La riaffermata intenzione dell'Uefa di eliminare gradualmente la vergogna dei debiti nel calcio ha avuto recentemente sulla stampa nazionale un'eco davvero singolare: ci sono stati tanti articoli sul calcio inglese che, secondo l'audace titolo della Gazzetta dello Sport (del 9/10 a pag.19), sarebbe addirittura "nel baratro" e nessuno sul calcio italiano, nonostante i debiti di Inter e Roma per centinaia di milioni siano prepotentemente balzati all'onore della cronaca (vedi indagine sulla vicenda Saras e il conto col piano di rientro presentato da Unicredit alla famiglia Sensi con scadenza dicembre 2008). Il fatto è che il Presidente della Football Association in una conferenza stampa ha dato ragione all'Uefa, parlando di bilanci non trasparenti e di debiti fuori controllo, mentre in Italia l'anatema di Platini ("Vergogna, vince chi bara") non ha apparentemente intaccato né la flemma di Abete né la spavalderia di Matarrese, e così di conferenze stampa sull'argomento non s'è vista neppure l'ombra.
D'altra parte la reticenza, per non dire l'omertà, del nostro "sistema calcio" non sorprende perché se i bilanci di quasi tutte le società sono traballanti, con debiti "nascosti" nella controllante, o nelle controllate, ed anche falsi (in termini di ordinamento sportivo), le colpe sono diffuse e in tanti dovrebbero vergognarsi: non solo i registi finanziari che firmano i bilanci creativi, ma in primo luogo la stampa che, da tempo, ha tradito la sua funzione di informazione e denuncia e, subito dopo, gli organismi FIGC di controllo e sanzionatori che, visti i risultati, si può ben dire che controllano poco e non sanzionano mai.
Cominciamo dalla stampa e riprendiamo proprio l'articolo della Gazzetta secondo il quale il calcio inglese sarebbe nel baratro. E' noto che quasi tutte le società inglesi sono proprietarie degli impianti e quindi hanno sì fatto dei debiti ma si sono patrimonializzate. Il Manchester United, per fare l'esempio più significativo, ha sì più di 700 milioni di debiti ma, grazie anche al suo stadio, chiude ogni anno il bilancio in attivo e può pagare gli interessi sul debito e le rate di mutuo. La serie A inglese attraversa da anni una fase molto positiva (altro che baratro) con incassi ai botteghini e dai diritti tv sempre in crescita, tant'è che ha attirato l'attenzione prima di finanzieri, magari d'assalto ma con idee chiare sul business del calcio, e più recentemente di sceicchi e petrodollari.
Nel nostro carrozzone, ma questo la Gazzetta non lo dice, è tutto il contrario, perché stadi e patrimonio delle società stanno a zero, ai botteghini e per i diritti tv ci sono segni di crisi. L'Inter in due anni ha realizzato perdite per 350 milioni e a Roma la famiglia Sensi deve rientrare di 150 milioni con Unicredit oppure vendere la società. Mentre oltre-Manica i debiti fanno parte del gioco, in Italia servono solo a gonfiare un pallone che rischia di scoppiare secondo l'allarme che molti esperti hanno suonato da tempo. Ecco perché la scarsa attenzione della nostra stampa tradizionale all'argomento bilanci è una colpa ed anche grave. Semmai la Gazzetta, in risposta all'Uefa, avrebbe dovuto sollecitare una conferenza di Abete sui problemi di bilancio delle nostre società, altro che presentare su un quarto di pagina, come ha fatto, una tabella su "Tutti i debiti della Premier", compresi quelli del Wigan e del Hull City.
