Si continua a leggere e a sentire sui media di Scommessopoli, presentata come un nuovo tsunami che rischia di sconvolgere il calcio italiano, serie A inclusa. Eppure c’è qualcosa di diverso rispetto alla Calciopoli del 2006: sono gli accenti, i toni. In Calciopoli il protagonista assoluto è stato lo sdegno: sdegno che mascherava (male) un debordante compiacimento, perché finalmente i rubbentini ladri erano alla gogna, si poteva dire di tutto su di loro, al riparo dell’ombrello della cosiddetta giustizia sportiva che li stava condannando: senza prove di illeciti ma, si disse, per quel privatissimo ‘circolo della caccia’ era l’imputato a dover fornire le prove della propria innocenza; poi le prove, ma di illeciti, le scovò, negli anni a seguire, il pool di Moggi, a carico di altri, però, di quelli che dall’attico della federazione avevano ricevuto il bollino (meglio, la patacca) dell’illibatezza. Sarebbero stati condannati? Certo che no, perché dopo oltre un anno dall’esposto della Juve che chiedeva di far luce sugli eventi, si scoprì che era arrivata la salvifica agognata prescrizione. Ma questa è un’altra storia.
Torniamo al 2006: fiammate di indignazione sprigionavano le loro lingue incendiarie da tutti i titoli dei giornali e dai teleschermi; la caccia alla streghe era partita, si compilavano ovunque liste di proscrizione, l’immaginario collettivo antijuventino aveva eretto i roghi e una condiscendente giustizia sportiva vi adagiò la Vecchia Signora.
Sei anni dopo venne Scommessopoli: e siamo, tra sussurri e grida, molti sussurri e poche grida, a scoprire un mondo di strani, equivoci personaggi che vendevano partite quasi fossero noccioline, addetti ai lavori e non: ma nessuno si indigna più di tanto, qualche coup de théâtre di Petrucci e tutto finisce lì. Il sentimento popolare dorme: eppure qui c’è gente che s’è venduta la passione di tutti noi, per soldi, solo per soldi, tanti soldi: e al diavolo la regolarità dei campionati.
Ecco, qua almeno c’è il movente, per abietto che possa essere, e il danno: in Calciopoli nessun danno, perché un tribunale dello Stato ha sancito che quel campionato fu regolare; e non girò un euro. Chissà perché quella banda di maldestri cupolanti, incastrati poi dagli schemini di Di Laroni, si sarebbe data tanto da fare per poi rimanere comunque a mani vuote. Mah!
E anche coi protagonisti qui si va leggeri: per Masiello, ad esempio, uno che, dopo l’arresto, ha vuotato il sacco e detto di partite vendute (almeno quattro), si parla, a livello penale, di un patteggiamento a un anno e dieci mesi; e Palazzi promette, sul piano della giustizia sportiva, sostanziosi sconti a chi collabora. Qualcuno si è venduto mezzo campionato? E che sarà mai? Fuori i nomi giusti e se ne può parlare.
Le grida sono arrivate quando si è parlato di Novara-Siena e Albinoleffe-Siena, perché un pentito ha tirato in ballo l’allenatore del Siena; sì, del Siena all’epoca dei fatti: ora alla Juventus, e per di più diventato nel frattempo Campione d’Italia. Fa assolutamente audience. E son calati gli avvoltoi: un giornalista, alla conferenza stampa prima della finale di Coppa Italia, ha pure avuto il becco di chiedere a Conte se non pensasse che questa finale sarebbe stata la fine della sua carriera da allenatore. Così, solo per le parole, non confermate da nessun altro, di un pentito, uno che, senza voler pensar male, ha combinato i suoi bei guai e sta cercando una via di scampo.
Il mister è apparso sereno, altrettanto il presidente Agnelli, al suo fianco sin dallo spuntare delle prime voci. Ma sicuramente entrambi tengono i sensi bene all’erta. Come noi, hanno ben presente cosa è successo nel 2006, con la giustizia domestica, che a quell’epoca riuscì a far danni per 444 milioni. Certo, questa non è più quella Juve prona, questa è una Juve ‘cazzuta’, per dirla alla Briatore.
E il vento dei media soffia forte e sballotta Conte tra la notizia di una rinnovo di contratto da top mister e quella di una Juve alla ricerca di un suo sostituto (vista la preconizzata squalifica), con Capello e Mazzarri in pole position. Con tutto il rispetto per Capello (Mazzarri resti dov’è a prescindere), ci teniamo Antonio: noi, come Andrea Agnelli, non abbiamo dubbi sulla sua moralità e, soprattutto, sulla sua voglia, fin smodata, di vincere: ed è invece chiacchierato (perché, per il momento, di questo si tratta) di aver perso, volontariamente, cinque punti (con un pareggio e una sconfitta), così, per puro masochismo.
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