grazia, possiamo discutere di Zeman definendolo "un grande allenatore"?
Non perderò certo tempo a riportare il (nullo) palmarès e l'ammasso di esoneri accumulati dal miglior allenatore d'Europa (la definizione che Egli dà di se stesso, ricordiamolo) in 38 anni di carriera. Nell'ultima delle interviste ha dichiarato, infatti, di aver cominciato nel 1974 allenando 4 squadre giovanili contemporaneamente...
Conosciamo ormai a menadito il personaggio e il suo excursus sportivo. Quello che, invece, voglio fare in questo articolo è trovare, nella storia recente del calcio italiano, allenatori che abbiano ottenuto risultati identici o quantomeno assimilabili ai suoi e poi impostare una considerazione. Vagando negli almanacchi della memoria e in quelli della rete, allora, cerco di ricordare e di scoprire chi abbia ottenuto con la propria squadra un numero minimo di promozioni dalla serie B alla A e altrettante "salvezze" nella massima categoria con "rose" di medio cabotaggio (questo, in sintesi, il riassunto delle capacità zemaniane). I nomi che mi vengono in mente sono quelli di Eugenio Fascetti, Nedo Sonetti, Bruno Bolchi, Gianni De Biasi, Bruno Giorgi, Giampiero Ventura, Walter Novellino. E poi ancora Carletto Mazzone, Gigi Delneri, Emiliano Mondonico, Edy Reja. Gli ultimi dell'elenco, come Zeman, hanno avuto anche la possibilità di misurarsi con un grosso palcoscenico e le ambizioni di una grande piazza ma, anch'essi, come il nostro eroe, non hanno aggiunto successi alle sale trofei delle società di appartenenza.
Chiedo: di tutti questi bravi mestieranti della panchina, ce n'è almeno uno che viene ricordato o considerato un "Grande Allenatore"?
No.
Immagino già la prima obiezione: Zeman fa giocare benissimo le proprie squadre e i suoi schemi d'attacco sono molto efficaci, il suo calcio è divertente, molto originale e praticamente ineguagliato. Peccato non sia così. Chi, come me, ha avuto la possibilità di vederlo giocare a metà degli anni '80, ricorda certamente il Pescara di Galeone, la squadra per cui venne coniato il termine "calcio-champagne". Il 4-3-3 del tecnico campano anticipava di qualche anno zemanlandia e anche le sue squadre giocavano un calcio divertente e molto efficace, ma nemmeno il nome di Galeone viene annoverato nella schiera dei top-trainer. Inoltre le analogie con Zeman non si fermano agli schemi preferiti o alla mentalità di gioco. Galeone, come il boemo, ha più e più volte ammesso, in alcune interviste, che il doping nel calcio italiano è una piaga che esiste, direbbe qualcuno. Ma le sue reiterate denunce non hanno mai avuto la stessa mastodontica eco dei ritornelli cechi che continuano a risuonare nell'etere come un vecchio carillon scassato che nessuno ha l'onestà intellettuale di spegnere. Perché Zeman si, e Galeone no? Forse perché Zeman puntò il dito sulle cosce di Del Piero e Vialli? Eppure c'è una sentenza assolutoria che dovrebbe porre fine alle illazioni dell'allenatore della Roma! Sono mai arrivate delle scuse, piuttosto?
Prima di definire "grande" un allenatore, secondo me, occorre pesarne l'intelligenza tattica e l'attitudine dello stesso ad adattare il proprio credo calcistico alla rosa a disposizione, al campionato che si appresta a disputare, alle aspettative della società (o della Federazione, in caso di Nazionali) di appartenenza, all'ambiente che circonda la realtà in cui ci si trova. Senza portare il discorso verso argomentazioni troppo teoriche, tracciamo un esempio paradigmatico dell'allenatore vincente. Prendiamo Marcello Lippi, il primo allenatore (poi eguagliato solo da Vicente Del Bosque) a laurearsi Campione del Mondo sia con una squadra di club che con una Nazionale. Nei primi due anni alla Juve giocava con il 4-3-3, avendo a disposizione Paulo Sousa, Deschamps, Conte, Vialli, Ravanelli, Baggio e Del Piero. Tutta gente disposta al sacrificio e alla corsa a tutto campo per far rendere al meglio un modulo così dispendioso. Dopo la vittoria della Champions League nel '96, a Torino atterra Zinédine Zidane e Lippi si persuade subito dell'impossibilità di poter riproporre lo stesso gioco anche con il campione franco-algerino. Costruisce un sistema di gioco che possa valorizzare le doti del suo numero 21, anche in funzione della contemporanea partenza di Vialli, Ravanelli e Paulo Sousa, emigrati nella terra d'Albione (i primi due) e in Germania (il portoghese). La Juventus e Lippi rivincono lo scudetto e arrivano in finale nelle due edizioni successive della massima competizione europea. Per non parlare della sua esperienza a Coverciano, poi! Molti allenatori, al passaggio dal lavoro quotidiano in una squadra di club a quello saltuario di una Nazionale o viceversa, non riescono ad ottenere gli stessi risultati. Lippi, invece, seppe fare fronte anche a questo genere di difficoltà e chissà di cosa sarà capace nella terra dei mandarini.
