E' un paese ben strano il nostro. Si sollevano polveroni, si consumano fiumi d'inchiostro, si monopolizzano i TG, si descrive una vicenda quasi fosse l'Apocalisse in Terra e dopo pochi giorni tutto è dimenticato, sparito, cancellato, prendendo a prestito un detto popolare: “fatta la festa gabbatu lu santu”. È quanto è successo anche con l'affare Telecom: tante prime pagine, tante parole e poi quando si arriva ad un primo importante pronunciamento del Tribunale di Milano, tutto tace, come se sulla vicenda un'entità superiore avesse ordinato il silenzio stampa. Eppure la sentenza del Giudice Panasiti del 28 maggio scorso ha messo dei paletti fondamentali per comprendere l'intera vicenda Telecom.
La Panasiti era chiamata, tra l'altro, a chiarire se gli spioni avessero agito per interesse personale o nell'interesse di Telecom-Pirelli. E la sentenza, dopo aver analizzato alcuni dei dossier più importanti realizzati dagli spioni (tra cui il dossier Ladroni), afferma che senza ombra di dubbio non si poteva parlare di cani sciolti che agivano per proprio conto: non vi è quindi appropriazione indebita a danno delle aziende. Si legge nella sentenza a pag.192:
“….pare univocamente evidenziato che le operazioni complessivamente realizzate in concorso tra i funzionari della security (TAVAROLI,GHIONI, IEZZI) e i titolari delle agenzie investigative (CIPRIANI, BERNARDINI, SPINELLI), lungi dal poter essere riportate ad iniziative esclusive ed autonome dei detti imputati, realizzate, secondo l’ipotesi accusatoria formulata, da una “security impazzita” al fine di “drenare” risorse dalle due società TELECOM e PIRELLI, siano state in realtà eseguite sulla scorta di un interesse aziendale alla esecuzione delle operazioni, talora di un interesse pressoché esclusivo del PRESIDENTE delle due società, in ogni caso nell’ambito di una gestione dei compiti e dei ruoli della security pienamente conosciuta, ma anche condivisa a livello aziendale sia a livello di vertici della azienda, sia a livello dei vari funzionari e quadri".
Quindi nessun dubbio vi è sul fatto che gli spioni agissero su ordine e nell'interesse aziendale, o dei vertici aziendali. E non trova riscontro quanto affermato dalle difese di Pirelli e Telecom, che l'organizzazione operava in autonomia sotto la guida del Tavaroli. Scrive a riguardo la Panasiti a pag.193:
"Ma qualora si volesse sostenere, come pure è stato sostenuto da taluni dirigenti delle due società, che il vero artefice di tutte le operazioni sia stato Giuliano TAVAROLI, che si era dato un ruolo che esulava dalle mansioni previste, ed in tali ambiti aveva ritenuto di individuare, in via assolutamente autonoma ed autoreferenziale, esigenze delle due aziende, che personalmente ed altrettanto autonomamente aveva ritenuto di perseguire con le attività che hanno costituito l’oggetto di contestazioni nel procedimento, in tal modo finendo con l’interpretare autonomamente ed in via esclusiva possibili esigenze delle due aziende e personali del PRESIDENTE, non può non osservarsi come tutta una serie copiosa di indicazioni acquisite al fascicolo processuale, depongano in senso radicalmente diverso".
Ma un'altra circostanza è alquanto singolare in tutta la vicenda: l'appiattimento della Procura sulle tesi delle difese Telecom e Pirelli. Circostanza che è stata segnalata dallo stesso giudice Panasiti quando a pagina 194 scrive:
"La tesi sostenuta dai Pubblici Ministeri, dai legali delle due aziende e dal Presidente delle due aziende, è che le indicazioni di tal fatta sono da ricondurre esclusivamente ad una strategia difensiva degli imputati, volta a minimizzare loro esclusive responsabilità. Un tale assunto si è già visto stridere vistosamente con la stessa logica: appare difficilmente sostenibile, invero, la esecuzione di una complessa e capillare attività di accertamento, di acquisizione di informazioni, di intrusione informatica quale quella posta in essere in nome e per conto delle società PIRELLI e TELECOM, tutta realizzata per operazioni alla più apparente evidenza poste in essere nell’interesse delle società medesime o del suo Presidente, senza che le aziende medesime ed i loro dirigenti se ne rendessero mai conto negli anni".
