Moratti TronchettiL’ultimo, in ordine di tempo, degli artifizi contabili sui quali hanno potuto contare le più importanti società calcistiche del nostro paese è la vendita a se stessi del marchio. Il rifiuto della Commissione Europea alla Legge 27 ha creato i presupposti di quest’ennesima buffonata all’italiana che ha consentito un risparmio di 181,3 milioni di euro al Milan, 159 all’Inter e 95,36 alla Lazio. Identico percorso è stato seguito anche da Roma, Sampdoria e da altre squadre minori dei nostri campionati.
Vediamo come funziona questo complesso meccanismo di vendita. Innanzitutto occorre definire che cosa sia il marchio o, per dirla all’inglese, il brand. Oltre ad essere un simbolo concreto che campeggia sulle maglie e sul merchandising delle squadre, il marchio è un valore astratto che può essere identificato con quattro sostantivi: reputazione, notorietà, immagine, garanzia. Date le premesse sarebbe più opportuno parlare di “marca”, ovvero la traduzione esatta della parola anglosassone brand. Marca perché si tratta a tutti gli effetti di un’astrazione condivisa dal pubblico, in sostanza, il peso della popolarità di un’azienda. Per questo motivo, in marketing, si suol dire che la marca è nella testa dei consumatori.
Pertanto, sfruttare il marchio significa offrire servizi o vendere prodotti che basano la loro autorevolezza, affidabilità e validità sul nome dell’azienda che li propone. Per esempio, nel caso delle società di calcio, si potrebbe trattare della vendita di prodotti, dell’organizzazione di manifestazioni, e della proposta di qualsiasi oggetto commerciale che rechi o veicoli su di sé il nome della squadra. In quest’ottica il marchio è anche quell’indefinibile entità che permette ai club di ottenere soldi dalle sponsorizzazioni: la ditta paga per mettere il proprio nome sulle maglie della squadra perché ritiene vantaggioso associarlo alla notorietà e alla reputazione della squadra stessa. Un concetto difficile e sfuggente che i fantasiosi padroni del nostro calcio sono riusciti a incasellare e addirittura a vendere, pur di realizzare vantaggi di ordine economico. Analizziamo ora cosa può comportare la cessione del marchio. In prospettiva aziendale, l’operazione di cessione è idealmente assimilabile alla cessione completa dell’impresa stessa. Non si mettono in vendita le proprie infrastrutture, il proprio personale o il proprio patrimonio, ma quella cosa per la quale infrastrutture, personale e patrimonio lavorano e che consente di produrre, eventualmente, utili.
Quindi, una società di valore internazionale, come nel caso di importanti club calcistici italiani, che operasse senza brand rappresenterebbe un paradosso. Sarebbe come un impresa che, dotata di immobili di proprietà, di migliaia di dipendenti e di costosi macchinari lavorasse per produrre burocrazia, ovvero nulla. Si pensi ad una squadra di calcio che, venduto il marchio, si appresta a scendere in campo: come verrà annunciata dallo speaker? Quali colori avranno le sue maglie? Come apparirà in classifica sui giornali? In linea teorica quindi è impossibile privarsi del proprio marchio. Ma è proprio qui che la fervida immaginazione dei padroni del calcio entra in gioco: il marchio viene venduto ma, allo stesso tempo, è riacquistato a rate. Facciamo un esempio: la squadra X deve ripianare 150 milioni di euro di perdite ma non dispone di tutti quei soldi. Decide così di vendere il marchio ad una società esterna (chiamiamola Y) proprio per 150 milioni i quali, costituendo una plusvalenza secca, vanno a sistemare i conti. Allo stesso tempo, però, viene stipulato un altro contratto grazie al quale la società Y concede alla squadra X il diritto di sfruttamento del marchio stesso, rivendendoglielo a rate.
Un circolo vizioso complicato dal fatto che, nel mondo del pallone, le società che acquistano il marchio sono entità giuridiche appositamente create e possedute dai club cessionari. E anche i nomi scelti per tali società tradiscono la loro provenienza: SS Lazio Marketing & Communication spa per i biancocelesti, Milan Entertaiment srl per i rossoneri e Inter Brand srl per i nerazzurri. Altro aspetto curioso della vicenda è che queste società di comodo hanno sempre capitali sociali di modestissima entità: fa sorridere che la SS Lazio Marketing & Communication, con capitale sociale di 120 mila euro (il minimo legale per le spa) acquisti un bene del valore di 95,36 milioni. Come ha potuto sborsare tutti quei soldi?

