Ciao Andrea,
mi perdonerai se oggi ti chiederò di rimanere impigliato nei miei pensieri, ancora qualche minuto. Sarà questo vento freddo che viene dal mare, sarà che, avendo tu l’età di mio figlio, ti sento un po’ di casa, ma è da qualche giorno che il tuo pensiero non mi abbandona, piacevolmente.
Sai, da quando sei andato via le cose sono cambiate molto, qui da noi.
No, non la tua Juve. Quella era forte ed è tornata ad esserlo. C’è Pirlo, al posto di Platini e Tevez al posto di Paolo Rossi. In porta c’era un numero uno ed ancora c’è il più forte di tutti. E sulla panchina, caro Andrea, sapessi: uno che ti sarebbe piaciuto. No, non è quello.
È cambiato tutto quello che c’è intorno, sai? Ed è tutto più brutto, credimi.
Io c’ero nel 1985, eravamo quasi coetanei, io solo un po’ più grande. E so che non era così.
Non c’è più il rispetto per la vita. E per la morte. La tua, quella di tuo padre, quella di tanti altri che l’hanno legata, la morte, ad una storia di sport.
Che poi basterebbe poco, sai, per fermarsi al punto giusto. Basterebbe che chi si mette lì a scrivere lo striscione o a pensare ad un coro, da esporre o cantare durante la partita, pensasse per un solo istante, uno, uno solo, ai tuoi occhi. Agli occhi di un bambino di 11 anni, innamorato della sua squadra. Alle mani di un bambino che incolla le figurine dei calciatori sull’album. Alla precisione con cui attacca i poster nella sua cameretta. All’attenzione con cui legge le formazioni sul giornale. Alla gioia di un bambino di 11 anni quando il padre gli comunica che andranno a vedere la finale di Coppa dei Campioni in Belgio.
Basterebbe poco, Andrea. Basterebbe che ogni volta che qualcuno intona un coro, uno qualunque, di quelli bastardi, fosse accompagnato a casa tua, a respirare la tua aria, quella che ti sei portato con te sull’aereo verso il Belgio, 29 anni fa. A respirare il vuoto che hai lasciato.
Basterebbe poco. Basterebbe prendere quello striscione e chi l’ha scritto e portarli sulla collina dove la nebbia impedì che ragazzi che giocavano a pallone diventassero uomini e che gli uomini che li accompagnavano potessero raccontare la tragedia. E sentire il silenzio dell’addio e lo schianto che è rimasto per sempre nell’eco.
Ecco, Andrea, basterebbe poco. Non so se siamo ancora in tempo per fermarci, ma so che è necessario provarci.
Per te. Per mio figlio che ha la tua età, una squadra nel cuore, le figurine sull’album e i poster nella cameretta.
E che merita di più di questo mondo bastardo nel quale siamo precipitati.
Ciao Andrea!
di Francesco Alessandrella
Lettera ad Andrea Casula
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