E non c'è da vergognarsi solo per la scarsa attenzione, perché quando poi un editorialista di grido come Mario Sconcerti affronta l'argomento, può succedere anche di peggio. Succede, per esempio, che sul Corriere della Sera è stato possibile raccogliere in un mese queste due perle: dapprima (con l'editoriale "I miliardi degli emiri falsano le gerarchie ma non sono una novità") l'osservazione che i debiti elevati delle grandi società ci sono sempre stati e che il professionismo l'ha inventato Edoardo Agnelli (cioè il bisnonno di John Elkann) e prevedeva già all'epoca un "indebitamento costante, quasi esponenziale"; e poi quando, volendo argomentare su "Cobolli sbaglia. Anche Moratti ha un progetto", ha scritto che "non e vero che l'Inter è piena di debiti", aggiungendo che sì, la squadra perde tantissimo ma "le perdite sono continuamente ripianate". Ecco, sarebbe da chiedere a Sconcerti se del ripianamento s'è fatto un'idea da solo, leggendo e interpretando i bilanci dell'Inter, oppure s'è fidato della Gazzetta. Nel dubbio ci limitiamo solo a ricordare (avendo come fonte le ricerche del nostro sito sui bilanci e il Sole 24 Ore) che per coprire il buco di 350 milioni del biennio 2006-07 l'Inter per un parte ha deliberato aumenti di capitale e per la parte rimanente (tra i 150 e i 200 milioni) s'è affidata alla fantasia dei suoi registi finanziari che hanno inventato le finte plusvalenze relative alla compra-vendita del marchio e alla rivalutazione patrimoniale dell'intera società. Un finto ripianamento insomma, roba da retrocessione in termini di giustizia sportiva, che può durare fino a quando c'è speranza che la banca aumenti il fido e gli utilizzi; se poi in quella banca il presidente Moratti siede anche nel Comitato Esecutivo allora uno malizioso può pensare che si tratta di una speranza ben riposta.
Quanto, poi, al richiamo dei tempi andati, lo capirebbe anche il "casalingo di Voghera" che è una giustificazione finta (come la compravendita del marchio), perché dai tempi del senatore Agnelli il contesto normativo è cambiato, anzi, dopo la sentenza Bosman è stato rivoluzionato e con la legge 586/96 (non a caso detta proprio legge Bosman) si è dovuto correre ai ripari pensando proprio ai bilanci e ai debiti, ridisegnando il sistema dei controlli.
Era tanto importante quella legge che è ancora possibile trovare in rete la traccia di una riunione del Consiglio Nazionale del Coni del 23 marzo 2004 (per conferma Sconcerti potrebbe sentire Petrucci) nella quale si stabiliva che le società di calcio dovevano presentare alla FIGC, a cadenza trimestrale, "stato patrimoniale e conto economico con budget che garantisca equilibrio finanziario a consuntivo dell'esercizio".
L'equilibrio finanziario, in particolare, imponeva e impone che i debiti siano un sottomultiplo del fatturato. Dato che dopo la sentenza Bosman le società di calcio si ritrovavano con il patrimonio azzerato, l'ordinamento sportivo si era giustamente preoccupato dei debiti, quelli che ai tempi del senatore Agnelli, assicura Sconcerti, crescevano in modo esponenziale (ma le società, all'epoca, possedevano il cartellino dei calciatori).
E siamo così arrivati ai controlli e alle sanzioni dove l'elenco di chi deve vergognarsi è lungo, perché tutti sono d'accordo sul fatto che i bilanci delle società di calcio non sono "sani", e neppure "corretti", come imporrebbe la normativa, perché tutti sanno che ci sono degli illeciti e che sono tollerati (vedi l'articolo del prof. Boeri su Repubblica del 3 settembre) ma, quando si prova a ragionare sulle responsabilità, scatta il gioco al rimpiattino: si comincia dalle responsabilità dei presidenti che non sono più i "ricchi scemi" di una volta, si lamentano sì delle perdite, ma si tengono stretta la società, anzi, ci portano pure i figli o le figlie (con stipendi che arrivano anche ad un milione di euro all'anno: chiamali scemi!) e ad ogni campionato provano a spendere di più (senza, però, mettere mano al portafoglio); si passa alla Covisoc che controlla i bilanci, guarda sì la compra-vendita del marchio da padre in figlio, ma "non può vedere" che è finta e fa aumentare i debiti (anche se può vederlo pure uno studente di prima ragioneria ripetente); si rimanda alla Figc (la "Confindustria" dei presidenti di calcio che non sono più ricchi e scemi), dove nessuno chiede rigore o denuncia irregolarità (sarebbe una specie di suicidio quasi collettivo); si finisce col contesto normativo e la specificità dello sport, che nessuno sa bene cos'è (e, infatti, tutti la chiamano in causa).