Il lettore, a questo punto, si chiede giustamente da dove provenga il denaro che la società controllata versa a quella che cede il marchio. Risposta: da un prestito bancario. In questo modo la società cessionaria si trova a pagare ogni anno la quota capitale del prestito, più la conseguente quota interessi. Ed ecco sciolto il mistero: tutto questo giro di denaro non è altro che un prestito bancario mascherato, il quale consente alle società in difficoltà di spalmare per l’ennesima volta i debiti in più esercizi. Se si considera che finanziamenti di questo genere possono avere durata anche ventennale si può ben capire che siamo di fronte ad un caso di doping amministrativo persino peggiore di quello provocato dalla famigerata Legge Salvacalcio. Infatti, gli ipotetici 150 milioni che la squadra X doveva versare in un unico esercizio sono invece “spalmati” in dieci, quindici o vent’anni. Con buona pace della regolarità dei campionati:

In realtà, a meno che non ci sia una vendita effettiva ad altri soci,[la vendita del marchio a se stessi] è un’operazione cartacea. Una cosmesi di bilancio sulla quale probabilmente interverranno società di revisione, forse la Consob. E qualche magistrato potrebbe aprire un’indagine, ipotizzando il falso in bilancio. (Il sole 24 Ore, 4 novembre 2006)

Vediamo ora quanto le più importanti squadre di calcio di serie A sono riuscite ad ottenere con l’ingegnoso meccanismo illustrato sopra. Nella tabella che segue (dati tratti da Il Sole 24 Ore del 4 novembre 2006) vengono indicati il valore della vendita, il nome della società controllata che procede all’acquisto e la data della cessione:
  • Milan: 183,7 – Milan Entertainment srl (30sett05)
  • Inter: 158 – Inter Brand srl (29dic05)
  • Roma: 125 – Soccer sas (21nov06)
  • Lazio: 95,4 – Lazio Marketing & Communication spa (29set06)
  • Sampdoria: 25 – Selmabipienne (30lug05)
  • Brescia: 20 – Brescia Service srl (30giu05)
  • Chievo: 10 – Nd (27giu05)
  • Reggina: 10 – Reggina Service srl (30giu05)

Ancora una volta, come nel caso della spalma-ammortamenti, non appare la Juventus la quale ha provveduto con la sua gestione a far quadrare i conti.
La cessione a se stessi del marchio ovviamente non ha convinto i controllori della Covisoc i quali hanno bocciato i bilanci delle società in questione, chiedendo di ricapitalizzare per gli importi dovuti. Ma nessuno si è dovuto strappare i capelli perché in Federcalcio si è giunti subito ad un accordo che ha permesso ai furbetti di farla franca ancora una volta, come ci ricorda un articolo di Gianni Dragoni, apparso sul Sole 24 Ore il 14 luglio 2006 (in pieno caos Calciopoli…):

