E’ di qualche giorno addietro l’intervista rilasciata a TMW da parte del prof. Giuseppe D’Onofrio, ematologo, docente e autore del libro "Buon sangue non mente", che nell’ormai lontano giugno 2004 fu incaricato dal giudice Casalbore di stilare una perizia medica sui valori del sangue degli atleti appartenenti alla società calcistica Juventus F.C.
La nomina conseguì alle riserve eccepite, e poi accolte dal giudice, da parte dell’accusa nei riguardi del professor Giovanni Melioli, ematologo, dell’Università di Genova.
Insieme a lui fu nominato il professor Eugenio Muller, ordinario di farmacologia all’università di Milano al quale, invece, fu richiesto di fornire una consulenza peritale in merito ai corticosteroidi.
La redattrice dell’intervista Sabine Bertagna – non è dato sapere se per ignoranza o per malizia – riporta i commenti dei giornali successivi alla sentenza di primo grado (Giraudo assolto, Agricola condannato a 22 mesi) “Nessuno può esultare”, “D’ora in avanti sarà tutto diverso”, “Un’ombra sugli scudetti”. Mura sulla Repubblica aggiungeva: “Questa sentenza è una brutta botta per la Juve, da qualunque parte la si guardi, getta una lunga ombra su quattro stagioni. Ma è una prima assoluta nel nostro calcio: la condanna del medico di una squadra di primissimo piano per frode sportiva e somministrazione di farmaci pericolosi. In più, è la prima volta che la paroletta Epo, così familiare nel mondo del ciclismo, è associata al calcio.Non stupisce l'assoluzione di Giraudo per insufficienza di prove. Nel codice di procedura penale la responsabilità oggettiva non esiste, né d'altra parte, per stare al ciclismo, c'è mai stata condanna per un manager. Per l'atleta, semmai, e per il medico sociale. Stupisce invece che la Juve consideri quest'assoluzione di Giraudo come assoluzione di tutta la società, quando Agricola è stato condannato a un anno e dieci mesi per frode sportiva e somministrazione di farmaci pericolosi".
Il beneficio del dubbio rovina fragorosamente quando si fa notare che, dopo la vicenda processuale, D’Onofrio scompare dalla Commissione Antidoping italiana, con la quale era abituato a lavorare da anni, ma continua la sua attività, con successo, a livello internazionale. “Qualcosa non quadra…” è il commento sibillino che sprofonda in un pistolotto morale sul calcio che non ha appreso nulla e che erige barriere per difendersi.
Tutto molto demagogico e forcaiolo, con l’aggravante di non conoscere il merito della vicenda processuale, che termina con un'assoluzione dall’accusa di doping perché il fatto non sussiste (uso di epo) e un'assoluzione per prescrizione (abuso di farmaci leciti).
Prescrizione, che vogliamo ricordare, non è sinonimo di colpevolezza come certi giornalai con la bavetta alla bocca insinuano, bensì significa rendere non più ACCERTABILE, per il decorso del tempo, se un fatto sia stato commesso o no, e se costituisca reato o no.
L’intervista dal carattere autoreferenziale prosegue fra un'insinuazione e l’altra, peraltro nemmeno eccessivamente velate, con tanto di pacchiane asserzioni sul processo: fra queste vale la pena di ricordare un paio di perle, come questa: “La parte relativa al sangue non poteva neanche essere affrontata dalla Cassazione perché avrebbero dovuto richiedere un’altra perizia.”
Ovviamente sia alla giornalista che all'esimio professore, entrambi a digiuno di educazione civica, è sfuggito il fatto che la Corte di Cassazione è un giudice di legittimità e come tale controlla che le regole sostanziali (quelle che individuano i fatti costituenti reati e le pene) e quelle procedurali (quelle che regolano il processo) siano state correttamente applicate. In caso contrario la Corte di Cassazione non fa altro che rimettere gli atti ad altro Giudice per la corretta applicazione di quelle norme non rispettate o applicate in modo errato. Nel caso della perizia dell’ematologo romano la corte d’appello ha ben giudicato e ben applicato le norme: quindi la motivazione data dai Giudici di appello di Torino, sulla vicenda EPO (fatto non sussiste), è incontestabile e definitiva.
L’altra meraviglia: “Mentre poi in appello c’è stata una sorta di insufficienza di prove. Il giudice scrisse che la mia perizia era fragile.” Peccato che il giudice Witzel scrisse, fra le altre cose, che non si poteva condannare qualcuno per doping in assenza di un documento che ne asserisca la certezza.
E, aggiungiamo noi, in base ad un consulente di una squadra di calcio notoriamente nemica della Juventus, un consulente che, se pagato dall’accusa, sostiene una tesi; se invece pagato dalla difesa, sostiene una tesi esattamente contraria.
In questa atmosfera di vittimismo e di riabilitazione, mai un accenno di autocritica o, perlomeno, di tentativo di parlare del metodo scientifico posto alla base dello studio ematologico.
Ragion per cui, nelle prossime puntate, analizzeremo alcuni aspetti della perizia del professo D’Onofrio, il quale doveva rispondere a tre domande che elenchiamo, per comodità espositiva, qui di seguito:
a) se sia vero che la somministrazione di preparati a base di ferro, la somministrazione di eritropoietina e/o la somministrazione di altre sostanze comporti la variazione dei parametri dell’ematocrito (Hct), degli eritrociti (RBC), dell’emoglobina (HGB), dei reticolociti, del valore globulare medio (MCV), della concentrazione emoglobinica globulare media (MCHC) e/o di altri parametri;
b) se sia vero che la somministrazione dei preparati in precedenza indicati comporti un incremento parallelo o, come è stato detto, “consensuale” dei valori di alcuni dei parametri in parola, specificando – ove possibile – di quali parametri, in quali limiti e in quale percentuale ciò normalmente avviene; dica poi il perito, soprattutto alla luce della documentazione acquisita relativamente agli esami del sangue effettuati periodicamente dai calciatori della Juventus,
c) se le riscontrate variazioni nei valori di alcuni degli indicati parametri siano da considerarsi fisiologiche e siano compatibili con la normale e intensa attività fisica svolta dai calciatori negli allenamenti e nelle partite, ovvero siano invece indicative del fatto che tutti o soltanto alcuni dei calciatori presi in esame possano aver assunto eritropoietina, preparati a base di ferro o altre sostanze ovvero possano aver posto in essere altre pratiche per ottenere l’incremento dei valori in parola.
(continua)