Dopo l'uscita, con tante polemiche, del prof. Uckmar dalla Covisoc, su queste benedette responsabiltà ci fu un lungo dibattito, che si può rintracciare in rete per ragionarci sopra. Leggendolo si scoprono due passaggi fondamentali: il primo in una paginata della Gazzetta dello Sport del 15 maggio 2002 (quando era ancora formato lenzuolo e non si limitava solo a "tutto il rosa della vita") e l'altro nell'audizione al Senato del prof. Uckmar del 23 aprile 2004.
Nell'articolo della Gazzetta c'è Carraro che, da politico consumato, chiama in causa il sentimento popolare (vi dice niente?); i bilanci irregolari sarebbero illeciti sportivi ma, si chiede Carraro (all'epoca presidente della Figc e contemporaneamente presidente anche del Mediocredito Centrale della Banca di Roma di Geronzi) "pensate che i tifosi italiani sarebbero in grado di accettare una penalizzazione dei propri club?". Tradotto dal politichese di Carraro e riferito ai nostri giorni sembra quasi che Abete e Matarrese possano avere questo dubbio: se mandiamo l'Inter in B per tutti gli illeciti sportivi che ha fatto, e continua a fare con i bilanci, siamo sicuri che poi i suoi ultras non buttino giù i motorini dalle gradinate di San Siro?
Nell'audizione al Senato, invece, il passaggio fondamentale è quello per cui la situazione dei controlli si sarebbe "ingarbugliata" quando il contesto normativo che doveva tener conto della specificità dello sport è stato riformulato, passando dalla legge 91/1981 alla 586/1996; quella del 1981 prevedeva che la Covisoc dovesse autorizzare le operazioni di carattere straordinario e potesse sindacare sui debiti bloccandoli; con quella del 1996 sono aumentati i controlli, ogni tre mesi le società devono documentare che la gestione è sana e corretta, devono anche indicare come rispettano il budget di inizio stagione (sembra incredibile ma è proprio cosi, c'è scritto nelle Norme Organizzative Interne Federali), ma di sindacare non se ne parla più e la Covisoc dovrebbe, invece, segnalare alla Procura Federale e questa deferire.
In effetti se una società di serie C2 paga le tasse con due gioni di ritardo scattano il deferimento e nell'arco di qualche mese anche le penalità (è successo ancora recentemente), mentre per i bilanci di alcune note società di serie A si arriva a parlare di illeciti tollerati, ma di segnalazioni e deferimenti non si parla mai.
I riferimenti a Carraro e Uckmar sono datati 2002-2004. Sono passati solo pochi anni ma è come se fosse passato un secolo perché, nel frattempo, nell'estate 2006 si è messo in piede il processo di calciopoli, nel quale sono stati di nuovo chiamati in causa la specificità dello sport e il "sentimento popolare" ma non per tollerare un illecito che c'era (come si sta facendo per i bilanci sin dai tempi di Carraro), bensì per punire un illecito che non era previsto dalla normativa; il tutto sotto la regia a carattere straordinario di un professionista, il professor Guido Rossi, ex-consigliere dell'Inter e futuro consulente degli eredi di casa Agnelli. Un'offesa all'intelligenza di quanti sono ancora liberi di pensare con la propia testa, una conferma che le scusanti che vengono invocate per non doversi mettere in regola con i bilanci sono logore foglie di fico che non possono più nascondere le vergogne né, tantomeno, camuffare gli svergognati. Che sono tanti: i "culi di pietra" che hanno occupato e occupano le poltrone di prima fila delle istituzioni sportive, la pletora di professionisti (giuristi di lungo corso, sopratutto) che si prestano a firmare sentenze sensa senso, i politicanti che a tempo perso si occupano anche di sport e poi quelli che nelle istituzioni sportive occupano, scodinzolando, le poltrone di seconda e terza fila e sbavano per scalare qualche posto.