Massimo Moratti se l’è cavata con una ricapitalizzazione dell’Inter di circa 20 milioni di euro e con il congelamento di altri 20 milioni di liquidità derivante dal calciomercato. Per Silvio Berlusconi l'iniezione nelle casse del Milan è stata di importo inferiore. È il compromesso raggiunto con gli organi della Federcalcio che controllano i bilanci prima di dare il nulla osta all'iscrizione ai campionati professionistici.
Inizialmente la Covisoc, presieduta da Cesare Bisoni, aveva bocciato i conti di Moratti e Berlusconi, “taroccati” con la vendita del marchio a se stessi, fatta a società controllate dagli stessi club. La Covisoc aveva chiesto ad ogni club una ricapitalizzazione di almeno 100 milioni di euro.
Questo era stato deciso per neutralizzare due operazioni di cosmesi contabile. Il Milan ha dichiarato la vendita del marchio ad una società controllata con una plusvalenza di 181,3 milioni nel bilancio civilistico al 31 dicembre 2005. La plusvalenza è servita a coprire nei conti 2005 un onere di pari importo, registrato come minusvalenza, derivante dall'azzeramento degli “oneri pluriennali” residui accantonati nel 2003 grazie al decreto salvacalcio.
L'Inter ha venduto il marchio alla controllata Inter Brand a fine 2005, con una plusvalenza civilistica di circa 158 milioni. Il 9 giugno scorso ha dato in pegno il marchio a Banca Antonveneta, in cambio di un prestito di 120 milioni di euro. Anche per il club di Moratti l'operazione è stata fatta per assorbire, senza abbattere il patrimonio, buona parte degli oneri residui del salvacalcio. Nel 2003 l’Inter fece svalutazioni per 319 milioni, dei quali 223,6 ancora da ammortizzare al 30 giugno 2005. Il Milan svalutò i suoi campioni per 242 milioni, con un onere residuo di circa 181 milioni assorbito nel bilancio 2005. Secondo la Covisoc queste operazioni non produrrebbero plusvalenze se le società presentassero un bilancio consolidato di gruppo. Per questo in prima battuta la Covisoc aveva neutralizzato gli effetti delle plusvalenze fittizie sul patrimonio e aveva chiesto di coprire il buco contabile con una robusta ricapitalizzazione a Inter e Milan. le due squadre hanno inviato rimostranze alla Figc. Il compromesso attenua parecchio il rigore annunciato.
La Covisoc ha ricalcolato il bilancio pro forma, in cui considera come non avvenute le vendite del marchio in famiglia, quindi ha cancellato le plusvalenze. Ma ha anche considerato come non avvenuto l'assorbimento del maxi-onere residuo delle svalutazioni per il decreto salvacalcio: sia per l'Inter sia per il Milan è stato dichiarato un ammortamento pari al 10% della svalutazione iniziale (cioè 24 milioni per il Milan e 31,9 milioni per l’Inter). La ricapitalizzazione richiesta è risultata così mitigata. Il problema della copertura patrimoniale è stato rinviato così all'anno prossimo: la UE ha imposta ai club di assorbire gli oneri del salvacalcio nei bilanci entro il 30 giugno 2007.
La Covisoc aveva chiesto a tutti i club di A, B e C ricapitalizzazioni per le cessioni fittizie dei marchi e 50 milioni per altre carenze. A consuntivo, i fondi versati si aggirano sui 100 milioni. Hanno dovuto versare fondi anche il Messina (6 milioni) e i soci di Reggina Calcio. nessun club in serie A è stato bocciato per problemi finanziari. In B è stato bocciato il Crotone, in C 14 club.


Un altro incredibile capolavoro dell’italianità pallonara che inquieta maggiormente se si pensa al completo disinteresse dei giornali sportivi, troppo impegnati ad affossare la Juventus. È dello stesso mese infatti la notizia che la Guardia di Finanza ha disposto l’ispezione delle cassette di sicurezza dei giocatori bianconeri (e addirittura anche delle loro mogli) per scoprire eventuali versamenti illeciti. Non hanno scoperto niente. Peccato che non si siano accorti di altre squadre che per anni si sono iscritte con soldi che non avevano. Come nel caso dell’Inter che è riuscita a vendere il marchio a se stessa, darlo contemporaneamente in pegno ad una banca e filtrare il tutto attraverso una holding all’uopo costituita:

A metà giugno Marco Tronchetti Provera aveva girato al suo amico Moratti il 15% dell'Inter per 13.5 milioni. Come dire che in quell'occasione la squadra allenata da Mancini era stata valutata solo 88 milioni, valore ben distante da quello della perizia di Jovenitti (perizia che è servita a stabilire il valore del marchio, nda). […] Non è finita. Perché da qui a poco andrà in scena un nuovo salto mortale. In pratica, il controllo di Inter Capital srl verrà trasferito a un'altra società appena nata, la Internazionale Holding. Così a giochi fatti, Moratti controllerà l'Inter attraverso una catena societaria composta da due scatole cinesi, gemelle tra loro. […] A meno di sorprese clamorose, tipo l'ingresso di nuovi soci, è probabile che la nuova struttura risponda a motivi di efficienza fiscale. Vale a dire che le due holding consentirebbero a Moratti di pagare meno tasse, sfruttando le forti perdite dell'Inter. E ricordiamo che a giugno 2007 Moratti dovrà coprire gli oneri residui del cosiddetto decreto salvacalcio: circa 190 milioni. (V.Malagutti, L’Espresso)