Anche senza scomodare il viareggino, lo Zeman perde il confronto persino con allenatori di calibro inferiore, tipo Mazzarri e Guidolin i quali hanno cambiato, negli anni, il loro impianto di gioco in virtù delle squadre che andavano ad allenare. Guidolin vinse, alla guida del Vicenza, la Coppa Italia nel 1997 giocando uno splendido calcio, capace di raggiungere le semifinali di Coppa delle Coppe l'anno dopo, eliminato solo dal Chelsea di Zola, Vialli, Di Matteo e Hughes. Quel Vicenza giocava un calcio molto diverso da quello che Guidolin applica oggi, con gli stessi risultati di bel gioco e punti conquistati, all'Udinese. Lo stesso discorso vale per l'attuale allenatore del Napoli. Senza andare ai suoi vecchi trascorsi reggini, livornesi e doriani, basta vedere come stia (anche se solo leggermente) cambiando il modo di mettere in campo i suoi calciatori una volta partito Lavezzi e promosso titolare Pandev.
Vorrei ancora ricordare ai signori giornalisti come un grande allenatore si riconosce dalla capacità di organizzare tutte le fasi del gioco del calcio, le cui regole indicano come vincitrice di un incontro la squadra che segna almeno una rete in più dei propri avversari, nient'altro. Dato che Zeman allena in Italia, bisognerebbe fargli notare alcune statistiche: degli ultimi 20 anni: 2 volte su 3 la squadra con la miglior difesa è campione d'Italia, e quella volta che non arriva il titolo è comunque sul podio. Se consideriamo, invece, le squadre con il miglior attacco, la percentuale di vittoria scende a poco più del 50%. E negli altri casi non sempre arriva nei primi tre posti. Emblematico il caso della Fiorentina, che nel campionato '92-'93 retrocede in serie B pur avendo Batistuta e il 5° miglior attacco della categoria!
Per tutta questa serie di motivi, definire Zeman "un grande allenatore" mi sembra esagerato sia verso tutti quei colleghi che hanno ottenuto i suoi stessi risultati, sia verso quelli che veramente hanno dimostrato, con le loro scelte, di essere decisivi per la vittoria finale di campionati e coppe europee.
Secondo la teoria zemaniana, infine, la sua carriera è stata ostacolata da un fantomatico "sistema" facente capo alla triade bianconera. In piena era Moggi, Zeman ha allenato Roma e Lazio tra il 1994 e il 1999. Nel gennaio del '97 viene esonerato dalla società biancoceleste; tempo due anni e mezzo e gli aquilotti vincono lo scudetto con Eriksson (grazie anche al pantano di Perugia...). Dopo due stagioni in piena "media Zeman", anche la Roma decide di non rinnovare il contratto al tecnico boemo. Il tempo di riorganizzare la squadra (due anni) e anche i lupacchiotti vincono il campionato con Capello (grazie anche alla regola degli extra-comunitari cambiata in corsa, pochi giorni prima di Juventus-Roma in cui tutti ricordiamo la prestazione del giapponese Nakata...). E Moggi era sempre lì a compiere le sue "malefatte"...
Queste osservazioni non rappresentano uno scoop sensazionale. Moggi stesso lo ha fatto notare diverse volte e anche la nostra Redazione, durante il Processo di Napoli, ha ricordato queste semplici obiezioni di fronte alle accuse zemaniane. Aspettiamo con ansia un professionista dell'informazione sportiva che faccia presente queste argomentazioni al tecnico romano, la prossima volta che hanno di fronte questo "grande allenatore".
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- By Giuseppe Simone