Nel lungo elenco di quelli che devono vergognarsi per i debiti del calcio non possono mancare le società (per essere precisi quasi tutte le società), cioè i loro amministratori e segnatamente i presidenti; li segnaliamo per ultimi non perchè debbano vergognarsi di meno ma solo perché ai loro maneggi contabili abbiamo già dedicato tanto spazio sul nostro sito. Facciamo anzi, al riguardo, una premessa: quasi tutte le società ricorrono agli stessi "trucchi", come se ci fosse una specie di passaparola, e cioè ad operazioni che portano dei finti ricavi con annesse plusvalenze (mentre invece si tratta di partite di giro) oppure fanno "emergere" plusvalenze patrimoniali utili ad assorbire, ma solo sulla carta, future perdite (Il Sole 24 Ore del 24 aprile 2007).
Se sul nostro sito abbiamo tanto insitito con i maneggi dei registi finanziari dell'Inter è perché la società nerazzurra ha intanto fatto ricorso a quasi tutti i possibili trucchi contabili e poi perché, in tema di plusvalenze di cartone, ha realizzato delle performances che sicuramente la collocano ai primi posti a livello mondiale. Per farsi un'idea della sana e corretta gestione a cui si ispirano i bilanci dell'Inter è sufficiente riflettere su queste tappe intermedie:
1. adesione al condono tombale di Tremonti nel bilancio 2002-03
2. utilizzo della legge spalma-perdite del 2003 per l'incredibile cifra di 319 milioni (perché a tanto, evidentemente, ammontavano le finte plusvalenze che i bilanci si portavano in pancia)
3. finte plusvalenze nei bilanci 2004 e 2005 patteggiate (cioè ammesse) con Palazzi, questa estate, dopo una istruttoria durata due anni
4. finta compravendita del marchio per più di 100 milioni nel dicembre 2005
5. rivalutazione patrimoniale dell'intera società nel bilancio 2006-07 con una plusvalenza a tavolino di nuovo superiore ai 100 milioni.
Ricordiamoci che si tratta di plusvalenze farlocche e quindi di falsità di bilancio in termini di giustizia sportiva, operazioni sulle quali magari gli ispettori della Agenzia delle Entrate potrebbero anche non aver niente da ridire (ma l'ultima operazione di rivalutazione patrimoniale pare che abbia intimidito anche gli stessi dirigenti nerazzurri al momento di firmare il bilancio di Internazionale Holding), ma gli ispettori della Covisoc proprio no; per il motivo che questo tipo di finanza creativa elude gli obblighi posti dalla normativa federale quanto a debiti, patrimonio e bilanci sani e corretti e costituisce illecito punibile anche con la retrocessione e la perdita dell'eventuale scudetto (art.8 comma 4 del Codice di Giustizia Sportiva).
In questa corsa sempre più folle a fabbricare risorse finte c'è un passaggio davvero paradossale: nel bilancio 2006-07 la società doveva "spesare" l'ultima rata dello spalma-perdite per circa 120 milioni e per pagare questo "dazio" ha inventato le finte plusvalenze patrimoniali che abbiamo accennato e a suo tempo anche documentato. Un illecito per sanare l'illecito precedente, una specie di illecito elevato al quadrato di fronte al quale sono rimasti impassibili sia gli ispettori della Covisoc che il procuratore Palazzi; impassibili nonostante i debiti netti abbiano, nel frattempo, superato i 300 milioni (Libero Mercato del 30 aprile 2008) eludendo, appunto, la normativa che li limiterebbe a 80.
Alla fine del ragionamento, siamo così tornati ai debiti, cioè alla vergogna che l'Uefa intende gradualmente eliminare, magari affidando i controlli ad una commissione di esperti esterni all'Associazione, capaci, aggiungiamo noi, di non farsi condizionare da quello che in politichese chiamano "sentimento popolare" e che qualche Procura della Repubblica prima o poi, siamo convinti, dovrà chiamare con nomi e cognomi.
Per raggiungere questo risultato non è detto che il calcio debba necessariamente ridimensionarsi; anche senza fare debiti, l'Inter potrebbe benissimo assumere un allenatore ancora più speciale di Mourinho (e pure pagarne tre contemporaneamente; raffinare il petrolio rende e, grazie alla legge sulle energie rinnovabili o assimilate, rende ancora di più) e il Milan spendere decine di milioni per Ronaldinho e pure per Kakà (aumenta l'indice di gradimento che ripaga, belìn se ripaga), ma sarebbero soldi veri dei loro presidenti e non prestati dalla banche.
