L'inchiesta detta Scommessopoli (la fantasia sui titoli dei quotidiani batte la fiacca) andava avanti nel semitorpore da molto tempo e ci aveva presentato uno schema ricorrente: un gruppo di esterni al mondo del calcio bazzica intorno e arruola questo o quel giocatore o addetto per combinare risultati di alcune partite, il tutto all'insaputa delle rispettive società di appartenenza.
Mesi di indagini e di intercettazioni danno questo quadro e questo modus operandi. Alcuni indagati, pressati dalle prove e dallo stato di carcerazione, collaborano e contribuiscono con le loro dichiarazioni a formare una ricostruzione di tal genere.
Ricevono subito qualche primo vantaggio da questa dissociazione attiva, in particolare la rimessione in libertà o gli arresti domiciliari, e in prospettiva possono sperare in sentenze patteggiate a pene ridotte con sospensione condizionale delle stesse.
Altro non sperano, se non essere dimenticati dall'opinione pubblica. Ed infatti scompaiono dalla nostra vista ed evitano interviste o comparse in pubblico.
Sembrava che anche Carobbio non sfuggisse a questa regola. All'autorità giudiziaria che lo indaga rende dichiarazioni confessorie e confermative di un quadro criminale, cui le società di calcio erano estranee.
Finché, una volta uscito dal carcere, non viene ascoltato - come giusto - dalla giustizia sportiva. E davanti alla Procura Federale finalmente racconta cose mai dette prima, nonostante lo stato di detenzione che lo opprimeva, dichiarazioni che, per almeno una squadra di calcio, delineano un'anomalia nel quadro criminale da tutti descritto: il Siena - a suo dire - era perfettamente al corrente della combine, tanto che in una riunione tecnica del prepartita l'allenatore Antonio Conte (toh, il neo campione d'Italia della Juventus) rassicurò i giocatori, confermando che il risultato finale era stato concordato. E siccome Conte era estraneo alle trattative, non poteva che averlo saputo in società.
Nei giorni trascorsi tra l'uscita dal carcere e la convocazione davanti alla giustizia sportiva doveva essere maturato in lui qualcosa di straordinario, tale da indurlo a rivelare finalmente quel che era riuscito a tacere alla magistratura ordinaria.
Accusa, che può ricevere smentite, come le ha ricevute, soltanto dai presenti a quella riunione, che però, non smentendolo, confesserebbero anch'essi il concorso nell'illecito.
Si capisce che una dichiarazione esclusivamente autoreferenziale e priva anche di riscontri oggettivi esterni, apparentemente tarata sulle regole giuridiche del processo per non ricevere disinteressata smentita, andrebbe vista se non con sospetto, quantomeno con beneficio di inventario.
Troppo complicato anche per un giornalista sportivo? Si direbbe di sì, visto che ce ne sono che ancora credono che nel processo sportivo valga il principio dell'inversione dell'onere della prova (anche se lo sostengono quando si tratta della Juventus e non ne fanno cenno quando certe altre squadre appaiono coinvolte).
Il verbale di tali clamorose dichiarazioni viene divulgato (da chi?) di lì a poco, suscitando il tam tam consueto. Lo stesso Carobbio si concede ad una intervista-santino con un quotidiano di larga tiratura nazionale, per niente propenso a scomparire come i suoi colleghi, ma anzi invitandoli a fare analoghe dichiarazioni, finora rimaste senza alcun seguito. Tra le sue speranze soltanto poter restare nel mondo del calcio per allenare i ragazzini e, pertanto, evitare la radiazione.
Vedremo come andrà a finire e se il buon Carobbio, evitato in qualche modo il carcere, riuscirà ad evitare pure la radiazione.
A suo favore sta il fatto che i suoi eventuali illeciti non sono "strutturati", ma perfettamente descritti dal codice di giustizia sportiva.
Le straordinarie rivelazioni aggiunte di Carobbio
- Dettagli