Segui il denaro, insegnano i maghi del poliziesco. Segui il denaro: solo così si riesce davvero a comprendere la natura del malaffare, solo così si può cogliere il quadro generale. Calciopoli è stata, per risonanza, un'indagine epocale, in cui gli scambi di denaro, in definitiva, non sono stati trovati. Non un singolo euro: si è cianciato di magliette, di sconti su autovetture, di assicurazioni. Roba ridicola. Il calcio è pieno di soldi, e i soldi che sostengono il calcio, dappertutto, sono quelli dei diritti tv. Questi soldi sono, per dirla in maniera veteroleghista, quelli dei contribuenti: a Sky, a Mediaset, e briciole. Questi soldi sono, insomma, i nostri.
L'argomento diritti tv è di per sé talmente poco affascinante che anche quando, come accade proprio ora, con le battaglie legali di Conto Tv e dell'Adiconsum, ora approdate al Tribunale di Milano, rischia seriamente di fermare il prossimo campionato, non raggiunge le prime pagine dei quotidiani. Dicono che la serie A non si gioca? E chi se ne frega. D'altronde non c'è nessuna squadra, nessun capopopolo, nessun capital-partigiano a chiedere lo stop dei campionati.
Non è la battaglia di nessuno, se non di Conto TV. Questo perché non è una battaglia di fede, di tifo, di parte: è un'importante battaglia legale e giudiziaria, figlia, a mio modo di vedere, di un decennale fraintendimento. Il fraintendimento è che il monopolio nell'ambito dei diritti tv fosse legato a doppio filo al potere delle grandi squadre: Juve, Milan, Inter (e Roma). Il monopolio vero, invece, è sempre stato quello di Sky, per certo, e il conflitto d'interessi di Mediaset.
La struttura del tifo italiano è notoriamente differente da quella britannica - dove le squadre hanno organizzato la vendita collettiva all'alba del calcio-business e delle sue macchine da marketing, quando il tifo era ancora più frammentato di quanto sia oggi - e più simile alla realtà spagnola dove, nonostante un lustro di governo socialista, nessuno si sogna di abbandonare il modello individuale di vendita, che mantiene Barça e Real competitivi rispetto alle inglesi, le quali contano su un mercato televisivo interno grande il doppio. Questo principio, al di là delle (inesistenti) inclinazioni liberali o socialiste delle istituzioni sportive nazionali, è la premessa da cui ha preso le mosse il sistema dei diritti tv italiano, così come è stato fino all'altro ieri.
Specularmente, non sono state le inclinazioni liberali o socialiste a determinare le battaglie in senso avverso di tanti club, ma per l'appunto la volontà di mettere le mani su una fetta di torta più grande di quella che il libero mercato offriva. Ricordiamo dunque l'avventura di Stream, in cui entrò con un'importante quota il consorzio Sds, guidato da Sensi, Cecchi Gori, Cragnotti e Tanzi, che decisero di prendersi da soli, con i soliti accesi proclami contro la dittatura delle "grandi del nord", quello che Telepiù, in una logica di mercato piuttosto chiara, non offriva loro. Mettiamo su azienda: ecco quindi la loro tv, con cui Parma, Lazio, Roma e Fiorentina si pagavano i diritti tv da sole. Una squadra dal ristretto bacino di utenza come il Parma spuntava perciò contratti milionari, ben oltre il suo valore di mercato. Idem dicasi per le altre. Quando Murdoch - comandante in capo Letizia Moratti - rilevò il carrozzone, insieme a Telecom, l'azienda era naturalmente asfissiata dai debiti.
La mossa di Sky fu di riunire le due concorrenti Stream e Telepiù in un'unica emittente, e monopolio fu. L'offerta economica verso i club migliorò soprattutto per le grandi, mentre le piccole rimasero, nella loro opinione, sottostimate. Problemi con l'Antitrust? Tanti: Sky era in pratica l'unico operatore sul mercato. GiocoCalcio fu la piattaforma, ancora una volta messa insieme da alcune piccole squadre, rappresentate dai vari Dal Cin e Preziosi, che nacque per garantire contratti migliori ai piccoli e fare la "guerra" a Sky. Grandi proclami da un lato, usuali minacce di fermare il campionato, ma anche il contraltare adatto per Sky per non trovarsi in posizione dominante davanti alle autorità Antitrust, abbandonando una quota misera di club di secondo livello.
Nel frattempo, lo scherzo del governo Berlusconi allo squalo Murdoch: la legge Gasparri, che inaugurava il digitale terrestre, con contributi statali per i decoder. Una piattaforma per cui si prevedeva un gran futuro, ma un futuro molto in là nel tempo. Invece inizia subito, Mediaset e La7 (proprietà Telecom tronchettiana) fanno immediatamente il loro ingresso nel mondo della pay-tv e il calcio naturalmente è l'ingrediente principe della loro proposta. Murdoch ha un concorrente, ma su un'altra piattaforma. Mediaset può contare inoltre su un altro grande vantaggio: Adriano Galliani, il presidente della Lega Calcio - anche sponsor, poi ritiratosi del progetto GiocoCalcio - ricopre anche la carica di amministratore delegato del Milan.