Infine i nerazzurri, grazie all’abile lavoro del commissario straordinario Guido Rossi, si fanno beffe della severità Covisoc, iscrivendosi senza problemi al campionato 2006/07, quello che segue alle sentenze di Calciopoli/Moggiopoli:

Acrobazie di bilancio per l’Inter. Il club controllato con l’86,56% da Massimo Moratti presenterà dopodomani all’assemblea degli azionisti un bilancio con un risultato di gestione ancora in forte passivo. Tuttavia la perdita netta nell’ultima stagione sportiva, conclusa il 30 giugno 2006, è ampiamente ridotta rispetto agli esercizi precedenti: il passivo ufficiale è di poco superiore a 10 milioni di euro, secondo quanto riferito al Sole 24 Ore da fonti confidenziali.
Nell’esercizio precedente, al 30 giugno 2005, l’Fc Internazionale aveva dichiarato una perdita netta di 118,7 milioni, la più alta nella storia del club, su un valore della produzione (il giro d’affari) di 181,2 milioni. E anche il bilancio al 30 giugno 2004 si era chiuso molto male: 97,9 milioni di perdita netta. La riduzione del passivo non è la dimostrazione di un improvviso rigore nella gestione del patron Moratti. È soprattutto la conseguenza di un’operazione di cosmesi contabile realizzata il 29 dicembre 2005: lo scorporo del marchio e la vendita alla Inter Brand srl. Secondo una perizia del professor Giovanni Ossola, il marchio nerazzurro vale 158 milioni di euro. Questo è stato il prezzo della compravendita. Non ci sarebbe nulla di strano se non fosse che la Inter Brand è totalmente controllata dall’Fc Internazionale. Il presidente è Angelomario Moratti, figlio di Massimo, nato nel 1973.
Nell’operazione, certificata dal notaio Lodovico Barassi, è emersa una plusvalenza di 158 milioni. Una plusvalenza solo di carta, ma sufficiente nella forma a tappare i buchi di bilancio, almeno secondo il cda guidato da Ernesto Paolillo, da pochi mesi amministratore delegato dell’Inter. In particolare, con la plusvalenza “creata” dal marchio è stata coperta larga parte degli oneri residui per la svalutazione dei calciatori fatta attraverso la legge salvacalcio nel 2003, per un totale di 319 milioni.
Alla chiusura del bilancio al 30 giugno 2005, l’Inter doveva ancora assorbire 223,6 milioni di euro di svalutazioni e deve farlo entro il bilancio al 30 giugno 2007. Il cda ha deciso di addebitare metà dell’importo, quasi 112 milioni, nel bilancio al 30 giugno 2006, coprendo tutta la perdita grazie alla plusvalenza da 158 milioni ottenuta con la “vendita” del marchio. Restano quasi 112 milioni di oneri da coprire nel bilancio della stagione in corso.
Nell’operazione marchio l’Inter ha seguito l’esempio del Milan, che il 30 settembre 2005 ha fatto emergere una plusvalenza di 181,3 milioni con una cessione a se stesso. Ora ci stanno provando Lazio e Roma, altre squadre l’hanno già fatto […] Quest’estate la Covisoc aveva tentato di applicare criteri rigorosi, rifiutando l’iscrizione al campionato di Milan e Inter se non avessero ottenuto una ricapitalizzazione di almeno 100 milioni ciascuno. Ma poi il rigore è svanito. Non è chiaro se per intervento della Figc (il commissario era Guido Rossi) o per quale altra ragione. E Moratti ha potuto iscriversi al campionato versando appena quattro milioni di ricapitalizzazione
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Le iscrizioni di Milan e Inter erano state rifiutate. Toh, non se ne era accorto nessuno. E la Juve è andata in serie B. Evidentemente qualcuno è più uguale degli altri.