Tralasciando interamente tutte le varie legittime teorie dei tifosi sul tipo di scelte che avrebbero, o non avrebbero dovuto fare, i deferiti attualmente tesserati della Juventus, si può aggiungere all'aspro contesto di questi giorni qualche altra considerazione sul patteggiamento, con lo scopo di fare chiarezza.
Può essere utile sottolineare, per esempio, un aspetto molto importante tralasciato dalla maggior parte dei giornalisti: il patteggiamento nel diritto sportivo non è propriamente come il patteggiamento del diritto penale, e comunque non significa ammettere la colpa.
Si tratta di due sistemi giuridici che hanno certamente delle similitudini di fondo, ma funzionano in modo molto diverso tra loro, e dunque le valutazioni da fare, anche di fronte a situazioni simili, possono essere molto diverse.
Nel Diritto Penale Italiano, il patteggiamento è un istituto giuridico con cui il soggetto interessato dal procedimento (imputato) chiede l'applicazione della pena, che ragionevolmente avrà un peso diverso da quello che avrebbe presumibilmente se tutto il procedimento andasse in porto, ed egli fosse dichiarato colpevole. Uno strumento utile ad avere qualche vantaggio reale per l'imputato, e a rendere più celeri e spediti i giudizi, insomma.
Tecnicamente, secondo la giurisprudenza prevalente, il patteggiamento è solo una delle varie strategie processuali possibili, e non è un'ammissione di colpevolezza, e meno che mai una confessione.
Non a caso, al di là dei travagli del popolo italico affamato di scandali e di colpevoli da mettere sulla ruota della tortura, mediatica e non, il patteggiamento non può essere usato in un altro procedimento collegato come prova della responsabilità penale per gli stessi fatti, e l'onere della prova, come sempre, come in tutte le varie fasi e i vari gradi del processo, è sempre a carico dell'accusa. E' certamente possibile, tuttavia, che l'imputato sia colpevole e collabori con la giustizia, e che chieda il patteggiamento per ottenere uno sconto sulla pena che potrebbe eventualmente scontare, ma questa scelta può convenire anche all'innocente che ritenga di non avere buone probabilità di dimostrare la sua innocenza, oppure che preferisca non essere coinvolto in vicende giudiziarie dall'esito imprevedibile.
In tutto questo, non va neanche dimenticato un altro notevole aspetto; il sistema giuridico penale prevede, all'interno del processo, lunghe udienze dibattimentali dove si può sviscerare tutto ciò che serve per fare chiarezza, dove si possono valutare/vagliare le prove con attenzione, dove gli avvocati degli imputati possono chiamare testimoni a favore e possono controinterrogare i testimoni dell'accusa, dove gli avvocati hanno un tempo tecnico abbastanza lungo per preparare le udienze, e fare al meglio il proprio lavoro. C'è il tempo sufficiente per leggere corposi faldoni, composti magari da migliaia di pagine, c'è il tempo per scrivere lunghe memorie difensive, ecc.
In parole povere, la sentenza di patteggiamento, per come si svolge la procedura nell'ambito penale, viene emessa bypassando il vero e proprio accertamento della responsabilità dell'imputato. Le prove infatti, a dispetto di ciò che potrebbe pensare "l'uomo della strada" non abituato a confrontarsi con questioni giuridiche, si formano nel dibattimento e non durante le indagini. Durante le indagini, i dati raccolti dagli organi inquirenti ancora non sono tecnicamente 'prove', perché per diventarlo devono subire l'esame della fase del dibattimento, unico momento del processo dove è davvero possibile vagliare, testare, verificare, analizzare, pesare, acclarare fatti e ricostruzioni.
Per queste ragioni, nonostante l'imputato sia sottoposto ad una pena, non può dirsi che la sentenza di patteggiamento abbia le caratteristiche proprie di una sentenza di condanna. Riconoscere, allo stato degli atti, di non possedere elementi utili, o sufficientemente forti, per dimostrare l'insussistenza del reato contestato, non può certamente essere considerato come un riconoscimento della propria colpevolezza.
Queste infatti sono le conclusioni cui è pervenuta la Cassazione, e che sono sostanzialmente condivise anche dalla Corte Costituzionale, secondo la quale la sentenza di patteggiamento possiede un forte profilo "negoziale" e, dunque, al suo interno contiene la conseguente carenza di quella piena valutazione dei fatti e delle prove che impedisce di attribuire alla pronuncia la natura di decisione di condanna.
Come tutti i tifosi Juventini sanno fin troppo bene, la giustizia sportiva attuale, invece, è quanto di più breve, antiquato, paludato, pasticciato, poco garantista e inefficiente ci possa essere. Sistema giuridico medievale, potremmo definirlo.
