Tra i molteplici luoghi comuni partoriti dalla disinformazione del 2006 ce n'è uno che resta immutato nelle "argomentazioni" dei colpevolisti: senza l'assenso di Luciano Moggi e la Juventus nulla poteva muoversi nel calcio italiano. Questa convinzione torna di moda negli ultimi giorni, dove nei consueti dibattiti televisivi si fa a gara (ormai da un anno almeno) a minimizzare le intercettazioni di Inter e Milan da parte dei tifosi e simpatizzanti delle milanesi. Ma la Juventus, assodato che non era a capo di nessuna Cupola, era davvero così potente?
In questi giorni Ju29ro.com ha pubblicato un’intercettazione inedita davvero importante e significativa e come al solito clamorosamente ignorata dagli inquirenti. La telefonata è tra i due designatori Bergamo e Pairetto dopo la famigerata Roma-Juve del 5/03/2005. Bergamo riferisce a Pairetto la dura telefonata avuta con Carraro, il quale era molto arrabbiato perché, a suo dire, erano state disattese le sue indicazioni di non sbagliare a favore della Juventus. Assodati il passaggio in cui i due designatori fanno chiaramente capire di non avere interesse ad avere una vincitrice preferita poiché viene prima il loro lavoro (smontando così ogni residua speranza di considerarli “associati alla cupola”) e quello in cui Bergamo si stupisce dell’acredine della Stampa e in più in generale dei media nei confronti della Juventus, questa intercettazione fornisce lo spunto per alcune interessanti riflessioni. In questi anni, lo studio attento e minuzioso delle intercettazioni ci ha permesso di smontare pezzo per pezzo il teorema dell’associazione a delinquere e perfino le singole frodi sportive, anche e soprattutto grazie alle intercettazioni, come questa, non considerate dagli “Auricchio’s boys” e riscoperte dalla difesa Moggi. Ma alla fine della fiera, siccome le pressioni sui designatori c’erano ed erano forti, in che verso erano indirizzate, acclarato che non andavano dalla parte di una cupola mai esistita se non nella testa di Auricchio, Narducci e Palazzi? Abbiamo visto quanta pressione ci sia stata sul povero Racalbuto per Roma-Juve, il quale alla fine ne avrebbe poi combinate di tutti i colori in entrambi i sensi, insieme ai due assistenti Ivaldi e Pisacreta, considerati “il numero 1 e il numero 2” per bravura. Addirittura Palombo si meraviglia con Bergamo del fatto che non sia stato messo in griglia Collina, non capendo (o facendo finta di non capire) che Collina non poteva andare in quella griglia poiché era stato designato per una partita europea. Il numero 1 del calcio italiano, invece, non era la prima volta che chiedeva che non si sbagliasse a favore della Juve: infatti, prima di Inter-Juve del 28/11/2004, le indicazioni per Rodomonti (sempre via Bergamo) erano state le stesse da parte di Carraro, preoccupato di eventuali polveroni mediatici anti-Juve che potevano minare i precari equilibri politici per l’elezione del Presidente di Lega. Senza dimenticare Reggina-Juventus e la rapina a mano armata ai danni della squadra di Capello, che avrebbe provocato la boutade del “sequestro Paparesta”, rivelatasi in realtà una più che giusta incazzatura di Moggi e Giraudo nei confronti della terna di cui faceva parte Copelli, tanto caro a Meani. Con la piccola differenza che Paparesta dopo quella partita andò per un turno in B per poi tornare tranquillamente in A, mentre Racalbuto dopo Roma-Juve viene fermato per 8 turni. Come si suol dire: uomo avvisato… Per non parlare della squalifica di Ibra dopo Juve-Inter, causata da una ripresa di Mediaset, squalifica di tre turni che, guarda caso, sarebbe andata a coincidere con l’attesa sfida-scudetto di San Siro Milan-Juve. Troppo facile, infine, rievocare la figura di Meani e i suoi quotidiani contatti con tanti assistenti (alcuni dei quali vicinissimi al Milan, vedesi Puglisi "l'ultrà del Milan" e Copelli stesso) ed arbitri del calibro di Collina (che si incontrava con Galliani nel ristorante del “Leo” a mezzanotte e nel giorno di chiusura), i “gli tagliamo la testa noi”, “il mio presidente ti ha già pagato un trapianto in Svizzera”, “così abbiamo un po’ di controllo anche nelle categorie inferiori”, “li purghiamo quelli di Torino”. Così, se da una parte Moggi e Giraudo si trovavano a commentare colloqui dei due designatori che a loro dire "quest'anno puntano tutto su Inter e Milan", dall'altra si vedevano costretti a ricorrere al silenzio stampa, dopo che una "manina" faceva arrivare alla Rai il famoso filmato di Cannavaro (ancora giocatore del Parma) che prima della finale di Coppa Uefa del 1999 scherzava sull'assunzione di un farmaco lecito. E come al solito, il giornalismo sportivo italiano non perdeva l'occasione per puntare il dito contro quei dopati della Juve, lo diceva anche Guariniello! Ed anche gli interisti che si affannano a ripetere che la seconda squadra di Milano si limitava a difendersi da quei cattivoni di Torino forse non hanno ben chiaro il quadro intercettatorio. Sarebbe troppo semplice prendere in considerazione le pur rilevantissime intercettazioni di Facchetti con Mazzei (sull'estrazione "forzata" di Collina per Inter-Juve) o quella con Bergamo del "5-4-4", con annessa la telefonata post partita