In conseguenza di tale impostazione accusatoria la Procura di Milano non ha inizialmente ritenuto di inquisire i vertici aziendali. Il presidente Telecom, Tronchetti Provera, è stato infatti sentito solo in qualità di testimone. Solo dopo la pronuncia del giudice Panasiti il Corriere della Sera ha riportato che il presidente e l'amministratore delegato di Telecom, rispettivamente Tronchetti Provera e Buora, erano stati iscritti nel registro degli indagati da almeno sei mesi.
L'impostazione iniziale della Procura era sembrata ai più alquanto strana, ed anche il giudice Panasiti aveva sottolineato questa impostazione della Procura; sempre a pag.194 della sentenza infatti scrive:
"Si tenga presente, tra l’altro, che le illecite operazioni investigate nel procedimento iniziarono in PIRELLI e trasmigrarono in TELECOM con riferimenti temporali che coincidono con i nuovi assetti dei vertici aziendali: più chiaramente le attività di investigazioni e la stessa attività di collaborazione del CIPRIANI e della sua agenzia investigativa italiana, la Polis d’Istinto, iniziarono in PIRELLI fin dal lontano 1996/1997, allorquando ai vertici della società sedevano Carlo BUORA, in funzione di Amministratore delegato, e Marco TRONCHETTI PROVERA, in funzione di Presidente. Dopo di che, allorquando il gruppo TELECOM passò al medesimo azionariato e Carlo BUORA e Marco TRONCHETTI PROVERA assunsero anche in TELECOM la veste rispettivamente di AD e di Presidente, la attività del CIPRIANI, e successivamente del BERNARDINI (e di altre agenzie di investigazioni, i cui dirigenti non sono stati comunque raggiunti da contestazione) passarono ( sarebbe più opportuno dire“trasmigrarono”) anche in TELECOM".
La sentenza afferma quindi in modo perentorio che gli spioni non agivano per proprio conto ed interesse.
Tale decisione è stata contestata in modo alquanto irrituale dall'avvocato difensore di Pirelli, prof. Rampioni, il quale in una lettera pubblicata dal Corriere della Sera il 29 giugno 2010 ribadisce la teoria difensiva di assoluta estraneità all'attività di dossieraggio da parte dei vertici aziendali. La risposta a tale tesi non tarda ad arrivare: sempre sul Corriere della Sera il 2 luglio viene pubblicata una lettera degli avvocati della parte civile Mucchetti.
Gli avvocati Pulitanò e Zanchetti rispondono al prof. Rampioni, sostenendo che la sentenza è ben fondata e ribadiscono che “il cuore della sentenza è che le indagini illegali sono state compiute su mandato e nell' interesse di Pirelli e Telecom, entrambe guidate all'epoca da Marco Tronchetti Provera e da Carlo Buora". I due avvocati non risparmiano critiche, molto dure in verità, ai pm Milanesi, scrivono infatti: “Non è questa la sede per approfondire i fatti del 2004, …....., per quanto le indagini dei Pm Civardi e Piacente siano parse lente e superficiali.”
Ed infine scrivono, non senza ironia: "L'ipotesi di un Tavaroli capo supremo della nuova Spectre ha l'attendibilità degli asini che volano".
La sentenza della Panasiti è solo un primo passo verso l'accertamento della verità, e la lotta tra le parti processuali si va via via inasprendo, tuttavia un primo punto essenziale è stato segnato: all'interno di Telecom non vi era una struttura che operava clandestinamente e per proprio interesse.