Tempo di tornare in serie A, però, ed ecco un nuovo capopolo: Diego Della Valle che, con la sua Fiorentina, si mette alla testa delle piccole per cambiare la situazione dei diritti tv. Nel mirino Milan e Juve, naturalmente, mentre l'Inter (saldamente schierata con le altre due "grandi") viene risparmiata dagli strali dei presidenti "antisistema", anche per i suoi tentennamenti. Tornano le minacce di blocco dei campionati, sostenute dai tifosi.
Logica vorrebbe che il problema fosse di Sky e Mediaset, che non recedono di un millimetro dalla loro politica economica nei confronti dei club, se non per gratificare qualche "nobile" come la Roma. La protesta rientra poi con l'accordo Abete-Carraro, seppur, va detto, la Fiorentina non scende a patti con Sky.
E' tempo di Calciopoli dunque, che instrada il calcio italiano verso il mercato collettivo, con forti accenti ideologici: basta con le grandi che contrattano individualmente, portando a casa il grosso della torta: il libero mercato è in contraddizione con i valori sportivi.
La Lega Calcio è il nuovo soggetto che contratterà per tutti i ricavi provenienti dalle tv, che sono e rimangono Sky e Mediaset. I blocchi all'entrata per potenziali nuovi operatori sono ancora evidenti nelle modalità di cessione. La Lega Calcio sceglie inoltre il suo advisor per vendere i diritti: Infront, società il cui presidente, Philippe Blatter, è il nipote del presidente della FIFA, e figlia di quella ISL che con la FIFA fece numerosi affari, poi finiti sotto la lente delle autorità giudiziarie elvetiche, e mirabilmente riassunti nel libro del giornalista inglese Andrew Jennings "Foul!". I pacchetti dell'asta per i diritti sono divisi in modo da garantire pacchetti grandi acquistabili solo da soggetti grandi, che sono due, uno per piattaforma: Sky e Mediaset. Conto Tv non ci sta, e parte la battaglia contro la Lega Calcio.
Ai tempi delle lotte contro Milan e Juve si parlava di rubare ai ricchi per dare ai poveri. In realtà il trasferimento di risorse avviene verso società che in questi anni hanno fatto ampio ricorso a trucchi contabili, come le plusvalenze fittizie, la cessione del marchio o di rami d'azienda alle controllate, non brillando certo per trasparenza o oculatezza. Aziende aiutate dallo Stato, con un provvedimento come il cosiddetto spalmasvalutazioni, censurato dall'Unione Europea, o la rateizzazione dei debiti verso l'Erario. Poveri? Non lo so, privilegiati di sicuro.
Un mercato televisivo più competitivo a livello di operatori avvantaggia il consumatore che finisce con lo spender meno: davvero in questo caso si toglierebbe ai ricchi per dare ai poveri (e ricchi, perché no?) appassionati di calcio. Un mercato collettivo invece semplicemente trasferisce risorse da una società (es. Juve amministrata benissimo) a un'altra, spesso e volentieri amministrata male. In pratica: pago di più io, juventino, e guadagnano il Cagliari o il Parma, e Sky. Ci sta bene? Mica tanto.
Intendiamoci: che nello sport sia tutelata la competizione è obiettivo meritorio. Di questo passo, si potrebbero dividere anche i soldi del merchandising e degli introiti da stadio, perché no? Soprattutto ci dovrebbe essere una rigida disciplina, che non esiste, in termini di bilancio. Come si protegge la competizione da una società come l'Inter che deve ripianare 200 milioni di euro di perdite all'anno, ad esempio? Fintantoché non si fissano regole certe a riguardo, fino a che non si implementa anche all'interno il fair-play finanziario, perché una società con scopo di lucro dovrebbe foraggiare i suoi concorrenti, che magheggiano sui bilanci? Eppure lo sappiamo bene come Parma, Lazio, Roma siano arrivati ai vertici, ad esempio. Non è nell'interesse della società, e nemmeno noi tifosi siamo disposti a pagare gli ingaggi del Palermo attraverso il canone di Sky, che opera in regime di monopolio.
Cosa dobbiamo aspettarci? La battaglia di Conto TV bloccherà il campionato, costringendo dunque molte società al fallimento, e causando perdite anche alla Infront del buon Philippe Blatter? Non succederà, siamo in Italia: una soluzione si trova sempre. Politica. E a nostre spese.
A Conto, non possono far "conto" sui tifosi di nessuna squadra.
Fate "conto" anche su di noi
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