Il processo sportivo è costruito in modo molto diverso da quello penale, e l'onere della prova svolge i suoi effetti in modo differente. Come abbiamo avuto modo di precisare in questa sede in altre occasioni, in questo tipo di procedura l'onere della prova non viene invertito nella forma (come spesso viene scritto e detto da molti giornalisti disattenti), è solo molto più difficile per l'imputato difendersi durante il procedimento/giudizio. In quest'ottica dunque, nella prospettiva di dover affrontare un giudizio e sapendo che non sempre la difesa ad oltranza paga, per evitare danni di vario genere, alcuni imputati (deferiti in questo caso), possono preferire, carte alla mano, togliersi il dente il prima possibile con quel po' di anestesia che si riesce ad ottenere, per poi tornare a dare calci al pallone, o a guardare altri che lo fanno. L'onere della prova non è invertito nella forma, ma è decisamente invertito nella sostanza. Le vicende processuali sportive degli ultimi anni, e delle ultime settimane, più che mai dimostrano che difendersi in questo procedimento è molto difficile. Nei giorni scorsi, l'avvocato Antonio De Rensis (legale di Antonio Conte), durante un suo intervento telefonico in un'emittente televisiva, si è espresso proprio in questo senso, ed ha affermato giustamente che il processo penale è "garantista", mentre il processo sportivo è "accusatorio".
Niente di più esatto. Ma c'è di più. Molto di più.
Il Processo Sportivo vive la fisiologica difficoltà di avere gli organi inquirenti deboli, ossia con meno strumenti a disposizione rispetto agli organi inquirenti della giustizia ordinaria, che invece possono usufruire dell'apporto degli enti preposti (Polizia, GdF, Carabinieri, ecc). Per questa ragione, tutti gli istituti previsti dal codice di giustizia sportiva, sono ispirati ed appoggiati al principio della collaborazione degli individui che sono parte del sistema calcio (o altro sport), e alla distribuzione delle colpe e delle responsabilità che viene effettuata anche in un modo che non tutti gli osservatori potrebbero definire propriamente "equo". Basti pensare a tutte le volte in cui nelle sedi più disparate assistiamo alle soventi discussioni sulla Responsabilità Oggettiva, istituto che potenzialmente può rendere estremamente facile punire anche soggetti (squadre) che non sono coinvolti direttamente e attivamente nella vicenda in quel momento sotto la lente della giustizia sportiva. L'istituto del patteggiamento quindi, nel caso del diritto sportivo, è uno stimolo per gli individui coinvolti a vario titolo in un'inchiesta a fornire supporto reale alla ricostruzione dei fatti, in cambio di un beneficio tangibile. Il patteggiamento, prima di essere proposto all'organo giudicante, viene prima concordato con il Procuratore Federale (organo inquirente), in base alle risultanze dell'inchiesta ottenute fino a quel momento; è regolato dall'art. 23 del Codice di Giustizia Sportiva e non è un'ammissione di colpevolezza.
Art. 23
Applicazione di sanzioni su richiesta delle parti.
1. I soggetti di cui all’art. 1 comma 1 possono accordarsi con la Procura federale, prima che termini la fase dibattimentale di primo grado, per chiedere all’organo giudicante l’applicazione di una sanzione ridotta, indicandone le specie e la misura.
2. L’organo giudicante, se ritiene corretta la qualificazione dei fatti come formulata dalle parti e congrua la sanzione indicata, ne dispone l’applicazione con ordinanza non impugnabile, che chiude il procedimento nei confronti del richiedente.
3. L’applicazione di sanzioni su richiesta delle parti è esclusa nei casi di recidiva e nei casi di cui all’art. 7, comma 6.
Nei casi in cui, invece, un soggetto coinvolto in un'inchiesta, decide di confessare agli organi inquirenti le proprie colpe, e magari decide anche di collaborare, si applica l'articolo successivo del codice, articolo 24, che è l'ammissione vera e propria di colpa con la relativa collaborazione.
Art. 24
Collaborazione degli incolpati.
1. In caso di ammissione di responsabilità e di collaborazione fattiva da parte dei soggetti sottoposti a procedimento disciplinare per la scoperta o l’accertamento di violazioni regolamentari, gli organi giudicanti possono ridurre, su proposta della Procura federale, le sanzioni previste dalla normativa federale ovvero commutarle in prescrizioni alternative o determinarle in via equitativa.
2. In tal caso, la riduzione può essere estesa anche alle società che rispondono a titolo di responsabilità diretta od oggettiva.
Ricordiamo inoltre che, ad oggi, Antonio Conte attuale allenatore della Juventus, non ha ammesso nessuna colpa riguardo al suo operato riguardante alcuna delle stagioni in cui era tesserato per altri club.
Infine, sia chiaro che siamo ben consci del fatto che in Italia, dal 1897 e fino all'ultimo giorno prima della fine del mondo, che avverrà con relativa Apocalisse prevista nella Sacra Bibbia, il patteggiamento in un procedimento giudiziario sportivo di un qualunque tesserato della Juventus, chiunque esso sia (dal magazziniere al Presidente), sarà sempre fatto passare dalla maggior parte dei media italici come un'ammissione di colpa.
Qualche riflessione sul patteggiamento
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- By Crazeology