Del resto tutti i dossier, così come scritto dalla Panasiti, sono stati realizzati nell'interesse delle aziende o dei vertici aziendali. E tra i tanti dossier realizzati dagli spioni vi è il famoso dossier Ladroni. Esso consiste in accertamenti molto approfonditi nei confronti dell'ex arbitro De Santis, realizzati alla fine del 2002. Tavaroli ha riferito in aula durante il suo interrogatorio di aver incontrato Moratti e Facchetti presso gli uffici della Saras e di aver appreso da Facchetti che un arbitro (sappiamo trattarsi di Danilo Nucini, che al riguardo ha deposto al processo Calciopoli di Napoli, ndr) gli aveva riferito di un sistema Moggi per condizionare le partite di calcio, sistema di cui l'arbitro De Santis era un elemento fondante.
Fabio Ghioni, uno degli imputati, in merito al dossier Ladroni riferisce (pag.129):
“Tutte le aziende alle quali era interessato, come azionariato, il signor Tronchetti, nel senso che aveva una partecipazione, le consideravamo aziende di Gruppo; tra queste consideravamo anche l’Inter un’azienda di Gruppo”. Ne conseguiva che anche l’Inter, in quanto azienda del Gruppo, veniva tutelata e gestita, esattamente,come se fosse Telecom Italia...”
Cipriani riferisce poi che tutte le operazioni svolte per conto dell'Inter per ragioni di opportunità, come ebbe a spiegargli lo stesso Tavaroli, non dovevano essere fatturate dalla Polis d'Istinto direttamente alla società nerazzurra. Il Cipriani riferisce che tramite la società inglese WCS emise fattura consegnata direttamente a Tavaroli. Dice infatti Cipriani (pag.131):
“...perché nelle intenzioni dell’INTER così come segnalatomi da TAVAROLI era opportuno che l’investigazione non risultasse o comunque fosse difficilmente individuabile".
S'è accertato quindi che il dossier Ladroni è stato commissionato dall'Inter, che è stata realizzata una operazione di controllo a 360° sull'ex arbitro De Santis e che l'Inter veniva considerata una società del Gruppo Telecom da tutelare come ogni altra società del Gruppo. Si aggiunga infine che Tronchetti e Buora erano al contempo al vertice di Telecom e nel CDA dell'Inter. Ma tralasciamo gli aspetti giudiziari e passiamo agli aspetti sportivi.
In un precedente articolo avevamo chiarito come la Procura sportiva avesse aperto un'indagine in seguito alle insistenti notizie di stampa, e come poi senza colpo ferire avesse archiviato il fascicolo perché a dire di Palazzi non vi erano fattispecie di rilievo disciplinare.
Dopo la lettura delle motivazioni della sentenza Telecom scritte dal giudice Panasiti, ci sembra sempre più singolare l'operato del procuratore Palazzi in merito al dossier Ladroni. E' appurato che i vertici dell'Inter hanno commissionato un'opera di spionaggio ai danni di De Santis, ovvero dei tesserati FIGC hanno fatto spiare un arbitro in attività.
Tale circostanza non costituisce illecito secondo Palazzi.
Ma ormai non ci sorprendiamo più, quando c'è di mezzo l'Inter le decisioni di Palazzi sono quasi sempre in dissonanza con le sentenze della giustizia ordinaria.
Ma questo continua ad essere tollerabile in uno stato di diritto?
Fino a quando la giustizia sportiva può continuare ad ignorare le sentenze della giustizia ordinaria, senza temere alcuna conseguenza?
PS. E' proprio di questi giorni la notizia della richiesta di danni che l'ex arbitro De Santis ha presentato nei confronti dei mandanti dell'attività di spionaggio a suo danno, Moratti in primis, ma per carità non fatelo sapere a Palazzi, potrebbe aversene a male.
Caso Telecom: fatta la festa, gabbatu lu santu?
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