di Bertini a Bergamo (dove il fischietto lamenta la visita dell'allora presidente dell'Inter negli spogliatoi prima della partita che aveva creato non poco imbarazzo nella terna arbitrale), relativa a Cagliari-Inter di Coppa Italia. Una coppa che l'Inter poi avrebbe vinto senza dover difendersi da nessuno, visto che Milan e Juve erano già uscite. Tornando un po' più indietro basti pensare alle parole di Carraro a proposito della vicenda del passaporto di Recoba ("io Moratti, che ha speso 600 miliardi per l'Inter, in B non ce lo mando") o alla vicenda dei trucchi contabili (plusvalenze e vendite di marchio fittizie) andatisi ad insabbiare dietro la depenalizzazione del falso in bilancio e dietro la legge Salva-calcio del 2003, entrambe opera del presidente del Milan. E la vicenda di Nucini (nel 2004-05 ancora in attività), lo 007 nerazzurro, oppure quella di Coppola, unico e vero "pentito" nel 2006, che andò a parlare ad Auricchio di pressioni ricevute da parte dell'Inter per cambiare un referto arbitrale (che non cambiò e per questo a suo dire non fece più la Serie A), a tutto fanno pensare tranne ad una squadra che non ha potere. Senza voler scomodare la Security Telecom...Ultime ma non ultime per potere calcistico vale la pena citare anche le due romane, entrambe con i conti in rosso a causa delle gestioni Sensi e Cragnotti ed entrambe sotto l'ala protettiva di quel Cesare Geronzi, presidente di Capitalia (e poi di Mediobanca) che aveva acquisito nel 2004 il 49% di Italpetroli (di cui faceva parte anche la Roma) e che aveva come referente e "impiegato" Franco Carraro (presidente di Mediocredito). A questo proposito è illuminante l'intercettazione in cui Carraro dice che bisogna salvare la Lazio.
Tutti indizi e segnali che portano ad una sola conclusione: tra le grandi italiane chi non “contava un cazzo”(o comunque molto meno delle altre) era proprio la Juventus di Moggi e Giraudo. La geopolitica del pallone nel 2005 contrapponeva le ricche e potenti milanesi del presidente del Consiglio e del petroliere per eccellenza ad una Juventus orfana dell’Avvocato e del Dottor Agnelli (come si evince da questa telefonata tra Moggi e Lippi) e senza aumenti di capitale che a fine anno risanassero il bilancio (grazie a Dio anche senza il doping amministrativo, abitudine consolidata a Milano, Roma e Parma almeno).
Ma se da una parte questa telefonata tra Bergamo e Pairetto è un altro importante tassello verso la giusta ricostruzione dei poteri forti nel calcio italiano durante quella stramaledetta stagione 2004-2005, dall’altra ci da un’ulteriore conferma di ciò che pensiamo da tempo del rapporto tra la Triade e la proprietà della Juve. Anche Bergamo, così come Tosatti, si meraviglia del comportamento duro della Stampa nei confronti della squadra di “Famiglia”, fatto che non torna a Bergamo, così come a noi, e che va a fare il paio con altre intercettazioni che abbiamo già analizzato. Ovvero la Sandreani-Zavaglia, quella tra Moggi padre e figlio e la famosissima Baldini-Mazzini, detta anche del “ribaltone”. Intercettazioni accomunate dal sentore diffuso negli ambienti del calcio di allora, sentore che voleva la Triade defenestrata da Montezemolo e dai “rampolli di famiglia”, con Baldini che avrebbe dovuto prendere il posto di Moggi (offerta che realmente fu fatta a Baldini a Farsa ancora in corso). Viene ancora di più da pensare sul comportamento della Stampa quando si pensa al ruolo giocato durante la Farsa dai giornali del gruppo RCS, ossia Gazzetta dello Sport e Corriere della Sera. Gruppo di cui la famiglia Agnelli-Elkann era ed è azionista. Mi viene da ridere quando sento gente come Mauro Suma, Franco Ordine e Gianluca Rossi considerare Meani un millantatore o sostenere le tesi di Palazzi secondo cui “il tirare in ballo altri soggetti non minimizza le colpe di Moggi”. A 5 anni dallo scandalo che ha stravolto la Storia gloriosa della Juventus FC 1897 ci si trova di fronte ad un quadro piuttosto variegato di poteri e contropoteri legati ai "salotti buoni" milanesi, torinesi e romani, ognuno dei quali salvaguardava i propri interessi con tutti i mezzi a disposizione. Più che attaccarsi a "grigliate" piuttosto evanescenti o a rapporti "esclusivi" che alla luce dei fatti tutto erano tranne che esclusivi, gli opinionisti critici di Farsopoli farebbero bene a considerare quello che davvero le intercettazioni celano, considerando anche che le prime tre stagioni della gestione "cupolare" Bergamo-Pairetto partoriscono in sequenza: nel 2000 lo scudetto alla Lazio e la piscina di Perugia, nel 2001 lo scudetto della Roma e il cambio delle regole in corsa riguardo al tesseramento di extracomunitari (Nakata) e nel 2002 uno scudetto già a Milano ma perso malamente dall'armata del "5 Maggio". Con un pizzico di onestà intellettuale è facile constatare che se c'era una squadra che doveva difendersi da molteplici attacchi interni ed esterni era proprio la Juventus della Triade, che nonostante tutto riusciva a vincere e stravincere grazie all'immenso bagaglio di conoscenze calcistiche e manageriali dei suoi dirigenti.
La potenza della Triade tra luoghi comuni e dati di fatto
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