Di sicuro, prendendo spunto dal calcio, ma ragionando più in grande, solo cambiando completamente registro verrebbe eliminata la vergogna che tra tutte è la più grossa: quella di chi riesce a farsi passare per mecenate adoperando i soldi nostri.
D'altra parte la reticenza, per non dire l'omertà, del nostro "sistema calcio" non sorprende perché se i bilanci di quasi tutte le società sono traballanti, con debiti "nascosti" nella controllante, o nelle controllate, ed anche falsi (in termini di ordinamento sportivo), le colpe sono diffuse e in tanti dovrebbero vergognarsi: non solo i registi finanziari che firmano i bilanci creativi, ma in primo luogo la stampa che, da tempo, ha tradito la sua funzione di informazione e denuncia e, subito dopo, gli organismi FIGC di controllo e sanzionatori che, visti i risultati, si può ben dire che controllano poco e non sanzionano mai.
Cominciamo dalla stampa e riprendiamo proprio l'articolo della Gazzetta secondo il quale il calcio inglese sarebbe nel baratro. E' noto che quasi tutte le società inglesi sono proprietarie degli impianti e quindi hanno sì fatto dei debiti ma si sono patrimonializzate. Il Manchester United, per fare l'esempio più significativo, ha sì più di 700 milioni di debiti ma, grazie anche al suo stadio, chiude ogni anno il bilancio in attivo e può pagare gli interessi sul debito e le rate di mutuo. La serie A inglese attraversa da anni una fase molto positiva (altro che baratro) con incassi ai botteghini e dai diritti tv sempre in crescita, tant'è che ha attirato l'attenzione prima di finanzieri, magari d'assalto ma con idee chiare sul business del calcio, e più recentemente di sceicchi e petrodollari.
Nel nostro carrozzone, ma questo la Gazzetta non lo dice, è tutto il contrario, perché stadi e patrimonio delle società stanno a zero, ai botteghini e per i diritti tv ci sono segni di crisi. L'Inter in due anni ha realizzato perdite per 350 milioni e a Roma la famiglia Sensi deve rientrare di 150 milioni con Unicredit oppure vendere la società. Mentre oltre-Manica i debiti fanno parte del gioco, in Italia servono solo a gonfiare un pallone che rischia di scoppiare secondo l'allarme che molti esperti hanno suonato da tempo. Ecco perché la scarsa attenzione della nostra stampa tradizionale all'argomento bilanci è una colpa ed anche grave. Semmai la Gazzetta, in risposta all'Uefa, avrebbe dovuto sollecitare una conferenza di Abete sui problemi di bilancio delle nostre società, altro che presentare su un quarto di pagina, come ha fatto, una tabella su "Tutti i debiti della Premier", compresi quelli del Wigan e del Hull City.
E non c'è da vergognarsi solo per la scarsa attenzione, perché quando poi un editorialista di grido come Mario Sconcerti affronta l'argomento, può succedere anche di peggio. Succede, per esempio, che sul Corriere della Sera è stato possibile raccogliere in un mese queste due perle: dapprima (con l'editoriale "I miliardi degli emiri falsano le gerarchie ma non sono una novità") l'osservazione che i debiti elevati delle grandi società ci sono sempre stati e che il professionismo l'ha inventato Edoardo Agnelli (cioè il bisnonno di John Elkann) e prevedeva già all'epoca un "indebitamento costante, quasi esponenziale"; e poi quando, volendo argomentare su "Cobolli sbaglia. Anche Moratti ha un progetto", ha scritto che "non e vero che l'Inter è piena di debiti", aggiungendo che sì, la squadra perde tantissimo ma "le perdite sono continuamente ripianate". Ecco, sarebbe da chiedere a Sconcerti se del ripianamento s'è fatto un'idea da solo, leggendo e interpretando i bilanci dell'Inter, oppure s'è fidato della Gazzetta. Nel dubbio ci limitiamo solo a ricordare (avendo come fonte le ricerche del nostro sito sui bilanci e il Sole 24 Ore) che per coprire il buco di 350 milioni del biennio 2006-07 l'Inter per un parte ha deliberato aumenti di capitale e per la parte rimanente (tra i 150 e i 200 milioni) s'è affidata alla fantasia dei suoi registi finanziari che hanno inventato le finte plusvalenze relative alla compra-vendita del marchio e alla rivalutazione patrimoniale dell'intera società. Un finto ripianamento insomma, roba da retrocessione in termini di giustizia sportiva, che può durare fino a quando c'è speranza che la banca aumenti il fido e gli utilizzi; se poi in quella banca il presidente Moratti siede anche nel Comitato Esecutivo allora uno malizioso può pensare che si tratta di una speranza ben riposta.
