E' stato il calcio-mercato del fair play finanziario. Nessuno ha spiegato per bene come mai l'Uefa abbia pensato di introdurre la nuova normativa sui bilanci, così come nessuno ha mai spiegato sui giornali o in tv come mai la Roma sia finita commissariata da Unicredit né ha indagato sui 300 e passa milioni di plusvalenze fittizie inventate dagli ingegneri finanziari nerazzurri nel 2005-06 per alleggerire gli assegni da chiedere a Moratti; in compenso presidenti, direttori sportivi e commentatori si sono per tutta l'estate riempiti la bocca col fair play, la medicina che dovrebbe far guarire il calcio da una malattia di cui in Italia nessuno ha mai parlato. Può essere allora interessante riguardare i casi più importanti di quest'estate proprio alla luce della normativa che imporrà gradualmente di pareggiare ricavi e spese, pena l'esclusione dalle competizioni Uefa.
Potrà sembrare strano ma il caso più di scuola, se si guarda a livello europeo, a noi sembra quello dello sceicco di Abu Dhabi che s'è fatto fare la lista della spesa da Mancini e ha speso 140 milioni (cash) per portare Silva, Milner, Yaya Touré, Balotelli, Kolarov e Boateng al Manchester City. Interessante perché, se l'obiettivo dell'Uefa è quello di limitare gradualmente le spese folli di sceicchi e petrolieri e i debiti di finti mecenati e finanzieri d'assalto, e lo è, allora appare come lucida la follia di un investimento così imponente e in contanti che gioca d'anticipo sulle future restrizioni. La follia dello sceicco non è sfuggita alla Gazzetta che il 25 agosto gli ha dedicato un'intera pagina, sottolineando che il patrimonio familiare, grazie al petrolio, ammonta a 670 miliardi di euro; peccato, pensando a casa nostra, che la Gazzetta non abbia mai indagato sui destinatari dei miliardi di euro del Cip6 (che gravano sui consumatori) neppure dopo la recente polemica di un ministro che diceva che grazie a quei miliardi Moratti per tanti anni aveva potuto fare delle follie (come quelle dello sceicco, aggiungiamo noi) per l'Inter.
A proposito di petrolio e petrolieri, ha colpito tutti il sostanziale immobilismo dell'Inter: nessun grande campione gradito a Benitez, nonostante le sue pretese fossero più miti di quelle di Mancini. I commentatori, verosimilmente sconcertati, hanno accostato il comportamento di Moratti al fair play finanziario; accostamento facile ma ardito perché la questione, a nostro avviso, potrebbe essere molto diversa e legata alle difficoltà del mecenatismo alla milanese, già da tempo commentate sul sito. Più che le disposizioni di Platini sul fair play potrebbero aver contato, per l'Inter, quelle di Moratti a Paolillo e la conferma viene proprio dalla Gazzetta e dal tragicomico pastrocchio che ha combinato commentando la chiusura del mercato.
Nella prima pagina del piccolo giornale del 1° settembre, infatti, è in bella mostra un "Quell'inedito Moratti in versione fair play finanziario"; ma se il lettore quel giorno si fosse avventurato fino a pagina 10 avrebbe letto, a firma di Marco Iaria, l'articolo "Altro che fair play. Quanti debiti per la serie A" dove, riguardo all'Inter, si ricordano i 500 milioni di rosso negli ultimi tre anni, si parla di società che più di tutte ha vissuto sopra i suoi mezzi e si fa notare che la Saras di recente ha dovuto emettere un bond da 250 milioni.... La Gazzetta che si smentisce da sola, prima ancora che lo facciano i siti di contro-informazione come Ju29ro.com, è la conferma che il fair play è servito e serve a tanti per nascondere o giustificare fatti e misfatti.
Tra questi merita il primo posto Galliani per la conclusione pirotecnica della campagna acquisti del Milan, preparata nell'ombra, proprio al riparo del fair play finanziario. In tanti dubitano che per Ibra il Barcellona incassi solo 24 milioni a rate, il Corsera del 2 settembre ci mette anche e maliziosamente la politica ("Troppi sondaggi negativi e il Milan ha invertito la rotta"); probabilmente sarà intervenuto Berlusconi di persona come dice Marotta, sicuramente il monte-ingaggi della società aumenterà di brutto: fatto sta che anche al Milan si potrebbe dire che, come al Manchester City, hanno giocato d'anticipo rispetto ai vincoli di bilancio che arriveranno nei prossimi anni. Intanto gli sponsor sono felici e pronti a spendere di più, il marketing societario è al lavoro e gli abbonamenti sono in ripresa.
Il coinvolgimento più singolare del fair play finanziario è, comunque, quello chiamato in causa dalla Juve con il direttore generale Marotta che dichiara di aver raggiunto l'obiettivo (fissato da chi?) di ridurre il monte stipendi del 30%. Singolare perché il bilancio della Juve, contrariamente a quelli di Inter e Milan, era il più sostenibile, non era la Juve quella che doveva con maggiore urgenza ridurre il totale degli ingaggi: semmai era chiamata ad aumentare i ricavi riconquistando la Champions per sfruttare poi la diversa ricettività del nuovo stadio; anche affrettato, perché la nuova normativa Uefa ha dato diversi anni di tempo per un graduale bilanciamento tra costi e ricavi; addirittura miope, nel caso la squadra non riesca quest'anno a raggiungere la qualificazione per la Champions, di fatto rischiando la definitiva retrocessione a società di secondo livello.
Per arrivare a Torino e alla Juve abbiamo ritenuto importante partire da Manchester e dallo sceicco Mansour bin Zayed bin Sultan Al Nahyan, intanto perché la normativa Uefa governerà le competizioni europee, e poi perché è sullo scenario europeo e mondiale che la Juve, per storia e tradizione consolidata, dovrebbe valutare rischi e opportunità di prospettiva. Avremo sicuramente modo di tornare sull'argomento; per il momento è doveroso sottolineare che tra i tanti fatti e misfatti di quest'estate all'ombra del fair play proprio le scelte fatte dalla Juve lasciano più sconcertata la nostra redazione.
Calciomercato: fatti e misfatti in nome del fair play
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