Quanto, poi, al richiamo dei tempi andati, lo capirebbe anche il "casalingo di Voghera" che è una giustificazione finta (come la compravendita del marchio), perché dai tempi del senatore Agnelli il contesto normativo è cambiato, anzi, dopo la sentenza Bosman è stato rivoluzionato e con la legge 586/96 (non a caso detta proprio legge Bosman) si è dovuto correre ai ripari pensando proprio ai bilanci e ai debiti, ridisegnando il sistema dei controlli.
Era tanto importante quella legge che è ancora possibile trovare in rete la traccia di una riunione del Consiglio Nazionale del Coni del 23 marzo 2004 (per conferma Sconcerti potrebbe sentire Petrucci) nella quale si stabiliva che le società di calcio dovevano presentare alla FIGC, a cadenza trimestrale, "stato patrimoniale e conto economico con budget che garantisca equilibrio finanziario a consuntivo dell'esercizio".
L'equilibrio finanziario, in particolare, imponeva e impone che i debiti siano un sottomultiplo del fatturato. Dato che dopo la sentenza Bosman le società di calcio si ritrovavano con il patrimonio azzerato, l'ordinamento sportivo si era giustamente preoccupato dei debiti, quelli che ai tempi del senatore Agnelli, assicura Sconcerti, crescevano in modo esponenziale (ma le società, all'epoca, possedevano il cartellino dei calciatori).
E siamo così arrivati ai controlli e alle sanzioni dove l'elenco di chi deve vergognarsi è lungo, perché tutti sono d'accordo sul fatto che i bilanci delle società di calcio non sono "sani", e neppure "corretti", come imporrebbe la normativa, perché tutti sanno che ci sono degli illeciti e che sono tollerati (vedi l'articolo del prof. Boeri su Repubblica del 3 settembre) ma, quando si prova a ragionare sulle responsabilità, scatta il gioco al rimpiattino: si comincia dalle responsabilità dei presidenti che non sono più i "ricchi scemi" di una volta, si lamentano sì delle perdite, ma si tengono stretta la società, anzi, ci portano pure i figli o le figlie (con stipendi che arrivano anche ad un milione di euro all'anno: chiamali scemi!) e ad ogni campionato provano a spendere di più (senza, però, mettere mano al portafoglio); si passa alla Covisoc che controlla i bilanci, guarda sì la compra-vendita del marchio da padre in figlio, ma "non può vedere" che è finta e fa aumentare i debiti (anche se può vederlo pure uno studente di prima ragioneria ripetente); si rimanda alla Figc (la "Confindustria" dei presidenti di calcio che non sono più ricchi e scemi), dove nessuno chiede rigore o denuncia irregolarità (sarebbe una specie di suicidio quasi collettivo); si finisce col contesto normativo e la specificità dello sport, che nessuno sa bene cos'è (e, infatti, tutti la chiamano in causa).
Dopo l'uscita, con tante polemiche, del prof. Uckmar dalla Covisoc, su queste benedette responsabiltà ci fu un lungo dibattito, che si può rintracciare in rete per ragionarci sopra. Leggendolo si scoprono due passaggi fondamentali: il primo in una paginata della Gazzetta dello Sport del 15 maggio 2002 (quando era ancora formato lenzuolo e non si limitava solo a "tutto il rosa della vita") e l'altro nell'audizione al Senato del prof. Uckmar del 23 aprile 2004.
Nell'articolo della Gazzetta c'è Carraro che, da politico consumato, chiama in causa il sentimento popolare (vi dice niente?); i bilanci irregolari sarebbero illeciti sportivi ma, si chiede Carraro (all'epoca presidente della Figc e contemporaneamente presidente anche del Mediocredito Centrale della Banca di Roma di Geronzi) "pensate che i tifosi italiani sarebbero in grado di accettare una penalizzazione dei propri club?". Tradotto dal politichese di Carraro e riferito ai nostri giorni sembra quasi che Abete e Matarrese possano avere questo dubbio: se mandiamo l'Inter in B per tutti gli illeciti sportivi che ha fatto, e continua a fare con i bilanci, siamo sicuri che poi i suoi ultras non buttino giù i motorini dalle gradinate di San Siro?
Nell'audizione al Senato, invece, il passaggio fondamentale è quello per cui la situazione dei controlli si sarebbe "ingarbugliata" quando il contesto normativo che doveva tener conto della specificità dello sport è stato riformulato, passando dalla legge 91/1981 alla 586/1996; quella del 1981 prevedeva che la Covisoc dovesse autorizzare le operazioni di carattere straordinario e potesse sindacare sui debiti bloccandoli; con quella del 1996 sono aumentati i controlli, ogni tre mesi le società devono documentare che la gestione è sana e corretta, devono anche indicare come rispettano il budget di inizio stagione (sembra incredibile ma è proprio cosi, c'è scritto nelle Norme Organizzative Interne Federali), ma di sindacare non se ne parla più e la Covisoc dovrebbe, invece, segnalare alla Procura Federale e questa deferire.
In effetti se una società di serie C2 paga le tasse con due gioni di ritardo scattano il deferimento e nell'arco di qualche mese anche le penalità (è successo ancora recentemente), mentre per i bilanci di alcune note società di serie A si arriva a parlare di illeciti tollerati, ma di segnalazioni e deferimenti non si parla mai.
I riferimenti a Carraro e Uckmar sono datati 2002-2004. Sono passati solo pochi anni ma è come se fosse passato un secolo perché, nel frattempo, nell'estate 2006 si è messo in piede il processo di calciopoli, nel quale sono stati di nuovo chiamati in causa la specificità dello sport e il "sentimento popolare" ma non per tollerare un illecito che c'era (come si sta facendo per i bilanci sin dai tempi di Carraro), bensì per punire un illecito che non era previsto dalla normativa; il tutto sotto la regia a carattere straordinario di un professionista, il professor Guido Rossi, ex-consigliere dell'Inter e futuro consulente degli eredi di casa Agnelli. Un'offesa all'intelligenza di quanti sono ancora liberi di pensare con la propia testa, una conferma che le scusanti che vengono invocate per non doversi mettere in regola con i bilanci sono logore foglie di fico che non possono più nascondere le vergogne né, tantomeno, camuffare gli svergognati. Che sono tanti: i "culi di pietra" che hanno occupato e occupano le poltrone di prima fila delle istituzioni sportive, la pletora di professionisti (giuristi di lungo corso, sopratutto) che si prestano a firmare sentenze sensa senso, i politicanti che a tempo perso si occupano anche di sport e poi quelli che nelle istituzioni sportive occupano, scodinzolando, le poltrone di seconda e terza fila e sbavano per scalare qualche posto.
Nel lungo elenco di quelli che devono vergognarsi per i debiti del calcio non possono mancare le società (per essere precisi quasi tutte le società), cioè i loro amministratori e segnatamente i presidenti; li segnaliamo per ultimi non perchè debbano vergognarsi di meno ma solo perché ai loro maneggi contabili abbiamo già dedicato tanto spazio sul nostro sito. Facciamo anzi, al riguardo, una premessa: quasi tutte le società ricorrono agli stessi "trucchi", come se ci fosse una specie di passaparola, e cioè ad operazioni che portano dei finti ricavi con annesse plusvalenze (mentre invece si tratta di partite di giro) oppure fanno "emergere" plusvalenze patrimoniali utili ad assorbire, ma solo sulla carta, future perdite (Il Sole 24 Ore del 24 aprile 2007).
Se sul nostro sito abbiamo tanto insitito con i maneggi dei registi finanziari dell'Inter è perché la società nerazzurra ha intanto fatto ricorso a quasi tutti i possibili trucchi contabili e poi perché, in tema di plusvalenze di cartone, ha realizzato delle performances che sicuramente la collocano ai primi posti a livello mondiale. Per farsi un'idea della sana e corretta gestione a cui si ispirano i bilanci dell'Inter è sufficiente riflettere su queste tappe intermedie:
1. adesione al condono tombale di Tremonti nel bilancio 2002-03
2. utilizzo della legge spalma-perdite del 2003 per l'incredibile cifra di 319 milioni (perché a tanto, evidentemente, ammontavano le finte plusvalenze che i bilanci si portavano in pancia)
3. finte plusvalenze nei bilanci 2004 e 2005 patteggiate (cioè ammesse) con Palazzi, questa estate, dopo una istruttoria durata due anni
4. finta compravendita del marchio per più di 100 milioni nel dicembre 2005
5. rivalutazione patrimoniale dell'intera società nel bilancio 2006-07 con una plusvalenza a tavolino di nuovo superiore ai 100 milioni.
Ricordiamoci che si tratta di plusvalenze farlocche e quindi di falsità di bilancio in termini di giustizia sportiva, operazioni sulle quali magari gli ispettori della Agenzia delle Entrate potrebbero anche non aver niente da ridire (ma l'ultima operazione di rivalutazione patrimoniale pare che abbia intimidito anche gli stessi dirigenti nerazzurri al momento di firmare il bilancio di Internazionale Holding), ma gli ispettori della Covisoc proprio no; per il motivo che questo tipo di finanza creativa elude gli obblighi posti dalla normativa federale quanto a debiti, patrimonio e bilanci sani e corretti e costituisce illecito punibile anche con la retrocessione e la perdita dell'eventuale scudetto (art.8 comma 4 del Codice di Giustizia Sportiva).
In questa corsa sempre più folle a fabbricare risorse finte c'è un passaggio davvero paradossale: nel bilancio 2006-07 la società doveva "spesare" l'ultima rata dello spalma-perdite per circa 120 milioni e per pagare questo "dazio" ha inventato le finte plusvalenze patrimoniali che abbiamo accennato e a suo tempo anche documentato. Un illecito per sanare l'illecito precedente, una specie di illecito elevato al quadrato di fronte al quale sono rimasti impassibili sia gli ispettori della Covisoc che il procuratore Palazzi; impassibili nonostante i debiti netti abbiano, nel frattempo, superato i 300 milioni (Libero Mercato del 30 aprile 2008) eludendo, appunto, la normativa che li limiterebbe a 80.
Alla fine del ragionamento, siamo così tornati ai debiti, cioè alla vergogna che l'Uefa intende gradualmente eliminare, magari affidando i controlli ad una commissione di esperti esterni all'Associazione, capaci, aggiungiamo noi, di non farsi condizionare da quello che in politichese chiamano "sentimento popolare" e che qualche Procura della Repubblica prima o poi, siamo convinti, dovrà chiamare con nomi e cognomi.
Per raggiungere questo risultato non è detto che il calcio debba necessariamente ridimensionarsi; anche senza fare debiti, l'Inter potrebbe benissimo assumere un allenatore ancora più speciale di Mourinho (e pure pagarne tre contemporaneamente; raffinare il petrolio rende e, grazie alla legge sulle energie rinnovabili o assimilate, rende ancora di più) e il Milan spendere decine di milioni per Ronaldinho e pure per Kakà (aumenta l'indice di gradimento che ripaga, belìn se ripaga), ma sarebbero soldi veri dei loro presidenti e non prestati dalla banche.
Di sicuro, prendendo spunto dal calcio, ma ragionando più in grande, solo cambiando completamente registro verrebbe eliminata la vergogna che tra tutte è la più grossa: quella di chi riesce a farsi passare per mecenate adoperando i soldi nostri.